Una neanide di Ramulus thaii. Foto di Andrea Mangoni.

Ieri sera stavo facendo il solito giro, prima di andarmene a letto, per fare da bravo "papà" ai miei "protetti": un'occhio a Chicco, un pappagallino calopsitta trovato lungo la strada dopo un temporale; l'ultima girata alle uova di gallina in incubatrice (sì, lo so che avevo detto che quella di settembre sarebbe stata l'ultima covata dell'anno... ma mi sono state regalate una dozzina di uova provenienti da un ceppo un po' strano, e così...); la solita inconcludente occhiata alle uova di fasmide, per vedere se si sono schiuse... No, frena: stavolta non è inconcludente! Sulla pellicola trasparente che funge da coperchio alla vaschetta-incubatrice, infatti, ci sono la bellezza di tre piccoli insetti stecco, appena schiusi!

Gli insetti stecco appartengono all'ordine dei Phasmatodea o fasmidi, e sono insetti emimetaboli dallo spiccato mimetismo criptico: moltissime specie infatti somigliano incredibilmente a ramoscelli, bastoncini o foglie. Inoltre, tra parecchie specie è diffusa la riproduzione per partenogenesi, che permette alle femmine di questi animali di riprodursi anche in assenza del maschio. Se si aggiunge che molti di questi animali vengono allevati fin dal XIX secolo e che si riproducono a meraviglia in cattività, non c'è da stupirsi del fatto che siano così diffusi tra gli appassionati di animali da terrario.

Ho allevato ininterrottamente insetti stecco dal 1994, fino a quest'estate, qando son morte le ultime femmine di Medauroidea extradentata, purtroppo prima di poter deporre le uova. Non mi era mai capitato prima, in 14 anni di allevamento, di non avere neanche un fasmide, nemmeno qualche ovetto... Ma gli scorsi 12 mesi, tra laurea, matrimonio e l'attuale trasloco sono stati così densi di avvenimenti da farmi abbandonare lentamente quasi tutti gli insetti allevati. Mi restavano le tre suddette femminucce di insetto stecco, appartenenti proprio al ceppo ricevuto 14 anni fa... e purtroppo morte prima di dar vita ad una discendenza. Così, era stato con piacere che avevo accettato l'offerrta di alcune uova, un emse e mezzo fa, da parte di una amica di mia moglie, che si era ritrovata con una notevole eccedenza. La specie in questione è Ramulus thaii, una specie di insetto stecco originaria del parco naturale di Khao Yai in Thailandia ma allevata e riprodotta in cattività da decine di generazioni. Si tratta di un fasmide di dimensioni medio-grandi: le femmine, a zampe distese, possono raggiungere e superare i 20 cm, mentre i maschi, molto più esili delle corpulente compagne, rimangono sensibilmente più piccoli. In questa specie, che si nutre delle foglie di rovo (Rubus sp.) e di rosa (Rosa sp.), oltre che di altre essenze, la riproduzione può essere sia partenogenetica che sessuata. Le uova, schiacciate, a forma di scheggia di legno, deposte a centinaia da ciascuna femmina, schiudono dopo un paio di mesi dando alla luce i piccoli, gracilissimi e lunghi appena un centimetro e mezzo. Allevati a temperature comprese tra i 20°C ed i 25°C, in capo a circa 5-6 mesi essi accrescono le proprie dimensioni attraverso 6 o 7 mute.

I miei nuovi piccoli ora stanno in una vasca adeguata alle loro esigenze, con un bel ramo di rovo fresco da sgranocchiare. Se vorrete saperne di più sui fasmidi, sulla loro riproduzione e sul loro allevamento potrete consultare la pagina del mio sito, Oryctes.com, dedicata all'allevamento di questi insetti:

http://www.oryctes.com/fasmidi.htm

Vi lascio con un primo piano di uno dei piccini nati ieri sera. Non ha degli occhioni adorabili?

