La costa orientale di Corfù, nei pressi di Aghios Ioannis. Foto di Andrea Mangoni.
Poi, tutt'a un tratto, il sole spuntò sull'orizzonte e il cielo prese il colore azzurro smalto dell'occhio della ghiandaia. Le infinite e meticolose curve del mare si incendiarono per un istante, poi si fecero d'un intenso color porpora screziato di verde. La nebbia si alzò in rapidi e flessibili nastri, ed ecco l'isola davanti a noi, le montagne come se dormissero sotto una gualcita coperta scura, macchiata in ogni sua piega dal verde degli ulivi. Lungo la riva le spiagge si arcuavano candide come zanne tra precipiti città di vivide rocce dorate, rosse e bianche. [...]Doppiato il promontorio, le montagne scomparvero e l'isola si trasformò in un declivio dolce, macchiato dall'argentea e verde iridescenza degli ulivi, interrotta qua e là dal dito ammonitore di un nero cipresso stagliato contro il cielo. Il mare poco profondo nelle baie era azzurro farfalla, e nonostante il rombo dei motori potevamo distinguere l'eco soffocata - che ci giungeva dalla riva come un coro di voci sottili - degli stridi acuti e trionfanti delle cicale.
Gerard Durrell, La mia famiglia e altri animali, Adelphi (2004)
Facevo le medie quando per la prima volta mi ritrovai per le mani un libro di Gerald Durrell. Anzi, a dire il vero erano due: "Incontri con animali" e "La mia famiglia e altri animali". Se leggere il primo libro fu interessante, finire il secondo fu una vera e propria rivelazione. Avevo trovato un amico, un altro ragazzino che come me sognava di introdurre in casa le più bizzarre specie animali e che non era affascinato dai rettili meno di quanto non lo fosse dagli uccelli o dai mammiferi, un ragazzino che allevava scaraei e mantidi religiose proprio come io facevo o avrei voluto fare.
Era un ragazzo davvero particolare, quel Gerald Durrell, che sentii immediatamente affine, nonostante avesse avuto la sua giovinezza (e le sue esperienze in quella che dipingeva come un'isola magica) oltre 30 anni prima che io nascessi. Ne rimasi così affascinato che, con gli anni, acquistai tutti i libri che riuscii a procurarmi su di lui, o meglio scritti da lui. Sì, perchè Gerald Durrell era tanto un naturalista quanto uno scrittore, dotato di una penna sottile ed efficace, che sapeva divertire, dipingere ed insegnare con la stessa maestria.
La Corfù che Gerard Durrell dipinse nei suoi libri "La mia famiglia e altri animali", "L'isola degli animali" e "Il giardino degli Dei" (quest'ultimo non ancora tradotto in italiano) rimase sempre un sogno per me, almeno fino al momento del mio matrimonio. Sì, perchè mia moglie, con gesto amorevole e spassionato, mi propose proprio quest'isola come meta del nostro viaggio di nozze.
E così, nel settembre del 2008, io e Roberta abbiamo trascorso alcuni magnifici giorni sotto il placido sole greco, in un'isola che seppur molto diversa da quella dipinta nei libri della mia infanzia ne conservava ancora le suggestioni e parte di quella meravigliosa fauna locale, oltre che la straripante unicità della sua gente. Ho cercato di rivivere alcune delle atmosfere raccontate nelle opere di Durrell, di ritrovarne le tracce e le suggestioni; ora desidererei riproporle anche a voi, per rendere ancor più vitale e suggestiva la lettura delle sue opere. Qualcosa di analogo è già stato fatto in lingua inglese, ed il risultato lo trovate IN QUESTO SITO. Per ora vi lascio con i "consigli per gli acquisti"; nel frattempo vi auguro Buon Anno, e che il 20010 possa portarvi ogni bene. A presto!
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G. Durrell, La mia famiglia ed altri animali, Adelphi, 2004
G. Durrell, L'isola degli animali, Guanda, 2002
G. Durrell, Il naturalista a quattro zampe, Adelphi, 1994
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Il monumento a Gerald Durrell nel parco di Corfù Town. Foto di Andrea Mangoni.

Dopo tanto tempo torno a postare un breve video, stavolta sulle Polverara di ceppo Rossetto. Attualmente sono presenti sono due galli adulti puri di questo gruppo, oltre a 6 galline e a pochi incroci di prima e seconda generazione. Nel mio pollaio sono rimasti solo un gallo, tre galline e alcuni incroci; in attesa di potervi mostrare qualche immagine del secondo gruppo di riproduttori, "emigrato" a Camposampiero, eccovi il video dei miei capi. Nel filmato, oltre alle Polverara, si possono vedere anche una "capparola" (gallina a colorazione sparviero) e le mie anatre di Barberia di ceppo autoctono. A presto!

Ancora una volta è passato un anno, anno che ha portato entusiasmi, delusioni, bellezza, miserie, carezze, truffe, gioie, un anno che mi ha fatto conoscere tanti di voi e che spero sia di prologo per la conoscenza di tanti ancora, quest'anno ricco di Pienezza e di Vita; un anno magnifico del quale posso solo render grazie. Auguro a tutti voi, nessuno escluso, feste piene di Amore con i vostri cari, un prossimo anno pieno e ricco come e più di quello passato, e di trovare la vostra strada per fondervi con l'Infinito.

