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E' USCITO "IL POLLAIO PER TUTTI", IL NUOVO LIBRO DI ANDREA MANGONI!
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E' USCITO "IL POLLAIO PER TUTTI", IL NUOVO LIBRO DI ANDREA MANGONI!
Oramai diverso tempo fa, ho già avuto modo di parlare abbastanza diffusamente della lavanda (Lavandula sp.); ma torno a farlo volentieri dopo aver letto, sul blog di Zia Artemisia, la ricetta di alcuni biscottini che sembravano davvero deliziosi; QUI ne trovate la versione originale.
Per un caso del destino, i miei cespugli di lavanda, complice il clima mite di questo Novembre pazzerello, stanno ancora fiorendo... poco, per carità, ma quanto basta... Insomma, per farla breve, era un'occasione troppo ghiotta - letteralmente!! - per farsela scappare, così io e Roby abbiamo messo mano alla ricetta e alle pentole e abbiamo provato a fare queste meraviglie. Il risultato è stato assolutamente spettacolare! Per cui vado subito a condividere con voi questa ghiottoneria.
INGREDIENTI:
Artemisia metteva meno farina, e aggiungeva un petalo di rosa essiccato... ma noi abbiamo riscontrato che l'impasto restava un po' troppo morbido, mentre per il petalo di rosa non ne avevamo di profumati disponibili... magari riproveremo in primavera con i petali di rosa damascena. Per iniziare, si frullano i fiori con la farina e lo zucchero; quindi si uniscono burro ammorbidito, lievito e sale, amalgamando il tutto e aggiungendo l'uovo per ultimo. Una volta pronta la frolla, si lascia mezz'ora in frigo, quindi si stende e la si cosparge con lo zucchero semolato e si preparano i biscotti tagliandoli a mano (noi abbiamo fatto così) oppure mediante stampini. Quindi li abbiamo messi in forno caldo a 180°C per 10 minuti. Non appena dorati li abbiamo tirati fuori e messi a raffreddare.
Il risultato è stato assolutamente MAGNIFICO! Sono buonissimi, dei veri biscotti inglesi aromatizzati in maniera fantastica e delicata, fragranti al punto giusto e perfetti da accompagnare al thè o ad una tisana nei freddi pomeriggi autunnali. Provateli!!
Tra i tanti cambiamenti che il territorio del Veneto ha visto negli ultimi decenni, uno ha riguardato la quasi totale scomparsa di una tipologia di abitazione che aveva invece caratterizzato il paesaggio agreste delle campagne del veneziano, del trevisano e del padovano: il casone.
Le origini del casone si perdono nel tempo. La struttura semplicissima dei primi casoni di valle, due falde di tetto spioventi a formare un ricovero più o meno temporaneo, si è nei secoli arricchita sempre più, fino a trasformarsi in un modello abitativo di successo che ha funzionato senza particolari cambiamenti fino a metà del XX secolo.
Il casone ha, fin dalla sua origine, una struttura molto semplice. La sua caratteristica in assoluto più peculiare è il tetto, formato di fasci di cannuccia palustre (Phragmites australis) e paglia di grano disposti su una struttura in legno, a formare delle falde piuttosto inclinate per favorire lo scolo delle acque. Esteticamente questa caratteristica li rendeva probabilmente simili a certi antichi cottage inglesi. Quadrangolari nel padovano, più allungati nel trevisano, essi avevano nelle loro più recenti incarnazioni mura in mattoni che sostenevano il tetto e che contenevano gli ambienti abitativi, disposti a spirale nel padovano e linearmente nel trevigiano. Quasi sempre ad un piano, uno degli elementi fondamentali dei casoni era l'orientamento dato all'abitazione, fondamentale per garantire adeguati calore e luce, e soprattutto in base alle conoscenze sui venti dominanti, fattore questo di estrema importanza per un corretto tiraggio del camino: il rischio reale era infatti quello di incendio, provocato magari da frammenti di brace aspirati fino al tetto costituito di materiale vegetale. Ovviamente, queste strutture necessitavano per la loro stessa natura di costanti restauri e riparazioni, specie nella parte del tetto.
