Un campo di mais al tramonto. Foto di Andrea Mangoni.
La notizia è di pochi giorni fa. Il Governo Italiano, abbastanza in sordina, ha deciso di sdoganare la coltivazione degli OGM. Molte voci contrarie - tra queste il Ministro alle Politiche Agricole, Luca Zaia, e molte associazioni di coltivatori e di consumatori - e alcune voci favorevoli - specie quegli enti locali che vedranno creati dei fondi a loro favore. Ci attendono anni di "sperimentazione" per stabilire la convivenza tra colture OGM e tradizionali, convivenza che l'Unione Europea ha già bollato come impossibile. Che cosa pensare? Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro? Gli OGM sono davvero il mostro biblico che viene prospettato da taluni, o rappresentano il luminoso futuro dell'agricoltura, come vorrebbero altri?
Non sono un esperto in materia, ma qualche considerazione la vorrei fare lo stesso. Innanzi tutto, vorrei specificare una cosa: io NON sono contrario per partito preso agli OGM. E allo stesso modo, non sono ad essi favorevole INCONDIZIONATAMENTE. Ritengo quindi importantissimo ragionare, guardando il più possibile a ciò che essi rappresentano e a ciò che possono portare.
Cos'è un OGM? Un Organismo Geneticamente Modificato. Per dirla in soldoni, prendiamo un essere vivente ed inseriamo nel suo genoma un pezzo di DNA proveniente da un altro tipo di organismo, che ha delle caratteristiche che a noi interessano. Ad esempio prendiamo il cotone (Gossypium sp.), e gli inseriamo il DNA del Bacillus thuringiensis, che produce una tossina letale per gli insetti. Otteniamo così una pianta di cotone che diventa difficilmente attaccabile dai parassiti e che abbisogna di minori pesticidi. In teoria.
Sottolineiamolo bene: IN TEORIA.
In pratica, qualunque osservazione riferibile ad un OGM, in bene o in male, pregio o difetto, è constatabile solo dopo aver avito riscontri pratici. Di nuovo, in soldoni: non si sa se funziona fino a che non si prova. Dire che sono un bene o un male è quindi una semplificazione troppo banalizzante, anche perché sotto il nome OGM includiamo piante, ortaggi, cereali, microorganismi totalmente differenti fra loro. Magari esisterà un grano OGM resistente alla siccità che sarà la benedizione per le terre in via di desertificazione, e da un'altra parte ci sarà una soia OGM che fa venire le bolle in faccia a chi ne mangia il seitan. La prima cosa da pensare, quindi, è NON GENERALIZZARE. MAI. Però, se da un lato non è giusto avere riguardo agli OGM delle pregiudiziali assolute, ci sono tutta una serie di considerazioni di altra natura che mi portano a dire che no, in Italia gli OGM io non ce li vorrei.
Innanzi tutto, gli OGM in campo agricolo sono in mano a poche multinazionali, che fanno il bello e cattivo tempo piegando letteralmente le economie di Paesi poveri e innescando reazioni a catena disastrose. Inoltre, l'OGM in agricoltura rischia di ledere un diritto fondamentale: e cioè il diritto di non volerlo nel proprio campo. Pensateci: mais, grano, avena, orzo, riso, tutti sono impollinati dal vento. Come si può far convivere fianco a fianco una coltura tradizionale con una coltura OGM? Basterà una folata più forte delle altre per ritrovarsi nel campo, l'anno successivo, solo semi OGM. Con anche delle possibili ripercussioni legali. In America non sono mancate le class action volte a chiedere risarcimento dei danni dovuti alle contaminazioni da OGM, e già la Bayer ha perduto una causa per aver inquinato geneticamente il riso di alcuni agricoltori a causa della vicinanza dei campi di questi ultimi con i campi di riso transgenico della multinazionale. Insomma, esiste un enorme pericolo di perdita della biodiversità agricola, che potrebbe vedersi azzerata dalla diffusione di questi organismi.
Campi di grano in Toscana. Presto tutti OGM?. Foto di Andrea Mangoni.In India, dove il cotone OGM doveva rappresentare una benedizione, si è rivelato un flop colossale: ha avuto bisogno di più pesticidi e di costi di gestione maggiori, e per di più ha dato raccolti scadenti. Come se non bastasse, la Natura ha fatto il suo corso: ecco comparire quindi un parassita del cotone, la Helicoverpa zea, che ha sviluppato in certe sue popolazioni una resistenza alle tossine del B. thuringiensis. Così dovranno essere utilizzati nuovi pesticidi, che - OH! - come per magia sono stati già preparati dalla multinazionale produttrice del cotone stesso. Negli USA pare sia aumentato invece, con l'utilizzo degli OGM, il consumo di pesticidi; in compenso è diminuita la produttività. Hanno già preannunciato che uno dei grandi vantaggi per l'agricoltura italiana sarà il minor numero di erbicidi adottati. Perchè? semplice: perchè le piante OGM saranno resistenti al Roundup, un erbicida molto potente a base di glifosate prodotto, chissa come mai ci stupisce poco, sempre dalla stessa ditta che produce i semi OGM, la Monsanto. L'idea è semplice: produco una pianta resistente al glifosate, così lo posso utilizzare sulle coltivazioni distruggendo le erbacce. E' vero che è molto potente, però usando solo quello diminuirò il numero di trattamenti e le quantità di altri erbicidi. Peccato che si facciano troppo spesso i conti senza l'oste, ovverosia la Natura... Come per la farfallina del cotone, cosa succederà se inizieranno a nascere erbacce resistenti al glifosate (cosa che puntualmente accadrà)? E che cosa ne direste se la colpa fosse proprio delle coltivazioni OGM? E' già successo infatti che la colza OGM si sia incrociata con piante di senape selvatica; esiste la concreta possibilità che l'impollinazione incrociata tra specie differenti trasferisca prima o poi a delle infestanti le capacità di resistenza al Roundup ed altri erbicidi proprie delle coltivazioni OGM, col risultato di dar vita ad organismi nocivi diffcilmente debellabili.
Altro problema: gli OGM faranno bene o male alla nostra salute? E' un tema piuttosto sentito e che preoccupa molti, e la risposta è sempre la stessa: non lo sapremo finchè non proveremo. Esistono nei dati concreti a riguardo di singoli casi, che mostrano soprattutto come certi effetti siano assolutamente imprevedibili. Ad esempio, i fagioli sono in grado di produrre una proteina che provoca la morte del tonchio, un piccolo coleottero fitofago che parassita i legumi. Si è quindi cercato di trasferire la stessa dote in un pisello, in maniera che questo divenisse resistente al coleottero. Purtroppo i cambiamenti nel genoma del pisello hanno causato un effetto imprevisto: la modifica della struttura di una proteina prodotta dai piselli stessi. Una piccolissima modifica strutturale, certo, che però è bastata a rendere la proteina stessa irritante per le cavie da laboratorio.
E ancora, recentemente, l'Istituto Nazionale di Ricerca per gli alimenti e la Nutrizione ha fatto rilevare come a fronte di una maggiore produttività in granella, il mais transgenico produce quantità di lignina quasi 4 volte più elevate rispetto a quello normale, il che rende il trinciato da esso derivato molto meno appetito dagli animali che se ne nutrono. Tutta da verificare invece un'altra notizia apparsa sui giornali, e cioè che topi nutriti con mais OGM avrebbero mostrato alterazioni del sistema immunitario.
Insomma, come si può capire, un argomento complesso. Soprattutto perchè, che lo si voglia o no, conviviamo con gli OGM da diversi anni. Mais e soia utilizzati per produrre i mangimi per gli animali sono infatti per buona parte OGM; e questi animali noi li mangiamo da tempo. Ed è presto per dire se vedremo effetti negativi o meno.
Nella mia totale innocenza, continuo a pensare che ci possano essere altre strade. Altre vie. Vie come quella intrapresa da Ken Street, che cerca nella ricchezza dell'antica biodiversità agricola mondiale la soluzione a molti problemi presenti. E' una strada che sento molto più mia, e che vorrei vedere più bella e splendente.
Sapete che vi dico? Quest'anno se posso mi pianto un paio di trini di buon mais biancoperla autoctono. In isolamento temporale. Alla faccia del mais BT OGM.
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Foto di Ann Geddes. Trovata in rete.