A tutti quanti voi, con tutto il cuore,

BUON NATALE!!

Bocciolo di rosa Queen Elizabeth sotto la neve. Foto di Andrea Mangoni.

La neve è arrivata, bianca, fragrante e copiosa, ed ha coperto tutto. i campi sono colti immacolate, le ragnatele pizzi d'argento e gli alberi spogli poveri vecchietti incanutiti. Vi lascio qualche immagine della mia campagna, con gli animali e le piante che affrontano, ognuno a modo loro, il gelo di questi giorni... Per la cronaca, Pippo (il mio gallo Polverara bianco) è il solo che si fa pochi problemi a uscire con la neve: tutti gli altri passano la maggior parte del loro tempo nei pollai sui posatoi! I pulcinotti, all'inizio estremamente entusiasti di fronte alla prima neve della loro vita, si sono ben presto accorti che stare all'aperto col freddo non è così... eccitante! Gli uccelli selvatici si fanno meno problemi, smangiucchiando i caki e le giuggiole rimaste sugli alberi.

In attesa che arrivi il Natale, vi auguro intanto buona domenica!!

Coppia di Polverara. Foto di Andrea Mangoni. Caki nella neve. Foto di Andrea Mangoni. Pulcini intirizziti dalla loro prima neve. Foto di Andrea Mangoni. Polverara e anatre mute. Foto di Andrea Mangoni. Pulcini intirizziti. Foto di Andrea Mangoni. Il ciliegio. Foto di Andrea Mangoni. Ancora il gallo di Polverara. Foto di Andrea Mangoni. La campagna sotto la coltre di neve. Foto di Andrea Mangoni.
Gallo Twentsee e gallina Wiandotte. Foto di Andrea Mangoni.
Molti allevatori sembrano avere qualche dubbio in caso di inserimento di nuovi esemplari in un gruppo di avicoli già consolidato e stabile. Si azzufferanno? Si ammaleranno? Cosa succederà?
Iniziamo col dire che introdurre nuovi avicoli in un allevamento è una pratica generalmente sconsigliata per tutta una serie di ottimi motivi. Primo, i nuovi arrivati possono portare malattie o parassiti; secondo, si verrannoa creare due gruppi di animali, il vecchio ed il nuovo, in perenne lotta tra loro; Terzo, alcuni animali potrebbero azzuffarsi e ferirsi... e così via.
La cosa migliore SAREBBE quella di allevare il proprio ceppo partendo da animali giovani, acquistati tutti insieme e fatti crescere senza aggiungere mai altri capi, ricavando gli animali per la rimonta dalle successive generazioni, meglio se ottenute da chiocce che possono vivere liberamente con gli altri polli in maniera che i pulcini si inseriscano naturalmente nella gerarchia del gruppo.
Notate niente di strano? E' una scena bellissima, ma quante persone conoscete che abbiano visto o avuto situazioni simili? Io pochissime, per non dire nessuna! La verità è che i pulcini spesso li dobbiamo allevare a parte, e poi bisogna inserirli coi riproduttori! E se ci muore un capo che abbiamo necessità di rimpiazzare? E se desideriamo accostare una nuova razza a quella che già alleviamo? Tutte situazioni più che comuni nell'allevamento amatoriale, che possono essere risolte con poche attenzioni.
Se acquistiamo un nuovo gruppo di animali da un altro allevamento, e desideriamo metterli con quelli che già abbiamo, dovremmo tener debito conto di due cose: le potenziali malattie trasmissibili dai "nuovi" ai "vecchi", e i cambiamenti nella scala gerarchica che essi provocheranno. La questione delle malattie si può affrontare disponendo di un piccolo recinto con annesso ricovero notturno in cui inserire e tenere in quarantena i nuovi arrivati fino a che non avranno dimostrato di essere sani; in questo periodo faremo attenzione all'alimentazione, magari inserendo nella dieta alcuni alimenti, come l'aceto di mele nell'acqua e l'aglio tritato nel pastone, che aiutano a contenere alcuni dei più comuni parassiti. Dopo circa un mese e mezzo i nuovi arrivati potranno essere inseriti coi nostri vecchi animali. Per evitare che le tensioni generate dall'incontro dei due gruppi finiscano col ledere alcuni dei nostri capi, dovremo per tempo progettare delle vie di fuga e delle barriere visive per aiutare quegli animali che, nei combattimenti per la costruzione della nuova scala gerarchica, finiranno col perdere. In questi casi basta spesso un semplice separè di canne o vimini, un breve pezzo di staccionata ad angolo, un gruppo di cespugli e una piccola siepe; meglio ancora una struttura ove i nuovi arrivati possano appolaiarsi in maniera da evitare le ire dei vecchi proprietari del pollaio. Infine dovremo aumentare in relazione al numero degli animali anche quello dei posatoi. E' normale vedere scene di fughe ed inseguimenti, specie i primi giorni dopo l'immissione dei nuovi capi; non demordete e lasciateli insieme. Tempo un paio di settimane e gli ultimi arrivati potranno muoversi liberamente nel pollaio, anche se con qualche remora ad avvicinarsi ai "vecchi". Importante in questi primi giorni di convivenza controllare che i combattimenti non finiscano col causare danni fisici agli esemplari deboli, come strappi sanguinanti nella zona di pelle subito dietro alla testa o - peggio!! - che qualche gallina non rimanga accecata. In questo caso i malati dovranno essere isolati in gabbie e curati perfettamente prima di essere nuovamente inseriti nel gruppo centrale.
Un simile discorso si applica anche ai pulcini cresciuti lontano dal gruppo degli adulti, in gabbie o recinti separati. In questo caso attenderemo ad inserirli tra i "grandi" fino a che le loro dimensioni non lo permetterano; in genere accade verso l'età di 3 mesi.
Discorso a parte, invece, per i galli: non inserite mai, se possibile, un maschio adulto in un gruppo contenente già un gallo dominante. I due potrebbero combattere fino alla morte. La cosa migliore da fare in questi casi è quella di inserire solo maschi molto giovani, in maniera che crescano assieme al padrone dell'harem e che di conseguenza si "infilino" in maniera più dolce all'interno del tessuto sociale del pollaio. Certo, questo non eviterà qualche successiva scaramuccia, ma in genere i risultati saranno molto migliori. Importante: evitate di farlo con i galli appartenenti a razze da combattimento o similari!!
Resterebbe da trattare inoltre un altro punto, quello cioè dell'inserimento e della convivenza di una specie avicola in un gruppo formato da esemplari di un'altra specie (es. tacchini in un gruppo di galline); ma questo sarà l'argomento di un prossimo post. ciao!
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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Gruppo di pulcini spaventati appena inseriti nel gruppo degli adulti. Foto di Andrea Mangoni.