Primo piano di una neanide di Ramulus thaii. Foto di Andrea Mangoni.
Primo piano della povera beccaccia (Scolopax rusticola). Foto di Andrea Mangoni.
Quando l'ho vista, povero corpicino spezzato nell'erba, non ho potuto fare a meno di sentire un tuffo al cuore. Era ancora viva, lievemente palpitante, ma già destinata a fine certa. La piccola beccaccia (Scolopax rusticola), col suo piumaggio perfettamente mimetico, sarebbe sembrata un mucchietto di foglie morte al suolo. E invece a morire era lei: una fucilata aveva fermato per sempre il suo volo.
Particolare del piumaggio della beccaccia. Foto di Andrea Mangoni.
Certo, la beccaccia è specie cacciabile... E potrà pure essere - non lo metto in dubbio - che rappresenti un piatto prelibato. In questo caso sarà così: conosco il cacciatore che l'ha abbattuta, un contadino di vecchio stampo, che era abituato - e lo è ancor oggi - a non cacciare per il gusto di portare a casa un trofeo, ma per il gusto tout-court. E' uno di quei cacciatori per cui la battuta di caccia rappresenta il gusto di girare in campagna coi segugi, la contentezza di vedere i propri cani comportarsi con maestria, e se si riesce a portare a casa una lepre o un fagiano per la pignatta, tanto meglio, altrimenti niente crucci e andrà meglio la prossima volta. Insomma, una persona cresciuta quando la fame era tanta, e da bambini bisognava ingegnarsi per racimolare un pò di proteine da mettere nel piatto... e allora, via con le trappolette costruite in casa per mangiare nelle gelide giornate d'inverno un pò di carne, poco importa che fosse di passero o storno, merlo o tordo.
Particolare del piumaggio della beccaccia. Foto di Andrea Mangoni.
Ho conosciuto cacciatori di vari tipi, e accanto a dei perfetti imbecilli ho incontrato per fortuna persone che sanno amare la propria terra e rispettare la natura che li circonda in una maniera complessa ma certamente più vera della passione che muove molti ipocriti. Però questa bestiola uccisa mentre cercava cibo nella lettiera di foglie, che viveva ben distante dall'uomo e che stava attraversando il mio lembo di campagna, mi fa comunque una gran pena. Mi rendo conto che potrà sembrare strano, in fondo io allevo polli, e di certo non sono vegetariano. Ma non riesco a non vedere una sorta di... mutuo scambio, tra me e i miei animali: io cerco di garantire loro la possibilità di vivere una vita degna, rispettosa della loro etologia, in campagna, sotto le vigne... Liberi di azzuffarsi e combattersi, di cercarsi e formare amicizie e legami. Li nutro, assisto alla loro nascita, li curo dalle malattie e li proteggo dai predatori, e loro, tramite le loro uova e più raramente tramite loro stessi, nutrono me. Ma questa bestiola nata e vissuta sempre libera, che non aveva bisogno dell'aiuto di alcuno per badare a se stessa, che sarebbe ripartita in capo forse a pochi minuti e che invece non volerà più, mi fa una enorme pena. E' per questo che, comunque, nonostante abbia trovato più rispetto per l'ambiente in alcuni cacciatori che non in altre persone, innamorate più dell'idea degli animali e dell'ambiente che degli animali e dell'ambiente stessi, io continuerò ad essere contrario alla caccia. Ho scattato qualche foto all'uccellino (non ne avevo mai visto uno e avevo la macchina fotografica con me, perciò...), ma non posterò le immagini della sua agonia. Ve ne lascio solo un ritratto non troppo crudo, ed un paio dei dettagli di quell'arabesco meravigliosamente autunnale che era il suo piumaggio. Spero solo di poter rivedere un suo simile, in futuro, razzolare lungo la mia riva, e spero altresì che non vi siano canne di fucile puntate su di esso.
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Negli ultimi 50 anni abbiamo perduto oltre il 50% della biodiversità dei Polli. Immagine di Andrea Mangoni.
Abbiamo più volte parlato della biodiversità avicola italiana. Un tempo, sul territorio del nostro Paese, sono esistite fino a 53 razze di polli diverse. Oggi ne contiamo meno di una ventina, escludendo dal questo novero alcune delle più recenti e dubbie operazioni di ricostituzione. E' un fenomeno, quello della perdita di biodiversità in questa specie, che purtroppo non è limitato solo all'Italia. Laddove non più di pochi anni fa praticamente ogni zona o regione del mondo poteva dire di avere la propria razza di galline, oggi non è più così. Secondo William M. Muir ed il suo team, della facoltà di Scienze Animali della Purdue University (USA), che hanno analizzato oltre 2500 campioni di DNA di polli provenienti da tutto il mondo, oltre il 50% della biodiversità di questi uccelli si è perduta, forse per sempre.
Il fenomeno è divenuto particolarmente evidente dagli anni '50 del secolo scorso, quando dall'incrocio di pochi linee parentali si è partiti verso la selezione di pochi ceppi di polli le cui caratteristiche produttive superavano, e di molto, quella della media dei polli che vivevano nelle nostre aie da secoli. Solo per citare quanto accadde ad alcune razze venete, al comparire dei ceppi selezionati di Leghorn scomparirono lentamente ma inesorabilmente dalle aie padovane la Polverara, la Boffa, la Cuccola, la Cappellona, la Pesante Padovana. E l'ecatombe è continuata, nel corso dei decenni, quasi senza sosta. Oramai poche multinazionali producono la maggior parte degli esemplari destinati all'allevamento di tipo commerciale, e questi animali possono esser fatti risalire a pochissimi ceppi genetici. Allo stesso modo anche gli ibridi a duplice attitudine venduti nei mercati di tutto il mondo per soddisfare le esigenze degli allevamenti di tipo familiare provengono tutti da poche, selezionatissime linee parentali. Se da un lato questo ha significato un incredibile aumento delle capacità produttive di questa specie, dall'altro però la riduzione del suo pool genetico potrebbe tradursi sulla lunga distanza in una vera catastrofe.
Il pericolo infatti è che uniformando sempre più il patrimonio genetico di questi animali essi divengano molto più vulnerabili ad eventuali patogeni. La biodiversità accumulatasi in millenni di selezione in tutto il mondo, infatti, ha portato all'esistenza di razze con resistenze marcatamente diverse alle condizioni ambientali ed alle malattie. E' per questo che, ad esempio, in alcune zone d'Africa, quando si cerca di costruire pollai che possano aiutare la popolazione si evita in genere di utilizzare, per il loro popolamento, degli ibridi commerciali, ma si ricorre alla selezione del pollame locale, più tollerante alle alte temperature e molto più resistente a parassiti e malattie endemiche. Ed è per questo che lo stesso Muir consiglia l'incrocio a livello induzstriale dei ceppi commerciali con razze locali, in maniera tale da investire fin d'ora sulla risoluzione di quei problemi che in futuro si potranno presentare.
Se in generale si sarebbe perso il 50% della biodiversità dei polli, in Italia siamo decisamente messi peggio: ne abbiamo perso infatti due terzi. Sempre più importante diventa quindi, in quest'ottica, lo sforzo compiuto dai singoli appassionati. Cercate di propagandare e propagare, per quanto possibile, le razze tipiche della vostra regione, cercate esemplari della vera Italiana comune nei pollai della vostra zona, e tornate ad allevarla, magari seguendo per la sua selezione lo standard della razza Livorno, prototipo, da oltre un secolo, del pollo italiano. Chiunque può contribuire attivamente a salvaguardare la biodiversità avicola del nostro Paese!
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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Un gruppo di polli allevati con metodo biologico. Foto: Andrea Mangoni.
Un gruppo di polli allevati con metodo biologico. In queste condizioni gli animali possono godere certamente di una migliore qualità della vita e sfoggiare una completa panoplia di comportamenti assolutamente naturali, ma sono altresì più facilmente soggetti all'attacco di parassiti. Foto di Andrea Mangoni.
Più di ogni altro so quanto possa essere grande la frustazione di allevare per mesi dei meravigliosi esemplari, curarli con amore fino all'età adulta, e poi magari vederli soccombere di fronte ad un virus o ad una malattia. Anche i polli più curati possono infatti diventare ricettacolo di parassiti od ammalarsi per infezioni batteriche.
Nella prospettiva di un allevamento veramente biologico, si potrebbe pensare di usufruire di prodotti naturali per cercare di contrastare alcuni dei problemi più frequenti o di più semplice risoluzione. Alcuni di questi suggerimenti vengono dalla tradizione contadina veneta, altri li ho trovati invece nel forum di Ultimate Fowl e nel blog di Ysengrin. Chiaramente queste poche righe vogliono essere solo uno spunto di riflessione, non volendo nè potendo sostituirsi ad alcuna indicazione veterinaria di sorta.
@ Aceto di mele (Malus domestica): per aceto di mele si intende non tanto quello raffinato, ma quello dotato ancora della cosiddetta "madre dell'aceto". L'aceto ha dato prova di bloccare la crescita di organismi come Candida e Pseudomonas. Esso aiuta a mantenere un ambiente naturalmente acido nel tratto digerente, sfavorendo così lo sviluppo di batteri e funghi. Sembra che possa vere benefici influssi anche nella lotta alle coccidiosi. L'aceto di mele è inoltre ricco di potassio, zolfo ed altri elementi importanti per lo sviluppo degli animali. L'aggiunta di un cucchiaio ogni litro d'acqua può aiutare a mantenerne sotto controllo la carica batterica, oltre a contribuire al generale stato di salute dell'animale.
@ Aglio (Allium sativum): uno dei più noti antielmintici. Potete aggiungerlo, dopo averlo ben tritato, ad un pastone a base di crusca o pane, o a qualunque altro tipo di pastone utilizziate nell'alimentazione dei vostri avicoli. In alternativa, si potrebbe utilizzare un decotto di spicchi d'aglio tagliati a metà, somminitrandolo nell'acqua dell'abbeveratoio. Il trattamento può essere ripetuto ogni due o tre mesi. Considerato da tempo immemorabile uno dei più efficaci medicamenti naturali, veniva usato nel veneziano anche come rimedio per la corizza, al comparire dei primi sintomi. In questo caso ne veniva utilizzato uno spicchio intero, tagliato a metà e sbucciato, che veniva infilato a forza nella gola dell'animale malato, in modo che esso non potesse rigettarlo.
@ Cenere di legna: una cassettina o una buca piene di cenere di legna all'interno del pollaio rappresentano per i polli un'attrazione irresistibile. Infatti questi uccelli amano fare degli autentici "bagni a secco", con i quali eliminano parassiti esterni come i mallofagi (pidocchi pollini).
@ Cipolla (Allium cepa): come l'aglio, anche la cipolla viene considerata un valido vermifugo nella tradizione veneta. Anch'essa viene tagliata finemente ed aggiunta al pastone dei polli.
@ Conchiglie: i gusci dei molluschi, siano essi ostriche o cozze, vongole o chiocciole, sono costituiti da carbonato di calcio, sostanza indispensabili anche ai polli. Il guscio dell'uovo, infatti, è composto proprio di calcio, e per questo le galline in deposizione necessitano di integrare la loro dieta con questa sostanza. Potete acquistare gusci d'ostrica sbriciolati e già pronti in molti consorzi agrari, o in alternativa potete frantumare voi stessi in un mortaio le conchiglie dei molluschi acquistati per scopi alimentari. Anche l'osso di seppia e la penna di calamaro vanno bene.