Per qualcuno un post del genere potrà sembrare spiazzante e fuori luogo, in questo blog. Ma in questi giorni sentivo di doverlo scrivere. Anche qui. A chi si aspettava il solito post su piante, animali, o ricordi, chiedo di avere pazienza. Il prossimo tornerà ad essere “in linea”. Ma questo, oggi, no.

Ottobre 2009. Cado leggero, i miei occhi sono puntati sullo schermo bianco e nero che mostra il mondo esploso all’interno di Roberta. Ci stringiamo per mano, io e lei, mentre nostro figlio, a 10 settimane di vita, si ostina a darci risolutamente le spalle. Ooopps, pardon: le minuscole chiappette. Avevo sempre pensato che i bimbi, nella pancia della mamma, fossero totalmente inerti, privi di movimento, come addormentati e satolli nel loro piccolo mare. Almeno per le prime settimane. Come mi sbagliavo!! Nostro figlio è lì, che si agita, mentre la dottoressa lo disturba con l’ecografo. Inizia a muoversi, le gambine prima rilassate si contraggono, la schiena si contorce tutta, velocissima, come se stessimo facendo il solletico ad un cucciolo addormentato. Poi, in una frazione di secondo, si gira e lo vediamo di profilo. Lo guardiamo muoversi, portarsi le manine alla bocca, quindi (quando la dottoressa da un colpo troppo forte) si rannicchia tutto, stringe i pugnetti e se li porta davanti agli occhi, come a stropicciarseli. E' lungo solo pochi centimetri. Ed il battito del suo cuore è come il galoppare di un cavallo selvaggio.