A volte non occorre nemmeno entrare in un posto, per assaporarne la magia. E' successo così, qualche settimana fa, che una passeggiata a Stra (VE) abbia portato me e Roby lungo le mura di Villa Pisani.

Ci saranno di sicuro occasioni migliori per parlare di questo gioiello architettonico e dei suoi favolosi giardini; oggi vorrei lasciarvi solo con poche immagini, "rubate" dalle inferriate e dalle recinzioni, solo per far sentire anche a voi le atomosfere di quel pomeriggio autunnale. Ciao!

Solanum dulcamara. Foto di Andrea Mangoni.

In estate, lungo le rive dei miei fossati, capita spesso di trovare qualche piantina di dulcamara. I suopi fiori così strani e sgargianti da sembrare quasi esotiche lanterne cinesi, o bizzarri copricapi orientali... peccato solo che siano così piccoli!

La dulcamara (Solanum dulcamara) è una solanacea, cioè una lontana parente di peperoni, pomodori, patate e belladonna. Da sempre utilizzata nella farmacopea tradizionale, deve il proprio nome al fatto che a quanto pare i suoi steli, se masticati, hanno dapprima un sapore dolce e poi invece amaro.

Solanum dulcamara. Foto di Andrea Mangoni.E' anche nota come morella rampicante, a causa del suo portamento;il fusto, legnoso alla base, molto ramificato, e a portamento ricadente, può crescere fino a 2 o 3 metri di lunghezza; tende ad infilarsi tra le fronde delle alberature nelle siepi e tra i cespugli, cosi che i grappoli dei suoi fiori appaiono all'improvviso nel mezzo della chioma degli alberi. I fiori sono disposti in infiorescenze ricadenti, e sono caratteristici per i petali viola curvati all'indietro, ognuno caratterizzato da delle macchioline bianco-verdi alla base. Le antere gialle sono come piccoli fuochi d'artificio nel buio del sottobosco. Alla fine della fioritura si sviluppano le bacche, dapprima verdi e poi, in tarda estate, d'un vivace rosso vivo. Seppur usata, come già detto, nella farmacopea popolare, come depurativo del sangue, antitosse e persino anafrodisiaco, tutta la pianta è velenosa, specialmente le bacche!! E' importante insegnare ai bambini che esse non vanno mangiate, e vale la pena anche fare attenzione al bestiame: pare che siano stati segnalati casi di avvelenamento. Inutile quindi giocare al piccolo erborista! Ciononostante essa rimane una bellissima pianta, e vale piuttosto la pena di considerare l'idea di inserirla in giardino nel contesto di una siepe naturale.

In natura fiorisce da giungo a settembre; le bacche vanno raccolte quando ben mature e piantate a circa 1 cm di profondità, in terriccio neutro, ricco ed umido. Sembra che sia utilie - per non dire necessario - alla germinazione il fatto che il seme sia esposto al gelo di un inverno; potrebbe quindi essere un'idea pensare di stratificarlo prima della semina.

Un grappolo fiorito di dulcamara. Foto di Andrea Mangoni.
il maschio di tacchino bronzato dei lessini, infoiatissimo dopo l'arrivo della femmina!! Foto di Andrea Mangoni.

E' bella la mia campagna, in questa stagione. E si rinnova. Ancora.

In questi ultimi giorni, il pollaio ha visto una piccola rivoluzione. Oltre ai pulcini nati a fine agosto, che sono finalmente usciti dalle gabbie per andare a razzolare coi loro genitori, ci sono parecchi nuovi ospiti che l'hanno reso assai più interessante.

