Mi ha sempre leggermente infastidito che la gente si riferisse, parlando con malinconia di qualcosa che stia finendo, come di qualcosa al tramonto. Sarà perché, nella mia campagna, amo la luce del tramonto, specie in inverno, quando già alle tre del pomeriggio a volte il sole è basso e illumina da dietro le erbe e gli animali, donando loro un'aureola incredibile, fatta di penne e foglie e steli intrisi di luce. Sarà perché la luce di quel sole che si appresta a scendere sembra diventare ancora più calda, ancora più accogliente, ancora più totalizzante del solito. Sarà anche perché al tramonto segue la notte, punteggiata di stelle, o luminosa di lune tonde e pallide, o buia e misteriosa come poche cose. Insomma, non trovo malinconia i questo momento della giornata, anche se lo devo accostare a qualcosa che sta finendo, perché quella fine diverrà l'inizio d'altro. Mentre cercavo una foto per un articolo ho scorso il mio archivio e tra tante immagini me ne è saltata agli occhi una (questa), scattata 14 anni fa, quando appena avevo iniziato a muovere i miei primi passi nel mondo dell'avicoltura. In essa, il primo gallo di Polverara da me acquistato sorvegliava le nostre storiche, vecchie galline mentre pascolavano serene, tra i vecchi filari di viti. E rivederla mi ha fatto uno strano effetto.

Ecco, io ancora non lo sapevo, ma dietro quella foto c'era un tramonto metaforico oltre a quello reale. Di li a pochi anni le viti sarebbero state sostituite da alberi da frutta, il vecchio ricovero distrutto e ricostruito, il pollaio completamente rifatto. Sarebbe cambiato il mio rapporto con quella terra, con quella campagna, e la passione per quella razza sarebbe stata la molla capace di far scattare tutto un mondo di cambiamenti. Scorrendo l'archivio fotografico compaiono le foto di centinaia di animali, alcuni dei quali completamente rimossi dalla mia memoria, ma al solo vederli riaffiorano ricordi ed emozioni di schiuse, nascite, accoppiamenti, morti. Tornano le foto degli amici, dei maestri, dei compagni di avicoltura, e penso al tramonto di certe conoscenze perse con le persone che non ci sono più. E in ogni foto vedo un tassello, una maglia di quella lunga catena che mi ha portato a questa foto, che rappresenta l'attuale indirizzo della mia campagna, della mia passione, della mia vita. E anche questa è una foto fatta al tramonto e parla di un tramonto, perché più che mai quest'anno sento che si stanno preparando grandi cambiamenti e che vedrò il tramonto di quella che è la mia attuale quotidianità.



Ma questo tramonto non può spaventarmi, mi trova in attesa di quella luce calda che aprirà la strada a nuovi capitoli di questa storia. Perché l'unico altro momento in cui si trova una luce così calda, radente e accogliente è l'alba. Ricordo un anno in cui tutti i miei animali, che dormivano fuori, sugli alberi, anche nei mesi più freddi, si radunavano insieme all'alba tutti diretti verso il sole nascente, pronti a scaldarsi dei suoi raggi. Ed è questo che cerco nella vita: che la luce calda del tramonto di qualcosa si trasformi nell'altrettanto calda e avvolgente luce di un alba, nell'inizio di nuove avventure, nell'immersione vivifica nel cambiamento non fine a sé stesso ma indirizzato e motivato, spinto dalla passione e dall'ostinazione. E allora, ancora una volta, ci saranno nuovi tramonti e nuove albe. Grazie a Dio.



Come curare i pulcini


In Avicoltura ogni volta che inizia la stagione riproduttiva l'ansia è tutta per pochi, salienti momenti: quelli delle schiuse. I pulcini sono le vere superstar: attendiamo trepidanti di vederli nascere, aspettiamo che emergano dalle uova, ci preoccupiamo del fatto che c'è la facciano o meno. E subito dopo la schiusa li guardiamo, li ammiriamo, cerchiamo di capire se saranno latori di buone caratteristiche e se potremo tenerli con noi a lungo, magari chiedendoci se diventeranno i nuovi riproduttori. Ma è dopo la schiusa che arriva la vera sfida: far crescere al meglio i pulcini. Ecco quindi alcune note su come provvedere ai loro bisogni nelle prime settimane.