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@ Olio di fegato di merluzzo (Gadus morhua): oltre ad esser stato l'incubo di generazioni di bambini, questa sostanza è ricchissima di vitamina A, vitamina D (che aiuta a fissare il calcio nelle ossa) e di acidi grassi omega 3. Ottimo tonificante, può essere somministrato una o due volte al mese ai polli durante la muta o in inverno, mescolandone un cucchiaio per chilo di pastone alimentare.
@ Ortica (Urtica dioica): quest'erbaccia comunissima è ricca di potassio, manganese, ferro, vitamine; le foglie si possono somministrare fresche, tagliate finemente e aggiunte alla frutta e alla verdura, ed in questo caso sono ottime come integratore per la dieta di pulcini e tacchini in via di sviluppo. Altrimenti possono essere raccolte e fatte essiccare all'ombra; una volta polverizzate verranno mescolate al pastone invernale di crusca ed acqua calda, per aiutare la ripresa della deposizione nelle nostre ovaiole.
@ Santolina (Santolina chamaecyparissus): nota in alcune zone del Veneto come vermolina, la santolina è un efficace antielmintico. Si può somministrare fresca, tritata e mescolata al pastone alimentare, oppure si possono raccogliere gli steli fiorali, farli essicare all'ombra ed utilizzarli in seguito per farne un decotto, da aggiungere all'acqua dei polli nella dose di un cucchiaio per litro d'acqua.
@ Timo (Thymus sp.): buon antisettico e antibatterico, avrebbe dimostrato di essere efficace nel contenimento di molti comuni patogeni dei polli. Servito sotto forma di tisana ogni due o tre mesi, facilita le funzioni digestive, così come aiuta a combattere le malattie infettive ed alcuni parassiti. Somministrato in dose elevate pare possa favorire un rallentamento della crescita.
@ Zucca (Cucurbita sp.): ancora una volta, un antielmintico. Di per sè, la polpa di zucca è in genere graditissima ai polli; ma sarebbero i suoi semi a fungere egregiamente da antiparassitario, in particolar modo nei confronti di nematodi e cestodi.
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E' USCITO "IL POLLAIO PER TUTTI", IL NUOVO LIBRO DI ANDREA MANGONI!