Partendo dagli ultimi arrivati, le tre anatre mute di ceppo autoctono hanno finito col condividere il recinto delle Polverara. Il mio buon proposito di lasciarle nel grande prato del frutteto è svanito il giorno dopo il loro arrivo: il maschio era scappato arrampicandosi su dei mattoni e cercando di insediare e sedurre le anatre di un mio vicino di casa. Certo non avrà più centinaia di metri quadrati di prato a disposizione, ma adesso il trio ha comunque uno spazio molto ampio da condividere con un numero davvero esiguo di galline.

Marco Toffoli, che mi aveva fornito i primi capi di tacchino bronzato dei Lessini, mi ha dato un'altra femmina in sostituzione della prima, che non riusciva a portare a termine le covate. E' bellissima!! E soprattutto è leggera: poco più di un paio di Kg. Perfetta per covare con cura le uova più delicate! Nelle foto potete vedere l'effetto che ha avuto sul maschio - da quando è arrivata non smette di fare la ruota!

Tra i polli, visto che dovevo recuperare alcune Livorno bianche per un amico, mi sono lasciato corrompere ed ho deciso di prenderne una anche per me, o meglio, per i miei!! Così finalmente avranno almeno una gallina che depone un po' più frequentemente di quelle altre sciagurate. Però, dall'allevatore da cui ho preso le Livorno, ho recuperato anche una femmina di gallina barrata con delle caratteristiche molto interessanti che la avvicinano alla vecchia razza Cuccola o Capparola; per quest'anno la imbrancherò con le Polverara, poi si vedrà!

Già, le Polverara... i due pulcini d'autunno sono quasi certamente una coppia, e seppur con qualche difettuccio sembrerebbero promettere abbastanza bene. saranno regalate al gentilissimo allevatore che mi ha dato le mute, così magari l'anno prossimo avremo una nuova "colonia" di Polverara a Camponogara... Nel frattempo, Pippo rimarrà il mio gallo riproduttore ancora per un po' spero...

Gallo di Polverara. Foto di Andrea Mangoni.

E' sera, il tramonto è bello... la luna sorge enorme dietro i pioppi lontani. E' la fine di un'altra giornata, che ha portato bellezza, novità e meraviglia nelle nostre vite. Dedico questa luna a mio figlio Pietro, 26 cm di bellezza nella pancia della sua mamma, che oggi un'ecografia ci ha fatto conoscere un po' meglio. Un bacio grosso dal tuo papà, cucciolo mio.

Questa luna è per Pietro. Foto di Andrea Mangoni.
Il casone rosso di Piove di Sacco. Foto di Andrea Mangoni

Ho già scritto qualcosa riguardo ai casoni veneti, quelle straordinarie costruzioni che per secoli hanno rappresentato il concetto di casa nei nostri territori. Come dicevo, la maggior parte dei casoni oggi è sparita, distrutta dall'incuria e dal progresso. Ma ne rimangono per fortuna alcuni esempi davvero notevoli, alcuni dei quali visitabili dal pubblico. Ad esempio, a Piove di Sacco (PD) sono presenti ancora almeno due casoni in ottime condizioni, il cui restauro ha permesso di poter godere appieno della loro bellezza. In particolare, va segnalato il bellissimo casone "rosso" di via Fiumicello, a Corte di Piove di Sacco.

Questo casone, appartenuto alla famiglia Delfini, venne costruito nel XIX secolo ed abitato fino circa al 1990; in seguito ad un incendio venne restaurato e destinato alle visite. E' certo piccolo, ma merita se possibile una visita. Alcuni angoli del giardino poi sono davvero deliziosi, come la panchina rustica ricavata da una lastra di pietra ed alcuni ceppi, circondata da una cortina "viva" di lavanda, settembrini e altri cespugli. Nel parchetto attiguo, oltre ad essere visibili numerosi vecchi strumenti agricoli, vive un piccolo gruppo di simpaticissimi polli nani ibridi, apparentemente liberi, che la sera finiscono col dormire in alto sugli alberi del giardino.

Un dettaglio particolare, la panchina rustica. Foto di Andrea Mangoni.

Poco dopo il casone, si trova una sorta di giardino veramente interessante, in cui aiuole squadrate con ortaggi ed alberi da frutto autoctoni sono circondate da vialetti in legno abbelliti da antichi strumenti agricoli e panchine. Il tipo di recinzione è lo stesso, mi pare, di quello del casone, e sarei propenso a credere che si tratti di qualche struttura ad esso collegata; ma purtroppo non ho trovato nessuna informazione a riguardo!!

Il campo di frutta e ortaggi vicino al casone rosso. Foto di Andrea Mangoni.

Il casone "rosso" si trova al numero 44 di via Fiumicello, a Corte di Piove di Sacco. Non è possibile raggiungerlo in auto, ma si possono lasciare le vetture a Piove di Sacco o a Corte per poi proseguire in bicicletta lungo la via, bellissima, che si snoda accanto al canale. Il casone è aperto alle visite in primavera, estate ed autunno, due domeniche al mese; per maggiori informazioni, contattare il sig. Gian Battista Fasolato, 3405519323.

Oltre ad esso è possibile visitare il più grande casone sito in Via Ramei a Piove di Sacco, aperto tutte le domeniche da aprile a settembre e sede del Museo della Civiltà Contadina (per informazioni, Stefano Pagin, 3282146168).

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Link utili:

I casoni su MagicoVeneto

Informazioni del Comune di Piove di Sacco

IL casone rosso di Piove di Sacco. Foto di Andrea Mangoni.

