Immobile lungo lo stelo di una pianta di finocchio, il giovane bruco di macaone (Papilio machaon) attende di fare la muta che gli permetterà di cambiare livrea. Un tempo era facile vederli negli orti, dove si cibavano di foglie di ombrellifera (come le carote, il prezzemolo e - appunto - il finocchio) senza del resto arrecare comunque danni rilevanti. Ora incontrarli è diventato più raro ma certamente restano uno degli ospiti selvatici più belli e affascinanti che i nostri orti possano ospitare. Se volete aumentare le possibilità di vederlo, piantate ruta, carote e finocchietto in qualche angolo del giardino, e se sarete fortunati qualche macaone potrebbe decidere di deporvi le uova.

Nel giardino della casa dei nonni di mia moglie, per una trentina di anni o più, questa pianta di erba luisa (Aloysia citriodora) aveva continuato a crescere. Incurante dell'abbandono della casa da parte dei proprietari, rischiava però di essere sommersa da erbacce e rampicanti. Così, alcuni anni fa, decisi di trapiantarne l'enorme (per la specie) fusto in un grande vaso e di tentare di portarla con noi, per evitare che questa eredità dei nonni di mia moglie venisse a mancare. Le sue foglie, sottili come quelle del salice ma dal verde tenero acceso, al solo venir urtate rilasciano un profumo intensissimo di limone. Una vera meraviglia per i sensi. Quest'anno vorrei provare da un lato a riprodurla per talea, e dall'altro a ricavarne un liquore o aromatizzare una grappa, usi per cui questa pianta è famosa. Ma ne farò seccare anche alcune cime fiorite e foglie, per usarle in decotti questo prossimo inverno, ai primi segni di malattie respiratorie. Insomma, una pianta antica, preziosa eredità vivente di una delle nostre famiglie d'origine.



Immobile sul tronco di un ulivo, una grossa falena, un nottua (Noctua comes), resta perfettamente immobile, confidando nell'eccellente mimetismo che la rende pressoché invisibile sulla corteccia. Ma se venisse disturbata, offrirebbe all'aggressore uno spettacolo insolito: spiccando il volo infatti mostrerebbe le ali inferiori, di un bel giallo ocra adorno di una striscia nera, che la renderebbero simile a una strana fiammella a intermittenza. Il suo bruco può causare danni negli orti, essendo polifago e nutrendosi di una gran quantità di piante. Gli adulti sono attratti dalle sostanza zuccherine e non è raro trovarli, assieme ad altri congeneri e a vari coleotteri, sui tronchi feriti degli alberi trasudanti linfa zuccherina.


Da anni non ne vedevo uno. Eppure quest'anno a Venezia ho visto ben tre meravigliosi maschi di maggiolino (Melolontha melolontha). Un tempo questo coleottero era estremamente diffuso e al suo sfarfallare in maggio (spesso con cadenze triennali, seguendo il lungo ciclo vitale dell'animale) gli agricoltori si mettevano le mani nei capelli, temendo la devastazione defogliante con le ali che tali animali rappresentavano. I danni causati erano ingenti, e ad essi si aggiungevano quelli che le larve, radicicole, provocavano negli orti e nei campi coltivati. Ora, causa i cambiamenti nei metodi di coltivazione e l'inquinamento, i maggiolini sono fortemente rarefatti e incontrarli non è più così comune. Ma ai miei occhi hanno sempre lo stesso fascino, squadrato e vagamente robotico, che avevano quando, da bambino, in maggio ne aspettavo l'arrivo.

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Nella fretta di tutti i giorni, negli impegni lavorativi, nelle attenzioni che voglio dedicare alla mia famiglia perdo sempre più la possibilità di scrivere e creare contenuti per questo blog. Ma in queste pagine è racchiusa tanta della mia storia personale, e per questo sono deciso a continuare in qualche modo a portarlo avanti. Per questo, in attesa di poter realizzare articoli più lunghi e complessi, inizierò a pubblicare qui con una certa regolarità i contenuti presenti sul mio account Instagram (https://www.instagram.com/andrea.mangoni/), in modo da continuare a mantenere comunque con chi mi seguiva qui un legame ed un dialogo. A presto e buona vita!