Una gallina ha scelto di deporre in una vecchia cassetta della frutta. Foto di Andrea Mangoni.

Fin da prima di iniziare ad appassionarmi di avicoltura ho sempre avuto a che fare col mondo contadino. E di detti e proverbi, oltre che di tradizioni orali, ne ho registrati diversi. La cultura orale era una cultura vecchia di secoli, destinata a sparire con l'alfabetizzazione e con l'allontanamento dai campi. Questo post racchiude alcune conoscenze tradizionali sull'avicoltura, ricavate dai racconti dei miei nonni e di mia madre (Camponogara, Venezia) e del sig. Bruno Rossetto di Mortise (PD). Mi piacerebbe che, attraverso un mezzo così tecnologico, potessero ancora far riflettere e pensare. Certo molte cose sembrano frutto di pura superstizione... ma quante volte, anche oggi, ci affidiamo all'ultimo preparato della chimica con fede religiosa, senza mostrare il minimo senso critico? Forse alcune cose non saranno mai avallate dai testi di Biologia, ma di certo rappresentano l'espressione di un mondo che si è confrontato con la natura in un modo che ora come ora ci sognamo davvero.

  • Agostarò£i: pulcini nati da uova messe a incubare nel mese di agosto. Secondo la tradizione gli agostarò£i sono particolarmente precoci, ed in particolar modo le galline iniziano a deporre a 5 mesi di vita (Mortise, PD).
  • Brasègo£e: i bargigli del gallo e della gallina (Mortise, PD).
  • Caponàra: gabbia fatto intrecciando rami di vimini o salice bianco. Era bassa, a base rotonda e di forma più o meno cilindrica, con un foro nella parte superiore e mancante di fondo. veniva usata per far pascolare nel prato le chiocce coi pulcini: la chioccia veniva messa nella gabbia, ed i pulcini potevano uscire ed entrare a loro piacimento attraverso le sbarre laterali. Questo evitava che la chioccia camminando in lungo ed in largo finisse con lo stancare i piccoli. In seguito, munita di apposito fondo, poteva essere utilizzata per portare a vendere i pulcinotti cresciutelli al mercato (Venezia, Padova).
  • Cassette della frutta: da decenni il più utilizzato contenitore dove far deporre le galline (Camponogara, VE).
  • Chèba: gabbia. I pulcini e le chiocce venivano spesso isolati in gabbie in rete metallica, non tanto per evitare di perderli, quanto per scongiurare l'attacco dei predatori.
  • Cova indotta: se c'era necessità (ed accadeva spesso) di avere a disposizione dei pulcini, era necessario poter contare su di una buona chioccia. Se una gallina non sembrava troppo propensa ad impegnarsi in tal senso, le massaie di un tempo non andavano tanto per il sottile: la ritrosa bestiola veniva nutrita (anche forzatamente) con pane inzuppato di vino, per farla ubriacare, quindi per completare l'opera la si afferrava per le gambe e la si faceva roteare in aria, quindi la si metteva nel nido sopra le uova. Una simile pratica, che non sempre funzionava e che comunque è oggi assolutamente improponibile, aveva la sua ragione d'essere nel fatto che i pulcini erano una delle poche entrate in denaro su cui poteva contare una donna. Dalla loro vendita al mercato infatti essa poteva ricavare quanto necessario per tirare avanti (Camponogara, VE).
  • Ga£ìna coi speroni: era credenza comune che le galline che sviluppavano gli speroni dessero poi solo figli maschi (Mortise, PD).
  • Ga£inèta pépo£a: razza oramai estinta di polli, caratterizzata dall'avere tarsi estremamente corti, così che gli animali somigliavano più a delle strane papere che a delle galline. Un tempo utilizzate come incubatrici naturali, per la loro innata predisposizione alla cova, questo non le esimeva a volte di essere sottoposte ai trattamenti per la cova indotta (vedi voce). Buone ovaiole, atnto che nel padovano si tramandava il seguente detto: "la ga£inèta pèpo£a la fà tre vovi al dì - se non la fusse pèpo£a la gh'en farìa de pì "(La gallinetta pèpola fa tre uova al dì - se non fosse pèpola ne farebbe di più) (Camponogara, VE; Padova).
  • Luna: l'astro più importante in assoluto. Le uova vanno messe infatti ad incubare in maniera che i pulcini nascano con la luna crescente: in questo modo diventeranno forti e robusti in breve tempo. Neanche a dirlo, se i pulcini nascono in luna calante saranno sempre un pò malatini e cresceranno di meno (Camponogara, VE; Mortise, PD).
  • Onàro: l'ontano (Alnus sp.), pianta arborea e arbustiva diffusa presso le siepi delle rive. Le foglie venivano pare utilizzate per allontanare gli ectoparassiti dai pollai (Mortise, PD).
  • Venerdì: giorno infausto per gli avicoltori! Non bisogna mai mettere a incubare le uova di venerdì, altrimenti i pulcini che nasceranno saranno deboli e soprattutto si beccheranno i piedi (Camponogara, VE; Mortise, PD).

NB: la "£" che compare in tante parole è una "L" veneta che si pronuncia in vari modi a seconda delle parole, ma che corrisponde il più delle volte ad una "E" strascicata.

Post rapido rapido, per mostrarvi qualcuno dei miei pollastrelli. In questo primo video si vede la classica adunata per il pranzo... quando arrivo, tutti addosso e che Dio ci salvi! Il povero avicoltore rischia di essere subissato dai pennuti vogliosi. Si vedono molti incroci, i giovani Jersey Giant blu, i miei Polverara di ceppo Rossetto e tra essi in particolar modo spicca l'assolo di Leonida, il mio gallo dominante. Insomma, un modo differente di farvi entrare nel mio allevamento! Nelle prossime settimane proverò ad inserire altri contributi video. A presto!