Maschio di ceppo autoctono di anatra muta. Foto di Andrea Mangoni.
Quando ero bambino, uno degli animali della fattoria di zio Fernando che mi spaventava di più era... un'anatra. Un enorme maschio di anatra muta, bianco e nero, che mi aggrediva tutte le volte che andavo a trovare lo zio e che si avvicinava soffiando minaccioso...
Quel grosso anatide mi è tornato in mente proprio in questi giorni, quando quasi per caso la mia strada e quella dell'anatra muta si sono incrociate nuovamente. Infatti, scorrendo le vecchie foto fatte l'anno scorso presso un allevatore di Camponogara, ho scoperto nell'angolo di una immagine un grosso maschio di anatra muta che presentava delle vistose caruncole nere. Cosa c'era di tanto speciale? Cerchiamo di capirlo.
femmina di ceppo commerciale in cova. Foto di Andrea Mangoni.L'anatra muta o di Barberia (Cairina moschata) è un grosso anatide che in natura popola le acque di alcuni bacini fluviali del Sud America, ma che dal XVI secolo fa oramai parte dell'ampia schiera di animali da cortile diffusi nel nostro Paese. Nonostante le sue origini, è un animale estremamente rustico che si è adattato benissimo ai climi europei; i maschi pesano all'incirca 3,5 Kg, le femmine 2 Kg. La principale differenza tra i sessi, oltre alla taglia e alle proporzioni corporeee, è data dalla presenza di vistose caruncole facciali più sviluppate nei maschi, e dalla presenza (sempre nei maschi) di un ciuffo erettile molto più sviluppato. Queste anatre non cantano, ma si limitano a soffiare: da qui il nome di “mute”. Le livree sono molto varie, dal bianco al blu, dal marrone al nero screziato di bianco.
L'anatra muta ha mantenuto un forte istinto alla cova, e se lasciata libero può deporre fino a due volte l'anno (che diventano 4 o anche 5 se si tolgono i piccoli neonati e li si alleva separandoli dalla genitrice). Possono deporre in un anno anche un centinaio di uova; a volte la femmina cerca come sito di deposizione un luogo piuttosto elevato, dal quale gli anatroccoli neonati si gettano alla nascita. L'incubazione dura fino a 5 settimane. Fin da piccolissimi, questi animali hanno poi delle forti unghie che li aiutano a muoversi in terreni accidentati. Le femmine tendono a volare piuttosto bene, mentre i maschi sono in genere diventati troppo pesanti per riuscirci.
femmina di anatra muta di ceppo autoctono. Foto di Andrea Mangoni.
Ora, di questi avicoli esiste da tempo un ceppo commerciale. E' più pesante, con le caruncole facciali rosse e corrugate, ciuffo più piccolo e con pulcini a piumino di vario colore. Esistono però ancora - ma è diventato molto difficile rintracciarli – animali ascrivibili ad un ceppo autoctono, che presentano caruncole in parte nere e più lisce, taglia inferiore, ciuffo ben sviluppato e pulcini dal caratteristico piumino giallo screziato di bruno scuro. Aver scoperto quindi, a pochi passi da casa, quello che sembrava essere un capo appartenente ad un ceppo piuttosto antico mi sembrava un'occasione davvero magnifica. Perciò decisi di tornare immediatamente a cercare di vedere se, ad un anno di distanza, la persona in questione avesse ancora l'animale.
Maschio di ceppo commerciale. Foto di Andrea Mangoni.Il signore in questione, gentilissimo, mi ha spiegato che il suo ceppo deriva da una femmina arrivata in volo nel suo giardino, cui lui aveva affiancato un maschio acquistato al mercato. Lui allevava i propri animali allo stato brado, il che significava totale libertà in campagna, compreso per ciò che riguarda alimentazione e riproduzione. Come mi resi conto cercando tra i campi dietro casa sua, il vecchio animale che avevo immortalato l'anno precedente non c'era apparentemente più, mentre invece erano presenti alcuni bellissimi capi dalla colorazione scura chiazzata di bianco, veramente molto belli e con magnifiche caruncole scure. Così mi feci coraggio e gli chiesi se fosse disponibile a cedermi qualche esemplare. Il risultato?
Il risultato è stato che stamattina, con mia somma gioia, il maschio della prima e dell'ultima foto di questo post, assieme ad una bella femmina, sono venuti a stare nel mio allevamento. Saranno ospitati nel prato sotto il vigneto, liberi, e potranno ripararsi sotto una tettoietta appositamente progettata per loro. In primavera, a Dio piacendo, potrò mostrarvi anche le immagini di tanti meravigliosi anatroccoli. Ciao!
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E' USCITO "IL POLLAIO PER TUTTI", IL NUOVO LIBRO DI ANDREA MANGONI!
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Primo piano di un maschio di ceppo autoctono. Foto di Andrea Mangoni.
I biscotti alla lavanda!! Foto di Andrea Mangoni.

Oramai diverso tempo fa, ho già avuto modo di parlare abbastanza diffusamente della lavanda (Lavandula sp.); ma torno a farlo volentieri dopo aver letto, sul blog di Zia Artemisia, la ricetta di alcuni biscottini che sembravano davvero deliziosi; QUI ne trovate la versione originale.