ALTRE LETTURE INTERESSANTI

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I bellissimi frutti dell'albero di cachi. Foto di Andrea Mangoni.
Passeggiando lungo le strade di tante zone rurali della nostra provincia, tra ottobre e novembre, si può restare letteralmente incantati ad osservare gli alberi di cachi, ricchi e quasi opulenti di tondeggianti frutti arancioni. Sembrano dei monumentali alberi di Natale, iniziati ad addobbare con troppe settimane d'anticipo ed improvvisamenti abbandonati a sè stessi a metà dell'opera. Spesso questi monumenti all'abbondanza sono accompagnati da un coro vivace di uccelli estremamente lieti: merli, tordi e storni infatti vanno pazzi per questi grandi frutti, quando sono maturi, e spesso li svuotano letteralmente della polpa, a volte lasciando attaccato al picciolo solo uno scampolo arancio di buccia.
I cachi (Diospyros kaki) sono un frutto proveniente dalla Cina, e appartenente alla famiglia delle Ebenacee; giunto in Europa verso la metà dell'ottocento, era comunque già stata diffusa in Giappone, dove godeva di grande popolarità, tanto da farlo diventare elemento di favole e racconti popolari come la storia della guerra tra il granchio e la scimmia. Presenta numerose cultivar, che si distinguono per le qualità dei frutti al momento della raccolta. La coltivazione è semplice su qualunque terreno, e la pianta non necessita di alcun intervento antiparassitario, sebbene al momento dell'impianto risulti sensibile alla presenza di nematodi nel terreno. Le varie cultivar si propagano per innesto a corona o a spacco. I frutti acerbi sono terribilmente astringenti e se mangiati danno la sensazione di avere "la bocca legata"; per accellerare la loro maturazione si possono porre vicino a delle mele, che rilasciando etilene ne accelerano il processo di ammezzimento. I frutti, divenuti eduli per supermaturazione, sono una vera miniera: sono infatti ricchi di vitamina C, betacarotene, potassio, zuccheri; a questo stadio sono lassativi, non più astringenti. Sono alberi che dovrebbero trovar posto in qualunque frutteto annesso ad allevamenti biologici di avicoli, in quanto forniscono eccellente ombra in estate ed ottimi frutti in inverno per i nostri amici volatili; allo stesso modo possono essere impiegati agevolmente nel birdgardening come punto d'attrazione per i piccoli uccelli nella cattiva stagione. In entrambi i casi potete provare a piantare, vicino all'albero di cachi, qualche cespuglio di ribes rosso, che offrirà la propria frutta in estate.
Un albero di cachi. Foto di Andrea Mangoni.
I cachi mi hanno sempre dato l'idea di una pianta "povera", propria delle famiglie di contadini... Per questo forse fatico a riconoscerli quando, corredati di prezzi elevati, li vedo nei negozi di frutta e verdura. Ricordo sempre i racconti dei miei zii su questi frutti e di come rappresentassero per loro - ragazzi nell'immediato dopo gerra - un autentico tesoro stagionale. Quando i frutti iniziavano ad ingiallire il nonno li raccoglieva, prima che gli uccelli ne facessero scempio, e li distribuiva a loro in parti uguali: certo non erano tutti allo stesso stadio di maturazione, per cui ognuno ne riceveva (in maniera più o meno uguale) tanto di maturi quanto di ancora acerbi. Ognuno li nascondeva in un luogo segreto, dove poterli conservare e farli maturare con calma... Ma c'era sempre un fratello più scaltro che seguiva l'altro per scoprire dove fosse il suo "tesoro", e giocargli così un tiro mancino. Infatti, scoperta l'ubicazione dei cachi, sostituiva i frutti maturi del fratello con i propri ancora acerbi; ed ecco che lo sfortunato si ritrovava a lamentarsi:"Mi pare impossibile che i miei cachi non maturino mai!". Ma la punizione era in agguato: infatti l'altro, troppo impaziente per aspettare che i frutti fossero completamente maturi, e li mangiava quando ancora erano in parte acerbi... Potete immaginare il mal di pancia? E così, alla fine, l'ingordigia che aveva aguzzato l'ingegno diventava causa di mali peggiori!
Io, lo devo ammettere, non impazzisco per i cachi freschi. E' probabilmente la consistenza della loro polpa, ad impedire che rientrino nel novero dei miei frutti preferiti. E' per questo, quindi, che voglio piantare, il prossimo anno, un alberello di cachi mela, o pomi cachi, come vengono chiamati da noi: si tratta di una varietà che ha una polpa dalla consistenza e croccantezza simili a quella della mela ma col gusto appunto del cachi, non astringenti alla raccolta, e con cui per di più si possono preparare deliziose torte proprio come si farebbe con le mele vere. Insomma una pianta dalle mille risorse, non ultima la grande bellezza che la rende un faro di colore in una stagione come questa che ne avrebbe davvero sempre bisogno.
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Foto di Andrea Mangoni

Passeggiare tra le viuzzole dell'Orto Botanico di Padova, il più antico orto botanico universitario ancora esistente, è come fare un piccolo viaggio nello spazio e nel tempo. Essenze esotiche si affiancano a umili pianticelle autoctone, fiori sgargianti baluginano tra grovigli di spine, grappoli di bacche dai colori inverosimili si affiancano a statue antiche. Camminare nel nucleo centrale, passando dalle vecchie porte, e ritrovarsi tra aiuole fiorite e vasche dalla perfetta geometria è come tornare nel vecchio hortus conclusus di un monastero medievale. Gruppi di piante aromatiche, ninfee, piante da frutto, tutti disposti in rigide simmetrie, si rifugiano sotto l'egida del vecchio albero di gingko, che in autunno somiglia ad una cascata di ventagli dorati, o sotto quella dell'imponente palma di Goethe; la rotonda nascosta tra tassi e bambù sembra una piccola stanza verde, pronta a d accogliere una coppia di sposi, e nelle serre delicati ficus ed imponenti monstere costruiscono pareti enormi e palpitanti di vita. Metto qui qualche immagine scattata lo scorso mese tra i suoi viali; merita assolutamente una visita anche in stagioni, come l'autunno e l'inverno, che certo non brillano per l'abbondanza di fioriture e rigogliosità. Per ogni informazione, questo è il sito dell'Orto Botanico.

Foto di Andrea Mangoni Foto di Andrea Mangoni Foto di Andrea Mangoni Foto di Andrea Mangoni Foto di Andrea Mangoni Foto di Andrea Mangoni