Un tempo, la trave principale del tetto era in pioppo, e nel padovano era abitudine mettere a dimora uno di questi alberi alla nascita di ciascun figlio maschio, per avere, al momento del suo fidanzamento, una piante dalle dimensioni adatte per allargare la dimora familiare. In seguito però i tronchi che formavano la struttura principale del tetto del casone vennero ricavati da abeti rossi ed altre conifere, che grazie ai commerci della Serenissima venivano importati dalle Dolomiti e che si rivelavano estremamente preziosi grazie alle loro maggiori durata e resistenza contro gli attacchi degli xilofagi. Il rimanente legname che costituiva trama e ordito del legno veniva ricavato da olmo, pioppo, salice ed altre essenze autoctone.
Nel corso del XX secolo, poi, l'architettura dei tradizionali casoni finì per cambiare, così come il loro utilizzo. Infatti ben presto iniziarono a fare bella mostra di sé case che univano un'architettura più moderna e complessa pur integrando ed assorbendo elementi tipici del casone; ad esempio, in alcune case di campagna parte del tetto continuava ad essere costituito di cannuccia palustre, mentre il resto era fatto di coppi. Sia quel che sia, i casoni perdettero lentamente ma inesorabilmente il loro ruolo principale nel panorama delle costruzioni rurali, per lasciare il posto a case più solide e moderne, spesso costruite a due piani, con tetto in coppi. Dapprincipio relegati al ruolo di ricovero per attrezzi o animali, in seguito essi vennero completamente abbandonati e distrutti. Ora come ora, nel padovano sono rimasti non più di 6 casoni, 4 dei quali nel comprensorio di Piove di Sacco. E proprio in questa città è possibile ancora vedere e visitare alcuni casoni meravigliosamente conservati e restaurati; ma di questo parleremo in un prossimo post.
Le foto d'epoca dei casoni pubblicate in questo post sono tratte dal libro di L. Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria (vedi bibliografia).
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Bibliografia
Più dell'85% dei dei bambini dai 2 ai 14 anni nel mondo è vittima di qualche forma di violenza, dalle punizioni corporali alle peggiori forme di abuso; 40 milioni sono abusati sessualmente, 1,2 milioni vengono trafficati, oltre un miliardo vivono in zone di guerra o conflitto, 218 milioni sono costretti a lavorare (quasi mezzo milione in Italia).
L'associazione Terre des Hommes con la sua campagna del Fiocco Giallo invita tutti a dire: “IO proteggo i bambini, SI’ alla prevenzione contro gli abusi” in occasione del 19 novembre, Giornata Mondiale per la prevenzione dell'abuso sull'infanzia. Contemporaneamente è possibile sostenere, fino al 22 novembre, la Campagna di Terre des Hommes donando 2 euro con un SMS al 48543 da cellulari TIM, Vodafone, Wind e 3, nonché da rete fissa Telecom Italia. Questa donazione si trasformerà in un'azione concreta in aiuto dei bambini vittima di violenza.
I fondi raccolti con la campagna saranno destinati a finanziare i progetti di lotta e prevenzione alla violenza sui bambini e, in particolare, le attività della “Casona”, il Centro di assistenza alle vittime di tortura di Terre des hommes Italia a Bogotà, unica struttura nel suo genere esistente in Colombia. Dal 2002 ad oggi ha soccorso oltre 4.000 persone, principalmente desplazados (profughi, sfollati interni), molti dei quali bambini. I pazienti vengono trattati con terapie olistiche di lungo periodo per poter riacquistare il proprio equilibrio e la fiducia nel futuro e nelle altre persone.
Promossa dalla Fondazione Summit Mondiale delle Donne di Ginevra la campagna quest'anno unisce quasi 800 organizzazioni non governative di 127 Stati. In Italia hanno raccolto l'invito oltre 130 siti e blog.
In acquariofilia gli Anabantidi sono sempre stati la mia grande passione. Oltre al Betta splendens, di cui ho già iniziato a parlare, ho cercato negli anni di allevare e riprodurre esemplari appartenenti ai più disparati generi, di solito con discreto successo. Uno dei miei desideri, però, era quello di riuscire a tenere il famoso gourami cioccolata (Sphaerichthys osphromenoides), un animale per me bellissimo ma che rappresentava una sorta di... sogno proibito: difficile da trovare in commercio, delicatissimo ed esigentissimo per quel che riguarda le caratteristiche dell'acqua e per la carica batterica della stessa, per anni su questo pesce e sul suo allevamento erano giunte notizie contrastanti. Addirittura la sua riproduzione sembrava avvolta nel mistero: oviparo od ovoviviparo, costruttore di nidi di bolle o incubatore orale? In ogni caso sembrava proprio che, per la sua delicatezza, fossi destinato a penare a lungo per trovare questi pesci.