Per un caso del destino, i miei cespugli di lavanda, complice il clima mite di questo Novembre pazzerello, stanno ancora fiorendo... poco, per carità, ma quanto basta... Insomma, per farla breve, era un'occasione troppo ghiotta - letteralmente!! - per farsela scappare, così io e Roby abbiamo messo mano alla ricetta e alle pentole e abbiamo provato a fare queste meraviglie. Il risultato è stato assolutamente spettacolare! Per cui vado subito a condividere con voi questa ghiottoneria.

INGREDIENTI:

  • 1 cucchiaio abbondante di fiori di lavanda;
  • 100 gr di zucchero;
  • 210 gr di farina;
  • 1 uovo (ASSOLUTAMENTE da allevamento biologico!);
  • 150 gr di burro;
  • 1 cucchiaio di lievito in polvere;
  • 1 puntina di sale;
  • 1 spolverata di zucchero semolato bianco.

Artemisia metteva meno farina, e aggiungeva un petalo di rosa essiccato... ma noi abbiamo riscontrato che l'impasto restava un po' troppo morbido, mentre per il petalo di rosa non ne avevamo di profumati disponibili... magari riproveremo in primavera con i petali di rosa damascena. Per iniziare, si frullano i fiori con la farina e lo zucchero; quindi si uniscono burro ammorbidito, lievito e sale, amalgamando il tutto e aggiungendo l'uovo per ultimo. Una volta pronta la frolla, si lascia mezz'ora in frigo, quindi si stende e la si cosparge con lo zucchero semolato e si preparano i biscotti tagliandoli a mano (noi abbiamo fatto così) oppure mediante stampini. Quindi li abbiamo messi in forno caldo a 180°C per 10 minuti. Non appena dorati li abbiamo tirati fuori e messi a raffreddare.

Il risultato è stato assolutamente MAGNIFICO! Sono buonissimi, dei veri biscotti inglesi aromatizzati in maniera fantastica e delicata, fragranti al punto giusto e perfetti da accompagnare al thè o ad una tisana nei freddi pomeriggi autunnali. Provateli!!

I biscotti alla lavanda!! Foto di Andrea Mangoni.
Il casone di via delle Prete a Camponogara, ora scomparso. Foto tratta dal libro di Luciano Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria.

Tra i tanti cambiamenti che il territorio del Veneto ha visto negli ultimi decenni, uno ha riguardato la quasi totale scomparsa di una tipologia di abitazione che aveva invece caratterizzato il paesaggio agreste delle campagne del veneziano, del trevisano e del padovano: il casone.

Le origini del casone si perdono nel tempo. La struttura semplicissima dei primi casoni di valle, due falde di tetto spioventi a formare un ricovero più o meno temporaneo, si è nei secoli arricchita sempre più, fino a trasformarsi in un modello abitativo di successo che ha funzionato senza particolari cambiamenti fino a metà del XX secolo.

Il casone ha, fin dalla sua origine, una struttura molto semplice. La sua caratteristica in assoluto più peculiare è il tetto, formato di fasci di cannuccia palustre (Phragmites australis) e paglia di grano disposti su una struttura in legno, a formare delle falde piuttosto inclinate per favorire lo scolo delle acque. Esteticamente questa caratteristica li rendeva probabilmente simili a certi antichi cottage inglesi. Quadrangolari nel padovano, più allungati nel trevisano, essi avevano nelle loro più recenti incarnazioni mura in mattoni che sostenevano il tetto e che contenevano gli ambienti abitativi, disposti a spirale nel padovano e linearmente nel trevigiano. Quasi sempre ad un piano, uno degli elementi fondamentali dei casoni era l'orientamento dato all'abitazione, fondamentale per garantire adeguati calore e luce, e soprattutto in base alle conoscenze sui venti dominanti, fattore questo di estrema importanza per un corretto tiraggio del camino: il rischio reale era infatti quello di incendio, provocato magari da frammenti di brace aspirati fino al tetto costituito di materiale vegetale. Ovviamente, queste strutture necessitavano per la loro stessa natura di costanti restauri e riparazioni, specie nella parte del tetto.

Un casone a due piani a Prozzolo. Foto tratta dal libro di Luciano Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria.

Un tempo, la trave principale del tetto era in pioppo, e nel padovano era abitudine mettere a dimora uno di questi alberi alla nascita di ciascun figlio maschio, per avere, al momento del suo fidanzamento, una piante dalle dimensioni adatte per allargare la dimora familiare. In seguito però i tronchi che formavano la struttura principale del tetto del casone vennero ricavati da abeti rossi ed altre conifere, che grazie ai commerci della Serenissima venivano importati dalle Dolomiti e che si rivelavano estremamente preziosi grazie alle loro maggiori durata e resistenza contro gli attacchi degli xilofagi. Il rimanente legname che costituiva trama e ordito del legno veniva ricavato da olmo, pioppo, salice ed altre essenze autoctone.