Il mondo è piccolo. E' un dato di fatto, pare che in teoria dovremmo essere separati da ogni altro essere umano del pianeta da soli 5 gradi di conoscenza. E Internet è ancora più piccolo. Per cui, il ricordo di una persona e la vita di un'altra possono trovare strade inconsuete per tornare ad incrociarsi. Strade inconsuete come questo blog, che per una volta pubblica un messaggio non mio, ma di una mamma che ha molto per cui ringraziare, nella speranza di poter aiutare nel nostro piccolo le strade del destino a fondersi ancora.
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18 e 19 novembre. 9 anni. 9 anni dalla morte di un ragazzino di 16 anni, 9 anni dalla rinascita di mia figlia. Un misto, ogni anno, di dolore e gioia, di rabbia e felicità. Perchè Pamela oggi vive grazie all’estremo e ultimo atto d’amore di due genitori per il figlio, morto in un incidente stradale. E quest’anno vorrei fare una cosa, che non ho mai fatto direttamente. Vorrei ringraziarli.Vorrei dire loro grazie per la loro scelta, coraggiosa, di vita, fatta in un momento in cui tutto sembra non esistere più, la morte di un figlio. Li ringrazio personalmente, come mamma di Pamela, ma anche a nome di tutte quelle persone e quei bambini chevivono grazie a un gesto come il loro. E ringrazio tutti quelli che hanno avuto lo stesso pensiero. Vorrei che questo messaggio venisse pubblicato ovunque, sui blog e sui giornali, vorrei che tutti sapessero chedonare un organo è un atto di amore verso gli altri che niente potrà mai ripagare meglio del sorriso di chi, grazie a quella donazione, oggi può ringraziarvi, piangendo.
Sofia Riccaboni
ps: chiedo a tutti quelli che possono, che hanno un blog, un sito, una radio, un giornale, una tv di diffondere questo messaggio... non posso per legge contattare la famiglia del donatore... ma vorrei gli arrivasse questo segno… confido in voi...
Gallo di Bionda Piemontese - tipo Alessandria. Allevatore e fotografo: Emilio Briganti. Gallo di Bionda Piemontese - tipo Alessandria. Allevatore e fotografo: Emilio Briganti.
Come già ho avuto modo di dire, le razze italiane andrebbero sempre valorizzate e riscoperte, specie nei territori che le hanno viste nascere. E' per questo che oggi voglio perlare di una razza davvero magnifica, che ci viene direttamente dal Piemonte: la Bionda Piemontese. Nota in passato con vari nomi (Bionda di Villanova, di Cuneo, Rossa delle Crivelle, Nostralina) la Bionda Piemontese è un pollo dai caratteri tipicamente mediterranei diffusa nel comprensorio del Piemonte da tempi immemorabili; di questi magnifici animali sono però noti riferimenti bibliografici solo dal 1938, anno in cui il Direttore del Centro Avicolo Sperimentale di Torino, Vittorino Vezzani, decide di dar vita ad un progetto di selezione della razza. Di certo queste galline erano così apprezzate che pare venissero ereditate di madre in figlia sotto forma di "dote nuziale": in pratica, quando una figlia si sposava, riceveva dalla famiglia un gruppo di polli con cui iniziare il proprio allevamento. E pare che la gelosia per i propri ceppi spingesse le massaie a non cedere mai uova fecondate al di fuori del nucleo famigliare.
Gallina di Bionda Piemontese - tipo Alessandria. Allevatore e fotografo: Emilio Briganti.
In ogni caso, nonostante il tracollo degli anni '60 del secolo scorso (dovuto a nuove metodiche agricole e di allevamento), tramandandosi di generazione in generazione questa razza è giunta fino ai giorni nostri ed è oggetto dal 1999 di un progetto di recupero oltre ad essere divenuta presidio Slow Food.
Fisicamente la Bionda si presenta come un pollo dal piumaggio fulvo e dalla coda nera o blu. I maschi possono raggiungere i 2,5-2,7 Kg, le femmine si attestano invece tra i 2 ed i 2,3 Kg. Pelle, tarsi e becco sono gialli; la cresta tende a ripiegarsi nelle galline. Esistono due principali tipologie: la Bionda di Alessandria, dagli orecchioni bianco - gialli, e quella di Cuneo, dagli orecchioni rossi e derivante dall'immissione di sange New Hampshire. Possono produrre dalle 180 alle 200 uova l'anno, di peso vicino ai 60 grammi, dal guscio bianco o rosato. La deposizione inizia a partire dal 6° - 7° mese di vita. Rustiche e robuste, sono discrete depositrici invernali; vengono allevate all'aperto, ora come un tempo, in condizioni ben lontane da quelle delle loro lontane sfortunate parenti nei capannoni.
Insomma, si tratta davvero di animali dalla storia affascinante e dai tanti pregi che meriterebbero di essere maggiormente presi in considerazioni dagli allevatori italiani (specie dai Piemontesi!!), così come l'altra razza locale, la Bianca di Saluzzo.
Nota importante: tutti gli animali mostrati sono allevati da Emilio Briganti, cui va il mio ringraziamento per la disponibilità nel fornire le immagini ed i miei complimenti per il suo impegno nei confronti delle razze italiane. Se desideraste contattarlo, cliccate QUI per inviargli una e-mail.

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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Galline di Bionda Piemontese - tipo Alessandria. Allevatore e fotografo: Emilio Briganti. Galline di Bionda Piemontese - tipo Alessandria. Allevatore e fotografo: Emilio Briganti.
la piccola Orchis tridentata nata in campagna.

Piove. Fuori il vento soffia privo di qualunque simpatia, e l'angolo più attraente della casa è quello di fronte alla stufa che scoppietta. La danza delle fiammelle attraverso il vetro è quasi ipnotica, e fa desiderare solo di essere giganteschi ghiri con nient'altro da fare che appallottolarsi di fronte al fuoco e ronfare sonoramente.

Sfoglio le pagine dei blog che preferisco, e capitando in quello bellissimo di Nicola mi ritrovo a pensare che anche per me l'autunno è da sempre momento di riflessione, pace e progetti per il futuro.

Quest'anno ho colpevolmente trascurato la mia campagna, ma tra laurea, matrimonio e l'attuale trasloco... direi che è naturale. In fondo il tempo in più è stato assorbito dal pollaio, che mi ha dato il mio bel da fare... ma questa è un'altra storia. Sono contento però di tutta una serie di piccole cose, tra cui la fioritura di un'Orchis tridentata - bellissima! - e la fruttificazione del corbezzolo; la giovane farnia è cresciuta tantissimo, sarà alta quasi due metri, mentre il salice cenerino ha avuto un vero e proprio exploit. Nei prossimi mesi sulla riva vedrò di piantare un'olmo campestre (Ulmus minor), un'ontano nero (Alnus glutinosa) e qualche altro cespuglio... tra cui probabilmente il pallon di maggio preso quest'estate lungo un fossato.

Orto e giardino: un'altro anno negativo per le piante carnivore, che hanno risentito tantissimo del troppo caldo. Le rose taleate hanno preso tutte (o quasi) abbastanza bene, e pure le margherite hanno attecchito. La carissima Marina mi ha inviato delle piantine di balsamita, che stanno mostrando tutta la loro bellezza. Ah!! già pregusto deliziose frittatine!! Devo trovare un modo per taleare efficacemente l'erba luigia del nonno di mia moglie, prima che la sua casa venga venduta... E' una pianta così bella!! In aprile semineremo poi i semi delle zucche ornamentali che ci ha regalato l'amico Renato... e magari finalmente dedicherò la famosa gombina al "metodo Fukuoka".

Betullina, una delle gallinelle che non sono sopravvissute all'attaco dei ratti.