Appena nati andranno spostati in una gabbia o allevatrice dotata di una fonte di calore. Può trattarsi di una lampada riscaldante o di una chioccia artificiale, l'importante è che permetta ai piccoli di vivere alla giusta temperatura.
Nei primissimi giorni la fonte di calore dovrà creare nell''allevatrice una zona a 37°C circa, zona in cui i piccoli si raduneranno per gioire del tepore. Questa temperatura andrà via via diminuendo coi giorni, fino ad arrivare a 20°C verso i 20 giorni di vita. In questo senso, la lampada riscaldante risulterà molto comoda permettendo di sollevarla a varie altezze, appesa a un cavalletto, in modo da variare la temperatura percepita al suolo. C'è in modo semplice di capire se la quantità di calore erogata è corretta: osservare i pulcini. Se scorrazzano tranquilli, la temperatura è ok. Se sono tutti ammassati sotto lampada, hanno freddo; se invece si allontanano e restano costantemente ai bordi della gabbia, hanno troppo caldo.
Io uso un mangime primo periodo per i primi due mesi, senza coccidioststico, che sostituisco dai due ai quattro mesi con un secondo periodo integrato con erbe e verdure finemente triturate. Mano a mano che i piccoli crescono vengono spostate in gabbie più grandi, che servono principalmente per difenderlo dai moltissimi predatori che li potrebbero divorare. Verso i due mesi e mezzo i pulcini sono gradatamente abituati a vivere fuori, e ad uscire dalla gabbia: basterà lasciare la porta a porta e dar loro modo piano piano di esplorare il mondo circostante. La gabbia resterà a loro disposizione, luogo sicuro in cui rifugiarsi in caso di bisogno.
È importante che, all'inizio, il pascolo non sia a diretto contatto con quello degli adulti. In questo modo potranno rafforzare le difese immunitarie prima di entrare in contatto inevitabilmente coi parassiti che accompagnano i loro genitori.

Come curare i pulcini


Un tempo la cura e la gestione dei pulcini era legata a tradizioni antiche. Qui in Veneto ad esempio ai pulcini, nati sotto la chioccia, veniva offerto come primo cibo un pastoncino di farina di mais cui veniva mescolato un po' di vino o di aceto, a poco a poco, in modo da ottenere una consistenza grossolana. Questo cibo, integrato quando possibile con un uovo sodo sbriciolato, rappresentava la base dell'alimentazione dei piccoli e della loro balia. In seguito venivano posti al pascolo, sotto una caponàra, ovvero una gabbia con maglie abbastanza grande da trattenere la chioccia ma abbastanza piccole da lasciar girovagare i pulcini, che potevano così esplorare i dintorni e spiluccare steli e insetti pronti a rintanarsi sotto le ali della mamma al primo chiocciare di richiamo. Le famiglie che allevavano i cavalieri, ovvero i bachi da seta, potevano integrare la dieta dei pulcini anche con le crisalidi che venivano sacrificate per ottenere i bozzoli sericei. Verso il mese di vita gli animali venivano lasciati seguire la gallina, ma il loro pastoncino veniva comunque servito dentro la caponàra, per evitare che gli altri polli mangiassero il cibo destinato ai pulcini. E quei pulcini diventavano poi, assieme alle uova, il motore di quella economia familiare gestita dalle paròne de casa, le contadine, che dovevano fare quadrare i conti aiutandosi proprio, anche, coi pulcini.
Oggi quei tempi sono finiti, ma anche noi, come le contadine di un tempo, ci fermiamo a studiare gli occhi scintillanti di un pulcino neonato come se da essi dipendesse il futuro del mondo.

Come curare i pulcini


Cinorrodi di rosa


Con la fine dell'estate i cespugli di rose si ammantano di gioielli rossi e arancio, allungati, ovali o tondeggianti. Sono i cinorrodi, i falsi frutti delle rose, che contengono i loro semi. Forma, colore e dimensione cambiano a seconda della varietà, e rimpiazzano i fiori quando essi vengono meno dando colore e brio ai cespugli proprio quando la bella stagione cede il passo ai primi grigiori autunnali. Le specie botaniche sono senz'altro le regine in quanto ad abbondanza di cinorrodi, e in alcuni casi esse forniscono così cibo a uomini e animali. Si, perché non solo diverse specie di uccelli ad esempio gradiscono questi falsi frutti scarlatti, ma in qualche caso essi vengono utilizzati anche nella cucina tradizionale.

Ad esempio i cinorrodi allungati della Rosa canina sono tradizionalmente usati per ricavarne una confettura, preziosa per l'elevato apporto di vitamina C: per realizzarla occorre aprire i cinorrodi, privarli della peluria interna - un lavoraccio! - e dei semi, e poi dopo averli bolliti assieme a qualche mela e allo zucchero di canna (una mela e un cucchiaio di zucchero ogni 300 grammi di cinorrodi) si frullano e si invasano. Un tempo in dialetto si chiamavano "stropacùi", i "chiudi-culi", per via delle proprietà astringenti e irritanti dati dalla peluria interna. Col tempo che passa i cinorrodi si arricchiscono di crepe scure, ondulazioni sulla superficie che li fanno sembra strane perle di ceramica, lucidate e lavorate dalla brina dell'inverno piuttosto che da mano umana. Ma essi racchiudono ovviamente anche un'altra bellezza nascosta: la possibilità di dar vita a nuove rose.