Il bellissimo Casone Rosso di Piove di Sacco. Foto di Andrea Mangoni.Nel corso del XX secolo, poi, l'architettura dei tradizionali casoni finì per cambiare, così come il loro utilizzo. Infatti ben presto iniziarono a fare bella mostra di sé case che univano un'architettura più moderna e complessa pur integrando ed assorbendo elementi tipici del casone; ad esempio, in alcune case di campagna parte del tetto continuava ad essere costituito di cannuccia palustre, mentre il resto era fatto di coppi. Sia quel che sia, i casoni perdettero lentamente ma inesorabilmente il loro ruolo principale nel panorama delle costruzioni rurali, per lasciare il posto a case più solide e moderne, spesso costruite a due piani, con tetto in coppi. Dapprincipio relegati al ruolo di ricovero per attrezzi o animali, in seguito essi vennero completamente abbandonati e distrutti. Ora come ora, nel padovano sono rimasti non più di 6 casoni, 4 dei quali nel comprensorio di Piove di Sacco. E proprio in questa città è possibile ancora vedere e visitare alcuni casoni meravigliosamente conservati e restaurati; ma di questo parleremo in un prossimo post.

Le foto d'epoca dei casoni pubblicate in questo post sono tratte dal libro di L. Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria (vedi bibliografia).

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Bibliografia

Baldan, L., Giulini, P., Monetti, P. (2005). Tecnica costruttiva del casone in "Natura e ambiente in Saccisica e dintorni". Banca di Credito Cooperativo di Piove di Sacco.
Rocco, L. (2009). Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria. Racconti e immagini di Camponogara. Coop. Il Plaustro, Prozzolo.

Veduta d'epoca di Prozzolo di Camponogara dal campanile. Si possono notare diversi casoni, nessuno dei quali oggi esistente. Foto tratta dal libro di Luciano Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria.

Più dell'85% dei dei bambini dai 2 ai 14 anni nel mondo è vittima di qualche forma di violenza, dalle punizioni corporali alle peggiori forme di abuso; 40 milioni sono abusati sessualmente, 1,2 milioni vengono trafficati, oltre un miliardo vivono in zone di guerra o conflitto, 218 milioni sono costretti a lavorare (quasi mezzo milione in Italia).

L'associazione Terre des Hommes con la sua campagna del Fiocco Giallo invita tutti a dire: “IO proteggo i bambini, SI’ alla prevenzione contro gli abusi” in occasione del 19 novembre, Giornata Mondiale per la prevenzione dell'abuso sull'infanzia. Contemporaneamente è possibile sostenere, fino al 22 novembre, la Campagna di Terre des Hommes donando 2 euro con un SMS al 48543 da cellulari TIM, Vodafone, Wind e 3, nonché da rete fissa Telecom Italia. Questa donazione si trasformerà in un'azione concreta in aiuto dei bambini vittima di violenza.

I fondi raccolti con la campagna saranno destinati a finanziare i progetti di lotta e prevenzione alla violenza sui bambini e, in particolare, le attività della “Casona”, il Centro di assistenza alle vittime di tortura di Terre des hommes Italia a Bogotà, unica struttura nel suo genere esistente in Colombia. Dal 2002 ad oggi ha soccorso oltre 4.000 persone, principalmente desplazados (profughi, sfollati interni), molti dei quali bambini. I pazienti vengono trattati con terapie olistiche di lungo periodo per poter riacquistare il proprio equilibrio e la fiducia nel futuro e nelle altre persone.

Promossa dalla Fondazione Summit Mondiale delle Donne di Ginevra la campagna quest'anno unisce quasi 800 organizzazioni non governative di 127 Stati. In Italia hanno raccolto l'invito oltre 130 siti e blog.

giovane esemplare di Sphaerichthys osphromenoides. Foto di Andrea Mangoni.

In acquariofilia gli Anabantidi sono sempre stati la mia grande passione. Oltre al Betta splendens, di cui ho già iniziato a parlare, ho cercato negli anni di allevare e riprodurre esemplari appartenenti ai più disparati generi, di solito con discreto successo. Uno dei miei desideri, però, era quello di riuscire a tenere il famoso gourami cioccolata (Sphaerichthys osphromenoides), un animale per me bellissimo ma che rappresentava una sorta di... sogno proibito: difficile da trovare in commercio, delicatissimo ed esigentissimo per quel che riguarda le caratteristiche dell'acqua e per la carica batterica della stessa, per anni su questo pesce e sul suo allevamento erano giunte notizie contrastanti. Addirittura la sua riproduzione sembrava avvolta nel mistero: oviparo od ovoviviparo, costruttore di nidi di bolle o incubatore orale? In ogni caso sembrava proprio che, per la sua delicatezza, fossi destinato a penare a lungo per trovare questi pesci.

Sphaerichthys osphromenoides. Foto di Andrea Mangoni.Lungo fino a 6 cm, il gourami cioccolata prende il proprio nome dalla colorazione color cioccolato scuro, ravvivata da strie verticali dorate. E' diffuso in un ampio territorio che comprende Malaysia, Borneo e Sumatra. Se immaginate che pesci così delicati in acquario in natura vivano in acque cristalline e purissime... Beh, vi sbagliate di grosso!! Questi animali sono stati trovati in ruscelli puliti, questo è vero, ma anche in pozze stagnanti eutrofizzate e persino nei canali di scolo dei campi coltivati e degli allevamenti di polli, spesso con concentrazioni di pesticidi da brividi! Eppure, questi gioiellini in acquario sembrano avere l'unica ambizione - come disse Dieter Vogt, se non sbaglio - di morire al solo guardarli storti! Appassionati di labirintici come Horst Linke sono ovviamente riusciti ad allevare questi pesci ed i loro congeneri, e persino a riprodurli con successo. In questo caso, i pesci venivano tenuti in acquari totalmente spogli o quasi, con pH pari a 4,5 - 5, 2-3 °dGH, cambi frequenti, sifonatura costante del fondo (importante perchè sennò si formano i batteri per la decomposizione degli avanzi di cibo), temperatura 26 - 28°C, filtraggio attraverso torba, ecc...