In pollaio l'anno è stato un'altalena di emozioni positive e negative. La gioia dei primi nati, la delusione per le tre covate di tacchini andate a male (ma quest'anno si cambia il maschio!!), l'onore di aver ricevuto il vecchio ceppo delle Polverara di Rossetto, il dispiacere di vedere tanti esemplari morire per motivi davvero stupidi, le speranze legate agli ultimi pulcini dell'anno... Nei prossimi mesi, di lavori da fare ce ne saranno molti. Innanzitutto, dovrò costruire un nuovo recinto, per gestire al meglio le riproduzioni di diversi soggetti; sebbene l'avessi progettato diversamente, all'inizio, ora mi sto orientando sempre più su un recinto quadrato, di metri 5x5; il pollaio annesso sarebbe di metri 2x2 di base, così da poter ospitare in tranquillità almeno 6-8 animali. Il recinto avrà al suo interno qualche cespuglio (ribes, forse, e salice bianco) ed una vigna, con cui fare un pergolato per il sole; dovrebbe essere chiuso anche superiormente con rete antipassero, per evitare intrusioni e fughe dall'alto. Ho in ballo poi un altro progetto... più ambizioso. Ma di questo ve ne parlerò a tempo debito. Mi piacerebbe allevare qualche esemplare di Italiana comune, scelto tra qualcuno dei vari ceppi locali che ho individuato... ma lo spazio è tiranno, e già adesso tra tutte le mie razze mi trovo con almeno due galli di troppo che non posso - e non voglio - cedere. Insomma, tanto lavoro da fare...

Il ciocco di legna continua a bruciare. La luce calda illumina un piccolo quadrato di pavimento, davanti alla finestrella della stufa. Vorrei solo riposare un altro po'... qui di... fronte... al fuo...

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Aggiornamento: come mi è stato fatto notare, il termine gombina è tipicamente veneto e merita spiegazione migliore. Usando le parole di Paul:

Gombina: Lembo di terreno di forma regolare e ben delimitata, riservato alla coltivazione di un solo tipo di vegetale.

Un tramonto nelle mie campagne.

Gruppo di Polverara nere del Sig. Salmaso, foto scattata tra il 1965 ed il 1970. Si ringrazia il Sig. Bertin per aver fornito questo eccezionale documento.
Oggi ho avuto il piacere di poter incontrare finalmente il Sig. Antonio Bertin, storico appassionato e studioso della Polverara, autore assieme al Geom. Pasquetto di una ricerca storica dedicata appunto all'antica S-ciata.
Il Sig. Bertin, oltre a lasciarmi parte del materiale da lui raccolto, mi ha pure regalato l'originale dell'immagine che vedete qui sopra, e cioè una rara fotografia di un gruppo di Polverara appartenuti al Sig. Salmaso, foto scattata nel 1931. E con l'immagine sono venute numerose informazioni, e squarci di luce sulla storia recente di questa razza che amo così tanto.
Nel 1932 l'Ing. Zanon, il Cav. Camillotti ed il Col. De Dominicis restituirono al paese di Polverara 6 gruppi di esemplari di quella razza che ne prendeva il nome e che loro avevano faticosamente ricostituito a partire da tre esemplari. Ma nel frattempo altri allevatori avevano unito gli sforzi per risollevare le sorti della S-ciata, e qualche anno prima i Sig. Fortuni e Salmaso, di Mira (VE), avevano potuto presentare alcuni gruppi di esemplari in svariate mostre nazionali ed internazionali, tanto che nel 1930 le loro Polverara avevano meritato un premio durante il VI Congresso Mondiale di Agricoltura, svoltosi a Londra nel Crystal Palace.
Negli anni a seguire, però, la Polverara continuò a rarefarsi, tanto che negli anni '50 essa finì con lo scomparire nuovamente dal prorio paese d'origine. Diversi allevatori ne custodirono più o meno gelosamente alcuni ceppi, e, tra questi, vi fu proprio il Sig. Salmaso, che però verso la metà degli anni '70 del secolo scorso finì con l'abbandonare anch'egli la Polverara. I vari tentativi del Prof. Carlo Lodovico Fracanzani di ridistribuire qualche esemplare di Polverara nel comprensorio da cui proveniva non ebbero purtroppo alcun risultato, e alla fine degli anni '70 rimaneva solo il Sig. Bruno Rossetto ad allevare questa razza, ricevuta da una ga£inara nel lontano 1954. Proprio il suo ceppo avrebbe poi fornito preziosissimo materiale genetico, sotto forma di 6 esemplari, che permise (assieme ad altri polli ibridi raccolti nelle campagne del padovano) al Rag. Antonio Fernando Trivellato di ricostituire numericamente questa razza, tra le più antiche e belle del nostro Paese.
Gruppo di Padovana Pesante, razza autoctona del padovano il cui allevamento venne abbandonato dal Pollaio Provinciale

Un amico mi ha scritto, poco tempo fa, chiedendomi spiegazioni sul perchè io non voglia considerare gli esemplari di Italiana comune locale, attualmente in vendita, come esemplari di razze autoctone italiane. Avevo sperato di esser stato chiaro, ma visto che così non è, non mi resta che portare qualche esempio. Così, nel corso delle prossime settimane proporrò testi ed immagini che possano spiegare il mio punto di vista, e cioè il fatto che gli animali attualmente in vendita come Italiana comune locale, più noti col nome di Italiener, sono assai distanti per dimensioni, portamento, taglia e forma da quelli che avevano popolato i nostri pollai fino agli inizi del XX secolo e che prendevano il nome di Italiana comune. Il primo di questi documenti è rappresentato da un articolo, proposto dal dott. Squadroni al prof. Ghigi alla fine degli anni '30 del secolo scorso, da cui si può fare un pò di chiarezza sulla somiglianza tra l'Italiana comune vera e la Livorno, e sulla fine di alcune razze autoctone padovane.

Come vedrete, nel documento in questione il dott. Squadroni deprecava l'allevamento di alcune razze (Padovana Pesante, Padovana Gigante, Boffa) tacciandole di essere nient'altro che ibridi di scarso valore; nel contempo esaltava le caratteristiche della Padovana comune, ceppo autoctono dell'Italiana. Peccato che le razze in questione fossero ben documentate, anche fotograficamente, alcune da un cinquantennio abbondante; e peccato pure che proprio il Pollaio Provinciale da lui presieduto avesse in allevamento alcune di quelle razze dileggiate, di cui teneva alcuni gruppi. Perchè un simile comportamento?

Il Pollaio Provinciale era obbligato, da una legge del 1926, a selezionare il pollame locale; ma i gruppi di queste razze, degenerati a causa della consanguineità, erano causa più di problemi che di soddisfazioni, oramai. Squadroni desiderava introdurre l'allevamento della Livornese, pollo virtualmente identico alla Italiana comune, e per dedicare risorse e spazio a questi remunerativi animali non si dovette far altro che far passare Pesante Padovana e Boffa per semplici meticci, così da giustificarne l'abbandono dell'allevamento.