Penso spesso, e più ancora in questi mesi in cui l'arrivo di una nuova Vita ci sta benedendo, a tutte quelle minuscole esistenze che, per dolore, difficoltà ed ignoranza, ancor prima di fare il primo respiro o di aprire gli occhi una sola volta, vengono gettate via, sciogliendosi come fiocchi di neve rossa sull'asfalto dei marciapiedi.

Feto di 8 settimane. Foto trovata in rete.Nel 2008, nella sola Italia, sono stati eseguiti quasi 56.000 aborti. Significa 213 aborti ogni mille nati vivi. Praticamente, quasi una nuova vita umana su cinque finisce la propria esistenza nel cestino dei rifiuti di una sala operatoria. Nei primissimi anni '80, il rapporto era di 380 ogni mille nati di vivi. Se allora la percentuale di gravidanze che terminavano con un aborto era quindi del 27,5% circa, oggi siamo passati circa al 17,5%. Si sono ridotte, lo so, ma mi sembrano sempre troppe. Le sento troppe.

Così come sento troppi i circa 15000 (quindicimila) aborti clandestini praticati in Italia nel 2008. In pratica più del 20% degli aborti, nel 2008, è stato clandestino. E' solo una stima, certo, ma dopo trent'anni - TRENTA!!! - di applicazione della legge nata proprio per far fronte al fenomeno della clandestinità resta per me assolutamente inaccettabile.

Ho sentito tante persone dire che l'aborto non uccide nessuno, che è solo l'asportazione di un grumo di cellule. Ripenso alle prime due ecografie di Pietro, alle sue manine e ai suoi piedini, al nasino e agli occhi; aveva tra le dieci e le undici settimane. Oltre il 60% degli aborti avviene tra l'8° e la 12° settimana. Non più grumi di cellule, non più embrioni, ma feti, che come Pietro sono vitali, veloci, in continuo divenire... anche se fin dal momento dell'incontro tra ovulo e spermatozoo erano tali, Vita in divenire costante, combinazioni e possibilità uniche che non si ripresenteranno mai più in tutta la storia dell'universo.

Ho conosciuto persone piene di dolore costrette a privarsi delle vite che portavano in grembo, e al contrario ho conosciuto gente che parlava del proprio aborto come di un'operazione di appendicite. Ho visto persone inalberarsi per difendere una legge – la 194 – che non avevano palesemente mai letto in vita loro. Ho visto donne rifiorire quando altre persone hanno offerto loro un aiuto concreto affinché potessero dare la vita al proprio piccolo.

Ho sentito dire che rianimare un bimbo sopravvissuto ad un aborto significa attentare alla 194, anche se in realtà la 194 prevede proprio di salvare i piccoli che dovessero riuscire a sopravvivere all'operazione. Non so, saranno stati impegnati a difendere più le loro aspettative sulla legge, che la legge stessa. Ho sentito dire che chi mostra come vengono eseguiti gli aborti è l'unico e vero violento, forse perchè nella società gieffina le cose vanno fatte senza che si possano mostrare, vanno eseguite mentre gli occhi sono da un'altra parte, e la violenza non è prerogativa di chi fa, ma di chi fa sapere. Si chiede a gran voce la pillolina che fa sparire la gravidanza come per magia, tanto quello è, una malattia da curare con la pastiglia; e per carità, che non si faccia in ospedale: prendiamola sul divano, dopo cena, mentre guardiamo la TV. CHI poi dovrebbe controllare nel water l'avvenuta espulsione dell'embrione, non l'ho capito. La donna che ha abortito? Il suo compagno? Non so. Credevo fosse più logico che fosse un dottore, in un ambiente che potesse accogliere e proteggere la donna.

Mi chiedo spesso perchè continuiamo a combattere sintomi quando per guarire dovremmo cercare di curare le cause. La 194 è uno strumento. Non dovrebbe essere vissuta come un dogma religioso. Io la vedo come l'Aulin dato ad un malato di cancro al cervello per attenuargli il mal di testa. Ha una sua utilità, ovviamente, ma il problema vero è altrove. E' nella mancanza di una profonda, serissima e fortissima educazione sessuale nelle nuove generazioni. E' nella mancanza di aiuti concreti per quelle madri che abortiscono solo perchè credono di non aver altra scelta, nella mancanza di un sostegno alle famiglie più povere e alle donne sole, è anche nell'assenza di impegno sociale e di generosità che risiede il vero problema, secondo me.