Lungo fino a 6 cm, il gourami cioccolata prende il proprio nome dalla colorazione color cioccolato scuro, ravvivata da strie verticali dorate. E' diffuso in un ampio territorio che comprende Malaysia, Borneo e Sumatra. Se immaginate che pesci così delicati in acquario in natura vivano in acque cristalline e purissime... Beh, vi sbagliate di grosso!! Questi animali sono stati trovati in ruscelli puliti, questo è vero, ma anche in pozze stagnanti eutrofizzate e persino nei canali di scolo dei campi coltivati e degli allevamenti di polli, spesso con concentrazioni di pesticidi da brividi! Eppure, questi gioiellini in acquario sembrano avere l'unica ambizione - come disse Dieter Vogt, se non sbaglio - di morire al solo guardarli storti! Appassionati di labirintici come Horst Linke sono ovviamente riusciti ad allevare questi pesci ed i loro congeneri, e persino a riprodurli con successo. In questo caso, i pesci venivano tenuti in acquari totalmente spogli o quasi, con pH pari a 4,5 - 5, 2-3 °dGH, cambi frequenti, sifonatura costante del fondo (importante perchè sennò si formano i batteri per la decomposizione degli avanzi di cibo), temperatura 26 - 28°C, filtraggio attraverso torba, ecc...
E qui mi vengono una serie di osservazioni in mente... ad esempio, chi sifona il fondo di uno scarico di acqua lurida di un allevamento per polli? O ancora, la carica batterica di una pozza fortemente eutrofizzata è davvero così bassa? Insomma, com'è che dovremmo allevare questi animali in condizioni così palesemente innaturali?
Per me, che sono da sempre un assertore dell'acquario inteso come un mini-habitat (quasi) indipendente, tutto questo è davvero quasi inconcepibile. Se da un lato venire incontro alle esigenze fisiologiche di un pesce è sacrosanto, credo sia necessario d'altronde trovare un modo di allevarlo che non risulti totalmente innaturale. In fondo, se in natura questi pesci colonizzano acque tanto diverse da loro, devono possedere in bagaglio potenziale di adattabilità notevole... forse - e dico FORSE - l'unica vera sfida è fargliela tirare fuori. L'idea che mi sono fatto è che questi animali siano soprattutto molto sensibili ai bruschi cambi di valori dell'acqua, e che reagiscano abbassando fortemente le loro difese immunitarie. Per questo è più importante che mai, al momento del passaggio da sacchetto di plastica ad acquario, fare un adeguato ambientamento aggiungendo all'acqua del sacchetto quella dell'acquario, in piccole dosi, e poi rilasciare delicatamente i pesci in vasca dopo una ventina di minuti.
Il gourami cioccolata ha infine rivelato parte dei suoi segreti agli allevatori che con caparbietà l'hanno studiato. Ad esempio, si è infine scoperto come questo pesciolino si riproduce: è un incubatore orale, cioè la femmina, dopo la deposizione e la fecondazione delle uova, prende queste ultime in bocca e le tiene lì, ben protette, per due settimane (periodo nel quale essa cessa di nutrirsi). Alla fine di questo periodo essa rilascia i piccoli, lunghi circa 6-7 mm ma già in grado di nutrirsi di naupli di artemia ed altri minuscoli crostacei. Anche i pesci adulti (dai quali i piccoli devono essere allevati separatamente) hanno una forte predilezione per il cibo vivo, o almeno congelato, ma si adattano pure al granulato e al cibo in fiocchi. In teoria, si possono allevare gruppi di 5-6 esemplari in una settantina di litri d'acqua; i pesciolini diverranno persino territoriali, se si sentiranno a proprio agio.