Nel contempo, però, se da un lato queste razze vennero ad essere condannate, dall'altro nella sua documentazione Squadroni inserisce una descrizione della Padovana comune che calza molto bene anche alla Livornese. Si potrebbe obiettare che tale descrizione avrebbe potuto essere costruita ad hoc per far accettare le Livorno più facilmente, ma in realtà essa appare sostanzialmente uguale a quella stilata da autori che non condividevano minimamente le idee di Squadroni, e tale uniformità di vedute su questo argomento da parte di scrittori per altri versi ideologicamente distanti non può che avvallarne in maniera concreta l'autenticità.

A presto e buona lettura!

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Megiarola migliorata, anche chiamata Padovana comune: in pratica il ceppo locale dell'Italiana comune o locale.


Quand'ero piccolo, i miei nonni o mia mamma spesso, per indicare un cibo dal sapore disgustoso, facevano uno strano paragone: dicevano, infatti, che era "cattivo come la vermolina". Per anni mi sono chiesto cosa fosse questa beneamata vermolina, anche se senza eccessivo interesse; fino a quando, un paio di mesi fa, in una visita a Bruno Rossetto mi sono imbattuto in un bel cespuglio di color verde lavanda pallido che cresceva rigoglioso in un angolo del suo giardino. Alla mia domanda, di quale pianta cioè si trattasse, il sig. Rossetto disse senza esitazioni: "Come? Non la conosci? Questa è la vermolina!".
Avete presente cosa significhi sentir parlare per anni di qualcosa, sapere che probabilmente esiste ma non credere davvero che la si vedrà mai... e poi ritrovarsela improvvisamente davanti? Ecco, se lo avete presente potrete capire il mini-shock che ho provato allora. Da allora ho provato a cercare informazioni, per saperne di più su cosa fosse questa pianta esattamente.
La vermolina, così ho scoperto, era un miracoloso vermifugo, che si otteneva mescolando essenza di chenopodio ed olio di ricino; non stupisce quindi che la sostanza avesse un cattivo sapore! Anche il colore rosso la contraddistingueva bene, e aiutava a renderla... indimenticabile ai palati di chi (generalmente bambini) erano costretti a prenderla.
Ma la pianta che soggiornava nel giardino di Rossetto non aveva proprio nulla del chenopodio! Di cosa si trattava, dunque? La risposta è arrivata solo qualche giorno fa, durante una visita all'orto botanico di Padova: la pianta in questione non è altro, infatti, che santolina (Santolina chamaecyparissus). Questa pianta aromatica, nota per le sue proprietà antielmintiche, appartiene alla famiglia delle Compositae. Forma cespugli piccoli e compatti, alti in genere tra i 30 ed i 50 cm; produce fiori gialli, composti, dalla forma di bottoncino, riuniti in infiorescenze apicali. Può essere riprodotta per via vegetativa, prelevando a fine estate talee erbacee da far radicare in un miscuglio di sabbia e torba. I vasetti con le talee andrebbero fatti svernare in un cassone o serra non riscaldati, e trapiantati nella primavera successiva. Ama i terreni ben drenati, e si adatta benissimo anche a condizioni di siccità.
Il sig. Rossetto la utilizza come vermifugo per i propri animali, tagliuzzandola e mescolandola con il pastone a base di cereali delle galline o con la pasta dei cani; tradizionalmente, nel caso di pazienti... umani, gli steli andrebbero tagliati durante la fioritura e quindi lasciati essiccare in un luogo ombroso e ventilato; dovrebbero essere poi utilizzati come per preparare infusi e decotti. Nel suo "Compendio della Flora officinale italiana", Paola Gastaldo riporta che i fiori essiccati possono venire somministrati anche dopo essere stati polverizzati e mescolati con miele o confettura d'arancia. Certo una soluzione molto più dolce di quella adottata (...o meglio, subita!) dai nostri nonni!
Insomma, forse non sarà la stessa vermolina che tanto ha fatto penare i miei cari in gioventù, ma intanto un paio di talee stanno tentando di radicare nei loro vasetti, in terrazza... sperando di poterla apprezzare sempre e solo come bella pianta da giardino, e non per le sue proprietà farmaceutiche!
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Come avrete visto non ho voluto, in questo blog, così come nel mio sito, mettere pubblicità sotto forma di ads. Volevo, e voglio ancora, che queste pagine rimangano principalmente un posto dove condividere esperienze e cultura. Comunque sia, credo lo immaginerete, non vivo certo facendo il blogger o allevando razze avicole in via d'estinzione (perlomeno, non ancora!). Ogni post è scritto rubacchiando tempo ad una vita piuttosto impegnata e complessa. Però ho alcuni progetti importanti su cui lavorare, come ad esempio la creazione di una piccola area per la difesa della biodiversità. O ancora, il libro che sto scrivendo, dedicato alla gallina di Polverara, un'opera davvero particolare.

Volete aiutarmi? Volete contribuire a mantenere un pizzico di natura intatta in più, a trasmettere e condividere nozioni, o a scrivere una ricerca storica più unica che rara? Bene, di modi ce ne sono parecchi.

Se siete interessati alla natura e agli animali d'affezione più... singolari, potete acquistare tramite questa pagina del mio sito un libro delle Edizioni WILD: per ogni ordine, Oryctes.com riceverà una donazione pari al 15% del valore del libro.

O ancora, potete fare una donazione tramite Paypal, destinandola all'indirizzo e-mail andreamangoni@tin.it.

Oppure, aiuto di tutt'altro genere ma preziosissimo, inviandomi testi antichi di avicoltura o di scienze naturali, anche sotto forma di fotocopia. Libri, riviste, quello che volete: tutto va bene. Nei limiti del copyright, le opere più interessanti verranno trasformate in e-book e rese disponibili gratuitamente tramite queste pagine e quelle del mio sito.

Un grazie di cuore a tutti coloro che vorranno aiutarmi a portare avanti questi progetti!