E qui mi vengono una serie di osservazioni in mente... ad esempio, chi sifona il fondo di uno scarico di acqua lurida di un allevamento per polli? O ancora, la carica batterica di una pozza fortemente eutrofizzata è davvero così bassa? Insomma, com'è che dovremmo allevare questi animali in condizioni così palesemente innaturali?

Sphaerichthys osphromenoides. Foto di Andrea Mangoni.

Per me, che sono da sempre un assertore dell'acquario inteso come un mini-habitat (quasi) indipendente, tutto questo è davvero quasi inconcepibile. Se da un lato venire incontro alle esigenze fisiologiche di un pesce è sacrosanto, credo sia necessario d'altronde trovare un modo di allevarlo che non risulti totalmente innaturale. In fondo, se in natura questi pesci colonizzano acque tanto diverse da loro, devono possedere in bagaglio potenziale di adattabilità notevole... forse - e dico FORSE - l'unica vera sfida è fargliela tirare fuori. L'idea che mi sono fatto è che questi animali siano soprattutto molto sensibili ai bruschi cambi di valori dell'acqua, e che reagiscano abbassando fortemente le loro difese immunitarie. Per questo è più importante che mai, al momento del passaggio da sacchetto di plastica ad acquario, fare un adeguato ambientamento aggiungendo all'acqua del sacchetto quella dell'acquario, in piccole dosi, e poi rilasciare delicatamente i pesci in vasca dopo una ventina di minuti.

Sphaerichthys osphromenoides. Foto di Andrea Mangoni.Il gourami cioccolata ha infine rivelato parte dei suoi segreti agli allevatori che con caparbietà l'hanno studiato. Ad esempio, si è infine scoperto come questo pesciolino si riproduce: è un incubatore orale, cioè la femmina, dopo la deposizione e la fecondazione delle uova, prende queste ultime in bocca e le tiene lì, ben protette, per due settimane (periodo nel quale essa cessa di nutrirsi). Alla fine di questo periodo essa rilascia i piccoli, lunghi circa 6-7 mm ma già in grado di nutrirsi di naupli di artemia ed altri minuscoli crostacei. Anche i pesci adulti (dai quali i piccoli devono essere allevati separatamente) hanno una forte predilezione per il cibo vivo, o almeno congelato, ma si adattano pure al granulato e al cibo in fiocchi. In teoria, si possono allevare gruppi di 5-6 esemplari in una settantina di litri d'acqua; i pesciolini diverranno persino territoriali, se si sentiranno a proprio agio.

Sia quel che sia, per anni i gourami cioccolata rimasero un sogno, almeno fino a quando non incontrai un eccezionale negozio di acquari, il D.A.M. di Selvazzano (Padova), i cui proprietari Mario e Michele sono prima di tutto grandi appassionati di acquariofilia, e non sono dei "pescivendoli". Tramite loro riuscii ad ottenere il mio primo gruppo di "cioccolatini", appena più grandi dell'unghia di un pollice ma già perfetti nella loro colorazione cioccolato scuro a bande dorate. Bellissimi, scivolavano nella vasca con eleganza, e dopo alcune perdite iniziali il gruppo continuò a vivere per molti mesi senza problemi di sorta. Purtroppo, forse a causa degli altri ospiti presenti in vasca, non riuscii ad ottenerne la riproduzione; fu un vero peccato. Poi passarono gli anni, si succedettero altri pesci, la vasca acquistò altri equilibri, ed infine trascorsero 3 anni in cui l'acquario ospito solo piante, pochi gamberetti ed altri crostacei. A parte i periodici rabbocchi d'acqua, non dovevo fare nulla: un vero mini-ecosistema. Anche l'arrivo di una coppia di pesci combattenti non variò di molto la situazione: avrei potuto lasciare i pesci senza dar loro cibo per settimane, e loro non ne avrebbero risentito. Poi, proprio pochi giorni fa, passando in un negozioi miei occhi sono caduti su due minuscoli, meravigliosi cioccolatini, abbastanza in forze ma un po' denutriti. Così, senza pensarci troppo, i due sono stati prelevati e rilasciati dopo un accurato ambientamento nell'acquario... i Betta sono stati trasferiti, per evitare che disturbassero troppo i nuovi arrivati, e gli Sphaerichthys hanno subito iniziato a girovagare e - gioia e gaudio! - a nutrirsi dei crostacei che colonizzano le alghe. L'unica accortezza che avrò sarà quella di effettuare i rabbocchi con acqua demineralizzata cui aggiungerò della torba per abbassarne il pH; per il resto, lascerò che gli animali vivano in maniera il più possibile simile a qella che avrebbero avuto in natura. Se poi dovessero essere una coppia...

Sphaerichthys osphromenoides. Foto di Andrea Mangoni.