Sia quel che sia, per anni i gourami cioccolata rimasero un sogno, almeno fino a quando non incontrai un eccezionale negozio di acquari, il D.A.M. di Selvazzano (Padova), i cui proprietari Mario e Michele sono prima di tutto grandi appassionati di acquariofilia, e non sono dei "pescivendoli". Tramite loro riuscii ad ottenere il mio primo gruppo di "cioccolatini", appena più grandi dell'unghia di un pollice ma già perfetti nella loro colorazione cioccolato scuro a bande dorate. Bellissimi, scivolavano nella vasca con eleganza, e dopo alcune perdite iniziali il gruppo continuò a vivere per molti mesi senza problemi di sorta. Purtroppo, forse a causa degli altri ospiti presenti in vasca, non riuscii ad ottenerne la riproduzione; fu un vero peccato. Poi passarono gli anni, si succedettero altri pesci, la vasca acquistò altri equilibri, ed infine trascorsero 3 anni in cui l'acquario ospito solo piante, pochi gamberetti ed altri crostacei. A parte i periodici rabbocchi d'acqua, non dovevo fare nulla: un vero mini-ecosistema. Anche l'arrivo di una coppia di pesci combattenti non variò di molto la situazione: avrei potuto lasciare i pesci senza dar loro cibo per settimane, e loro non ne avrebbero risentito. Poi, proprio pochi giorni fa, passando in un negozioi miei occhi sono caduti su due minuscoli, meravigliosi cioccolatini, abbastanza in forze ma un po' denutriti. Così, senza pensarci troppo, i due sono stati prelevati e rilasciati dopo un accurato ambientamento nell'acquario... i Betta sono stati trasferiti, per evitare che disturbassero troppo i nuovi arrivati, e gli Sphaerichthys hanno subito iniziato a girovagare e - gioia e gaudio! - a nutrirsi dei crostacei che colonizzano le alghe. L'unica accortezza che avrò sarà quella di effettuare i rabbocchi con acqua demineralizzata cui aggiungerò della torba per abbassarne il pH; per il resto, lascerò che gli animali vivano in maniera il più possibile simile a qella che avrebbero avuto in natura. Se poi dovessero essere una coppia...
L'autunno arriva anche quest'anno, finalmente. Dico finalmente perchè a me, personalmente, piace sempre molto, con tutte le sfumature del dorato e dell'arancio degli alberi e della frutta che contrastano bellamente con il verde scintillante dei prati e col grigio della nebbia.
L'autunno porta al solito tempi di cambiamenti. Le galline, dopo esser state rinchiuse nei recinti durante l'estate, hanno iniziato a godere di nuovo della campagna. A turno, ogni giorno un recinto differente viene aperto e i suoi occupanti prendono possesso del prato e del frutteto, tornando a cercar cibo contente sotto i cespugli di alloro e gli alberi di caki, ingozzandosi di erba fresca e di vermicelli etratti con lunghe ed operose manovre di razzolamento. A turno, sì, perché altrimenti i galli si massacrerebbero tutti tra loro... purtroppo bisogna tenerli separati.
Ma non è l'unica novità, come avrete capito dalla foto iniziale... Abbiamo un nuovo cagnolino, anzi, una nuova cagnolina!!! Si chiama Virgola (mio padre la chiama Diana, ma vabbè...), è una meravigliosa bastardina e ci tengo a precisare immediatamente una cosa importante: LA SUA CODA NON E' STATA TAGLIATA!!! Virgola proviene da una famiglia di cagnetti (di cui fa parte anche Fritz, uno dei miei botoli, che tra l'altro è un suo prozio) che nascono già senza coda o quasi, solo con un breve moncherino. E' bellissima, con i suoi occhioni verdi e le orecchiotte da pipistrellina! Sta già dimostrando un'intelligenza vivacissima ed un carattere coccolone e giocherellone. Viste le dimensioni dei suoi avi, ci aspettiamo che rimanga piccola, una meravigliosa botolina da guardia e da compagnia... Speriamo sia anche una brava cacciatrice di topi, come la mamma ed il prozio!
Se possibile, cercheremo di non farla sterilizzare, isolandola in recinto per quei pochi giorni all'anno in cui andrà in calore... La nostra filosofia, per quanto possibile, è sempre quella del "non tagliare". Niente tagli alle orecchie, niente taglia alla coda, niente castrazione. Magari un giorno diventerà anche mamma, chissà... Abbiamo una grande fortuna, quella di vivere in un tessuto sociale ancora in parte ben legato alla ruralità, in cui le cucciolate di cagnolini di norma trovano in pochi giorni padroni ansiosi di accudirle. Nel frattempo non mi resta che sperare che cresca bella, forte e sana come gli altri due botoli che le stanno al momento facendo da "tutori", e con la quale ha già iniziato a formare un trio di moschettieri davvero bellissimo.