Già, perché quando vediamo una rosa in giardino o nel negozio sotto casa, raramente ci ricordiamo che quelle rose sono tutte riprodotte da talea o da innesto, per creare cloni di singoli esemplari. Ma come nasce una NUOVA varietà di rosa? il segreto è nei cinorrodi, appunto: i semi in essi contenuti sono frutto dell'unione dei gameti di due individui diversi, e presentano così al giardiniere infinite possibilità nascoste di combinazioni. Ma ci vuole pazienza: i semi hanno bisogno di vernalizzare, ovverosia di esser macerati dal freddo pungente dell'inverno. Potete raccogliere i cinorrodi delle rose che vi piacciono di più, lasciarli in una vaschetta ricolma di sabbia umida, protetti da una pellicola trasparente, e lasciarli in un angolino a nord fino a febbraio; altrimenti potete sistemarli nel ripiano più freddo del frigo per qualche settimana. Lasciateli poi un paio di giorni a temperature più miti, sui 10°C, e quindi estraetene i semi. Mescolate in un vaso terriccio da fiori e torba, seminate le future rose ricoprendo i semi con pochi millimetri di substrato e dopo aver annaffiato ricoprite con una pellicola trasparente e lasciate tutto in una posizione di ombra luminosa: in capo a due mesi dovrebbero iniziare a spuntare le prime foglie. Curate le nuove piantine con amore, lasciandole in vaso almeno un anno, e vedrete che vi ricompenseranno con una fioritura speciale, unica proprio perché non esisteranno altri soggetti come loro. Anni fa ho provato a incrociare due rose antiche, ottenendo dai cinorrodi tondi di una "Gloire de Rosomanes" una piccola rosellina che produce fiori meravigliosi, di color rosso velluto, quasi nero. Provateci anche voi, e resterete stupiti dalla bellezza delle VOSTRE rose.





Stavo cercando tutt'altro. Come spesso accade, le cose che ci fanno più pensare ci arrivano per caso, mentre siamo in tutt'altre faccende affaccendati. Cercavo delle determinate foto, che ovviamente non ho trovato, in un vecchio hard disc, quando in una cartella di file ho trovato un piccolo tesoro: le scansioni di alcune vecchie foto della famiglia di mia madre. Alcune le conoscevo, le avevo già viste più volte; altre invece non le ricordavo affatto. E così mi trovo a pensare alle radici mie e della mia terra. Dalle foto i miei zii e mia madre, giovanissimi e belli, mi guardano sorridenti. Mia nonna è luminosa nel sole, mentre lo stesso sole scolpisce i volti di mio nonno e dei miei bisnonni, che sembrano usciti da una tavola di Mike Mignola. Attorno a loro la campagna, inondata di luce, i filari di salici in lontananza. La stessa campagna che fa loro da cornice in quasi tutte le foto, così come era nella realtà il palcoscenico di tutte le loro storie, piccole e grandi, vive e intense.

Quella campagna rappresentava la vita per i miei nonni, Pietro ed Elvira, così come lo era stata per i miei bisnonni. Lavoravano in campagna, indefessamente, spesso tornando a casa la sera in tempo per apparecchiare la cena e tornando poi nei campi, dopo aver messo a letto i figli, per finire i lavori più urgenti alla luce della luna.



Era una campagna certamente non facile da gestire, ma che portava in sé decine di generazioni di vite di contadini. I fossi, le siepi, le carreggiate esistevano invariate da secoli. Già apparivano uguali, così come i loro confini, nelle mappe del XVII secolo. Ma della storia antica i miei nonni non sapevano nulla: conoscevano invece tradizioni, pratiche, tecniche e usi tramandati dai loro avi. E parte di quel bagaglio lo avrebbero trasferito a loro volta ai propri figli.
Già, i loro figli, che avrebbero poi intrapreso strade diverse che li avrebbero portati lontani, in un modo o nell'altro, da quel mondo in cui le vigne e i covoni caratterizzavano il panorama quanto i filari di salici e i fossati. In queste foto ritrovo le mie radici, la mia famiglia, la campagna che amo. Un lascito, un'eredità cui mi sento legato come a poche altre cose. Ritrovo anche mia mamma, un batuffolo biondo perso tra le margherite, sotto le viti; e proprio oggi, che festeggio il mio compleanno, rivedere lei e i miei familiari in quelle vecchie foto mi scalda il cuore, e mi ricorda chi sono, da dove vengo e il legame con la mia terra. Un regalo prezioso, in un giorno come questo.
A tutti voi buon anno, amici.