Questo gallo di grande taglia, fotografato in un cortile della provincia padovana, ricorda l'antica razza Padovana Pesante. E pesanti questi animali lo sono davvero - i galli raggiungono i 4 Kg! Foto di Andrea Mangoni.
Ho già parlato, in questo blog, di biodiversità avicola. All'epoca terminai il post invitando la gente a cercare, cercare e cercare.
Ma la domanda che può sorgere spontanea è principalmente una... Vale ancora la pena cercare? Con centinaia di razze a disposizione tra cui scegliere (anche solo a livello estetico), con linee commerciali adatte a produrre uova e carne con la massima efficacia, vale ancora la pena cercare di recuperare qualcosa da vecchi pollai e contadini di vecchio stampo?
Un'altra immagine dello stesso gallo. Foto di Andrea Mangoni.La mia personale opinione è che sì, vale ancora la pena farlo. Mi è stato detto che l'Italia è stata rigirata come un calzino e che quello che si poteva trovare è stato trovato. Oddio, su questo io non sarei troppo d'accordo. Nel corso degli ultimi mesi mi sono imbattuto, cercando (nemmeno in maniera troppo convinta), in alcuni avicoltori e contadini che continuavano ad allevare avicoli da svariati decenni e che ospitavano, nei propri pollai, animali che differivano abbastanza da quelli che normalmente si osservano più comunemente nelle aie e nei recinti di questa zona o di quelle attigue, alcuni dei quali li potete osservare in queste fotografie. E' probabilmente l'eredità della vicina provincia padovana, che vantava fino agli anni '50 un piccolo primato per quel concerne l'avicoltura ed anche la presenza di ceppi autoctoni; certo è che cercando e riprovando, anche in tante altre zone d'Italia, si potrebbero recuperare ancora soggetti e ceppi in grado di dare soddisfazioni agli appassionati.
Ci sono già linee commerciali in grado di dare carne e uova a profusione? Sì, certo, ma spesso al prezzo di dimenticare quale rapporto ci lega con questi animali, o peggio ancora dimenticare che SONO esseri viventi che ci accompagnano da secoli e NON ingranaggi di una gigantesca macchina per la produzione di cibo. Possiamo - dovremmo! - essere pronti a rinunciare a qualcosa nell'ambito delle prestazioni, pur di salvaguardare parte del prezioso partimonio genetico di cui gli antichi ceppi sono portatori. Possiamo - dovremmo! - esser pronti a rinunciare a l'orgoglio di un nuovo nome, qualore non fosse necessario, pur continuando ad allevare animali che di quel territorio sono bandiere. Vi sembra poco chiaro? proverò a spiegarmi meglio, allora.
Certo, per il mio pollaio potrei acquistare ibridi commerciali a duplice attitudine. Sono comuni, danno tanta carne e tante uova. Ma, pur nella dignità assoluta che meritano, rimangono ai miei occhi animali decisamente un pò... scialbi. Non hanno radici, sono nomadi moderni decontestualizzati, privi di legami con la storia dei luoghi. I ceppi autoctoni ci parlano invece di gente di cui condividiamo il retaggio e la storia, di animali passati di generazione in generazione, di decennio in decennio. Le differenze genetiche accumulate in secoli di selezioni li hanno resi adatti a ciascuno degli ambienti che occupano o che hanno occupato.
Questo gallo bianco, trovato in un pollaio del veneziano, con la sua compagna, ricordava l'antica razza Megiarola, per le sue caratteristiche fisiche e produttive. Foto di Andrea Mangoni.Basta però questo a fare di ogni ceppo una razza a sè, di arrogargli un nome ed una identità propria? Dipende. Dipende a mio avviso dal fatto che le caratteristiche dell'animale stesso lo pongano dentro o fuori quei "confini" delicati che sono stabiliti dagli standard di razza. Un tempo forse bastava trovare una gallina con una piuma di un colore diversa da quella del proprio vicino, e subito ne usciva una razza. Oggi invece assistiamo a prodigiosi recuperi di razze o ceppi antichi, a ritmi che impressionano e danno di che pensare, visto che per il recupero serio di un ceppo o di una razza possono essere necessari svariati anni di lavoro. Il timore è che sussista la tentazione di prendere qualche audace scorciatoia, che però rischia di far svanire in una bolla di sapone quanto di buono sia possibile ancora ricavare con pazienza e dedizione.
Tempo fa, vista la mia passione per le antiche razze venete, chiesi informazioni riguardo al recupero della cosiddetta cucca o cenere, una razza di polli di tipo mediterraneo dalla colorazione sparviero un tempo diffusi nei territori veneti e citata dal Mazzon in alcune sue opere. E successivamente, in una fiera a Verona, vidi poi un esemplare della cosiddetta "Italiana comune locale veneta o cucca", e devo dire che la mia delusione fu parecchia. L'ho già detto, per molti motivi ritengo non si possa effettuare una semplicistica uguaglianza tra Italiener (o Italiana comune locale, come oramai viene chiamata in Italia) e l'Italiana comune VERA; ma se non si tiene conto delle differenze abissali tra i due tipi (e per favore, non ditemi che non ve ne sono! Vi invito a dimostrarmi che prima degli anni '30 in Italia si potessero trovare polli con quelle caratteristiche nelle nostre campagne!) si incorre a mio avviso due errori piuttosto grossi.
Primo, si pecca di superficialità, rischiando di confondere i ceppi autoctoni con quelli alloctoni; secondo, e ben più grave, si contribuisce attivamente a uccidere la biodiversità avicola ancora salvabile nelle nostre campagne. Perchè? Perchè se si propaganda con forza che i ceppi autoctoni sono le Italiener, se passerà l'idea che questi polli sono i nostri avicoli "nazionali", chi continuerà a mantenere gli antichi ceppi, così dissimili da esse ?
Ecco un ceppo proveniente dall'Emilia Romagna, caratterizzato da forme tozze e pesanti, da una colorazione piuttosto varia e da dimensioni contenute, seppure il peso sia abbastanza elevato. Foto di Andrea Mangoni.Insomma, si tratta di una situazione che rischia di divenire un'autentico paradosso: lavorando convinti di salvaguardare il pollo autoctono si finisce in realtà per abbandonarlo e condannarlo all'estinzione. Il mio invito torna quindi ad essere lo stesso. Cercate. Aguzzate lo sguardo, tenete le orecchie bene aperte, e se vi capita di trovare animali che pensate possano essere riconducibili ad un ceppo autoctono di avicoli, cercate di preservarli e di farli moltiplicare. Se necessitaste di qualche genere di guida, adottate per la vostra selezioen lo standard della Livorno: si adatta benissimo ai nostri polli autoctoni. Magari non verrete ricordati per avere riscoperto l'antica razza della "bruna di Montedefessi" o quella del "pollo dei Monti dei Paschi", ma sarete riusciti a salvaguardare un pezzetto di storia viva, palpitante e REALE della vostra regione e di voi stessi.
Buona cerca e un in bocca al lupo gigante a tutti coloro che desiderassero impegnarvisi; io, dal canto mio, ho già iniziato!
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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Ancora un gallo di grossa taglia riconducibile allo stesso ceppo di quello di inizio post. La forma accovacciata è dovuta al fatto che l'animale si stava muovendo. Foto di Andrea Mangoni.