Ci sono posti che esulano dalla semplice bellezza formale, e che finiscono con divenire parte dell'anima e dell'immaginario di coloro che li visitano. E' questo certamente il caso dei giardini seicenteschi di Villa Barbarigo a Valsanzibio, sui Colli Euganei.
Li abbiamo visitati per la prima volta, io e Roberta, 4 anni fa. Una vacanza dietro porta, qualche giorno passato da una località all'altra del padovano, a scoprire, vedere e gustare luoghi, cultura e natura. Ma a Villa Barbarigo ci siamo davvero perduti. Tra cancelli che portavano nel bosco, peschiere abitate da cigni curiosi, siepi potate al millimetro e prati selvaggi, Ci siamo completamente lasciati vincere dalla magia e dalla meraviglia di questo che uno dei più begli esempi di giardino simbolico presenti nel nostro Paese. E non vi tedierò nemmeno con la sua storia o sul modo in cui raggiungerla: tutte le informazioni utili le troverete nel sito ufficiale. Mi limiterò a lasciarvi alle foto scattate quel giorno di settembre, in attesa di potervene proporre altre, magari, più avanti e più recenti. Purtroppo allora non avevo la mia fida Olympus e300... la qualità delle immagini non è quindi delle migliori!
Dedico questo post ad una persona, Mimma Pallavicini, che col suo blog pochi giorni fa mi ha dato modo di tornare a vagheggiare con allegria su questa meraviglia, e sul periodo in cui la visitai. GRAZIE DI CUORE!!
Ho già avuto modo di raccontare di come, qualche anno fa, l'incontro con l'anziana rosa veilchenblau patavina abbia stimolato la mia passione per le rose. Non per tutte le rose, sia chiaro; molte le trovo insipide, quasi noiose. Sono (queste ultime) soprattutto certe cultivar moderne; quelle che in genere riscuotono maggiormente le mie simpatie sono le rose antiche, così come le varietà botaniche e quelle selezionate nella prima metà del '900.
Sono le rose dei nostri nonni, rose che spesso fiorivano una sola volta nell'arco dell'anno, ma con una generosità insospettabile e con profumi intensi ed avvolgenti che facevano aspettare con ansia il momento in cui, l'anno dopo, si sarebbero potute ammirare ancora. Sono le rose che facevano belli gli orti di campagna, le antiche corti contadine, le case patronali e le ville dei signori; sono le rose che facevano sognare i poeti e le dame. Molte di queste rose sono scomparse, decine di varietà che si sono estinte nel nulla o quasi, piante di cui si sono dimenticati nome ed ascendenze. Eppure, tante di queste piante sopravvivono ancora, magari nascoste tra le mura dei vecchi cimiteri, avviluppate ai ruderi di ville padronali abbandonate o nei giardini incolti delle aie ora silenziose di vecchie case contadine. E in questi anni, proprio nei confronti di queste rose si è spostata la mia attenzione.
Prima dell'incontro con la veilchenblau, per me la rosa per eccellenza era quella ereditata dalla nonna Elvira, la vecchia e robustissima Queen Elizabeth; generosa come poche, bella, vitale. In seguito, dopo la scoperta delle rose antiche, ho iniziato a guardarmi intorno con occhi diversi. E così, ecco che lungo una recinzione compaiono come per magia una Alberìc Barbier ed una rosa antica che somiglia molto alla Boubon Queen; ecco che diventa evidente la bellezza di una rosa a fiore semplice nel cortile della nonna di mia moglie; ecco una rosa rossa esuberante, a fiore doppio, che avvolge una casa contadina abbandonata, intrecciandosi con un'edera secolare. Scoprire il nome di alcune di loro sembra impossibile; nessuno le ricorda più, non si trovano descrizioni o immagini. Che fare? Io, quando posso, cerco di moltiplicarle per il mio giardino. Certo non da seme (sarebbe impresa improba e poco fruttuosa con queste varietà), ma per via vegetativa. Così, armato di forbici, prelevo i rami destinati a diventare talee. Al temine dell'estate ed in autunno si possono fare talee legnose, con rami dell'anno dalla base legnosa e ricchi, in basso, di gemme dormienti. Sarà a livello di questi nodi che la talea emetterà le sue radici. Potrà essere utile spolverare la base con un'ormone radicante. Le talee dovranno essere lunghe almeno tre o quattro nodi, e sarebbe bene eliminare in esse tutte le foglie tranne il primo paio in alto. Vanno interrate per metà in un vaso, riempito con terriccio composto per metà da sabbia e per metà di humus, e collocate in un luogo luminoso ma che non riceva la luce diretta del sole. E' importante che esse vengano ben annaffiate, e che il terriccio venga mantenuto leggermente umido. Preparate in autunno, inizieranno a mostrare le prime foglie la primavera successiva, ma occorrerà un altro anno in vaso prima di piantarle a dimora (questo per dar loro maniera di irrobustire le radici).