E ciò che vorrei non è la soppressione o l'assenza della 194, assolutamente; quello che vorrei sarebbe vederla svuotarsi molto più rapidamente di significato, vedendo ridurre drasticamente i motivi ultimi per cui nel 2010 si decide ancora di abortire. Vorrei vedere quei bimbi nascere. Lo vorrei tanto.

Davvero.

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Le foto di questo post sono state trovate tutte in rete. La prima è di Anne Geddes; la seconda mostra un feto di 8 settimane di vita. Nell'ultima, quello che si vede sono due feti. Uno di 12 settimane, l'altro di 14. Uno dei due può essere legalmente abortito, l'altro no. Ma non sarò io a dirvi quale dei due.

I dati statistici sono stati elaborati dalla Relazione del Ministero della Salute sull'Applicazione della legge 194/78 nell'anno 2008.

Feto di 12 e feto di 14 settimane. Foto trovate in rete.
Due uova nel nido. Foto di Andrea Mangoni.
Tra le domande che mi vengono poste più frequentemente riguardo alla selezione dei polli, c’è di sicuro questa:

"Ho più di un tipo di polli nel mio allevamento, e gli animali vivono tutti insieme. Se voglio avere dei pulcini di razza pura, quanto devo tener separata la coppia o comunque gli animali che mi interessano dal resto del gruppo, prima di poter incubare le uova avendo certezza della paternità?"

La risposta è meno scontata di quel che sembra. La biologia ci informa che il seme del gallo può in genere fecondare per circa 21 giorni le uova nel corpo della gallina. Ancora più in soldoni, mettete un gallo con delle galline per un paio di giorni: per le successive tre settimane, tutte le uova che esse produrranno risulteranno fecondate da lui.
Nella pratica dell’allevamento questo ha delle ricadute estremamente interessanti. Infatti, se alleviamo insieme più razze e poi le separiamo in vista della riproduzione, per avere certezza della paternità dei pulcini dovremo scartare tutte le uova deposte nei primi 21 giorni, e mettere ad incubare solo quelle deposte successivamente.
A volte ovviamente ci sono eccezioni a questa “regoletta”. Ad esempio, a volte sembra che lo sperma di un gallo sopravviva molto meno; questo capita più spesso quando il gallo è vecchio. Altre volte accade proprio il contrario: il seme sopravvive molto oltre il previsto, anche più di un mese. Un giorno un mio amico allevatore decise di chiudere in una gabbia il grande gallo di razza Faverolles che dominava su tutti i suoi polli, in maniera di poter riprodurre in purezza i suoi Phoenix. Destinò alla mensa le uova per un mese, quindi iniziò ad incubare. Fu tutto inutile. Dopo 20 giorni, ad oltre 50 giorni cioè da quando il Faverolle era stato chiuso, continuavano a nascere pulcini con barba e/o 5 dita, caratteristiche queste della razza Francese.
Si tratta però di casi più unici che rari; in genere, la regola delle tre settimane funziona alla grande. E visto che con febbraio le galline in genere riprendono a deporre (no ghè xè ga£ina o ga£inassa, che a febraro l’ovo no £a fassa, ovverosia "non c'è gallina o gallinaccia che a febbraio l'uovo non faccia") è il caso di iniziare già adesso a separare i riproduttori, se vogliamo mettere a incubare qualcosa a marzo. Ciao!

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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Gruppo di Livorno Pile. Foto di Andrea Mangoni, esemplari di Loris Traverso.
Melitaea phoebe. Foto di Andrea Mangoni.

In questi giorni ho avuto notizia di un BELLISSIMO progetto, nato da un'iniziativa del Museo di Storia Naturale di Venezia e mirato a far luce su un particolare aspetto della Biodiversità del Veneto: la stesura di un Atlante dei Ropaloceri del Veneto.

E chi sono i sarebbero i Ropaloceri? Ma le meravigliose farfalle diurne! Questi insetti, importanti indicatori ambientali, sono stranamente stati poco studiati nella loro distribuzione locale; nasce da qui l'esigenza di poterne conoscere gli areali attuali delle singole specie, tenendo conto del fatto che ci sono ancora aree, come i Monti lessini ed i Colli Euganei, per le quali tali dati risultano ancora molto frammentari.

Chiunque può aiutare, inviendo i dati in proprio possesso seguendo le linee guida presenti sul sito del progetto in questione, che è il seguente:

http://www.farfalleveneto.eu

QUI potete trovare una presentazione PDF del progetto, da scaricare e diffondere. Chiunque può dia una mano! A presto!

Gonopteryx rhamni che si nutre. Foto di Andrea Mangoni.