Un'alternativa interessante alla moltiplicazione per talea è quella per innesto a gemma, o ancora la preparazione di una margotta; in ogni caso, ciò che conta sarà il risultato: riuscire a conservare nella loro bellezza e purezza quei fiori che hanno fatto sognare le generazioni che ci hanno preceduti.
Venerdì scorso, orto dei miei genitori, stralcio della conversazione con mamma.
-Andrea, vedi un po' cosa sono quei vermi, o bruchi, non so... sono sulle foglie di cavolo.
-(dopo aver osservato i bruchi in questione) Ah, sì, sono belli... sono bruchi di cavolaia.
-Se ti interessano prendili, 'ché sennò li faccio fuori, perché mi stanno mangiando tutti i cavoli.
-Ma non potresti lasciarli lì un altro po'? Tra poco fanno crisalide, non mangiano più tanto...
-...
-Lo prendo come un no, vero?
Ecco, è andata più o meno così. In effetti, spiegare a qualcuno che gli amati cavoli, cui ha dedicato cure e attenzioni per settimane, dovrebbero continuare ad essere mangiati da insolenti piccoli bruchi solo per poter vedere qualche farfalla in più in primavera, è un'operazione che di norma comporta qualche piccolissimo problema. E per di più le cavolaie sono davvero ancora abbastanza comuni, per cui... Però queste farfalline mi stanno sempre e costantemente simpatiche. Sarà perché sono tra le prime farfalle che ho inseguito a perdifiato nei campi, da bambino, sarà perché sono tra le prime specie a comparire in primavera, e tra le ultime a svanire con l'autunno...
Le comuni cavolaie sono farfalle appartenenti alla famiglia dei Pieridi, molto diffuse e legate nei primi stadi vitali principalmente a piante della famiglia delle brassicacee... quindi cavoli, cavolfiori, cappucci e compagnia bella. Pare che le mamme cavolaie siano irresistibilmente attratte nella scelta della pianta cui affidare le proprie uova da certe sostanze aromatiche prodotte proprio da questa famiglia di vegetali. In alternativa anche dei Tropeolum sono visti come potenziali nursery, ma i cavoli rimangono sempre la prima scelta di questi insetti... ragione questa del motivo per cui sono stati così ampiamente detestati da generazioni di orticoltori.
I bruchi trovati da mia mamma sono gli stadi giovanili di Pieris brassicae, la cavolaia maggiore, la specie più grande presente da noi (tra i 5 ed i 6 cm di apertura alare). Vi sono erò ovviamente anche altre specie, come ad esempio Pieris rapae, più piccola e con bruchi di un tenero verde chiaro chiazzato di giallo, molto più mimetici di quelli della cugina maggiore. Anche questa specie in effetti frequenta il nostro orto, ma meno vistosamente e con minori danni per le verdure... Anche se in verità erano anni che non trovavo una nidiata così numerosa di cavolaie maggiori. questa è ovviamente la seconda generazione dell'anno; la prima si era sviluppata tra la primavera e l'estate, passando un breve periodo nello stadio di crisalide. Ora invece il sonno della pupa sarà più lungo, ammesso che non venga interrotto da qualche uccelletto predatore...
Ma come fare per risolvere l'amletico dubbio con mamma e salvare capr... pardon, cavolaia e cavoli? Semplice: i bruchi, oramai prossimi alla metamorfosi, saranno trasferiti in una gabbietta e nutriti con brassicacee selvatiche e foglie già danneggiate di cavolo, fino a che non si impuperanno; quindi le crisalidi saranno portate in campagna e lì lasciate svernare in un luogo riparato. E l'anno prossimo, per prevenire piccole tragedie, seminerò un filare di cavoli lungo la riva, in maniera da potervi trasferire quelle sconsiderate nidiate di bruchi che tenteranno di insidiare le piante nell'orto di famiglia.
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