Un bombo si nutre tra i fiori di lavanda. Foto di Andrea Mangoni

Un bombo si nutre tra i fiori di una lavanda. Foto di Andrea Mangoni.

Estate, tempo di assaporare profumi e fragranze intense e penetranti. Una delle piante più generose in tal senso è la lavanda (Lavandula sp.), che in natura è diffusa nel bacino del mediterraneo e che conta oltre 20 specie. La lavanda marittima (Lavandula stoechas), diffusa in natura anche in Italia, è stata spesso usata per produrre ibridi commerciali per l'abbellimento del giardino, ibridi che sono noti generalmente come "lavanda farfalla". Tra le piante più diffuse in coltivazione vi sono però le lavandine o lavande ibride, la più famosa delle quali (Lavandula hybrida) fu trovata spontanea in natura e deriva dall'incrocio di Lavandula angustifolia e L. spica, che, a differenza della lavanda marina, gradiscono suoli calcarei. Essendo un ibrido sterile, viene tutt'ora riprodotta per talea. Il suo interesse in ambito commerciale infatti è maggiore di quello delle specie botaniche, in quanto permette rese maggiori ed un prodotto migliore. Inoltre, data la moltiplicazione per via vegetativa garantisce coltivazioni di piante dalla resa molto uniforme.

Ma, a meno che non abbiate intenzione di intraprendere una coltivazione di lavanda, essa potrà avere per voi un ruolo principalmente come pianta da giardino. E anche in questo ruolo, la nostra essenza se la cava egregiamente: infatti è una pianta estremamente generosa, che può dare prolungate fioriture, e riempire qualunque giardino del suo intenso aroma canforato.

Una lavanda coltivata in vaso, in tutto il suo generoso splendore. Foto di Andrea Mangoni.Come già detto, le lavande amano in genere i terreni calcarei e piuttosto aridi: ma non pensate nemmeno di lasciare a secco una lavanda nei primi giorni dopo l'impianto! Anche le piante acquistate in vaso, con panetto di terra, richiedono, dapprincipio, abbondanti annaffiature unite ad un terreno ben drenato, e come loro pure le piante di piccole dimensioni coltivate in vaso. Solo in un secondo momento, quando le radici avranno attecchito a dovere, la vostra pianta potrà essere virtualmente abbandonata a se stessa: allora prospererà e crescerà senza aiuti aggiuntivi. Di anno in anno i suoi rami legnosi si allungheranno, strisciando sul terreno e generando sempre nuovi tralci fioriti con l'approssimarsi della primavera. Diverrà quindi importante la potatura, per poterne contenere le dimensioni e non farle perdere la bella forma semisferica.

Spiga fiorita di lavanda farfalla. Foto di Andrea Mangoni.Io preferisco potare la lavanda a fine fioritura: in questo modo, posso raccogliere le spighe e farle seccare per utilizzarle in seguito, e la pianta rimane così più... in ordine, fino all'anno successivo. Quando potate la lavanda, ricordate sempre di lasciare per ogni ramo verde almeno due gemme: infatti, potandola troppo in basso, la pianta non produrrà più muova vegetazione e morirà. Occhio alle forbici, quindi! Potrete inoltre approfittare dell'occasione per fare delle talee semilegnose, di circa 15 cm di lunghezza, da piantumare in vaso fino a radicazione avvenuta (potrebbe essere utile aiutare la pianta con una polverer a base di ormoni vegetali).

Le spighe di lavanda vanno fatte essiccare all'ombra, quindi si possono utilizzare per fare piccoli profumatori per cassetti. Basta un fazzoletto di tela, un pò di nastro di raso - et voilà - una volta riempito di lavanda sarà pronto per profumare i vostri abiti e tener lontane un pò di più tarme & C.

Ma se i fiori secchi allontanano gli insetti sgraditi, quelli freschi invece... li attirano irresistibilmente! Il motivo infatti per cui amo inserire la lavanda tra le piante del giardino naturale è proprio il fatto che essa fornisce cibo a stuoli di impegnatissimi impollinatori: dai sirfidi alle api, dai bombi alla farfalle... Certo, tra queste ultime non tutte sanno apprezzare le delizie della lavanda: sono in particolar modo le cavolaie, alcune vanesse, certe piccole sfingi ed il podalirio che ne fanno man bassa. Non dimenticatevi poi un'altra cosa: le api stanno diminuendo fortemente di numero. Ogni aiuto dato a questi (e ad altri) impollinatori dev'essere assolutamente incoraggiato.

Un'ultima coriosità: Fido e Micina hanno preso alberi e arbusti per voi preziosi per altrettanto preziosissime... toilette? Qualche pianta ha tirato le cuoia dopo le ripetute "annaffiature" degli affettuosi quadrupedi? Provate a circondare le piantine più preziose con delle piccole lavande: pare infatti che il loro odore possa tener lontano anche il mammifero dai reni più efficenti.

Una spiga di lavanda. Foto di Andrea Mangoni.


Con questo post inauguro un trend già iniziato su Oryctes.com, e cioè quello di dare la disponibilità di usufruire, gratuitamente, di alcune fonti iconografiche o letterarie.
Bruno Rossetto, cui va la mia perenne gratitudine, mi ha recentemente prestato il libro Avicoltura Pratica, II ed., 1905, di Luigi Pochini. Luigi Pochini è stato un grande avicoltore italiano, amico di Maggi e di altre importanti personalità di questo settore nell'Italia che si avvicinava alla fine del XIX secolo. Contribuì a far conoscere molte razze avicole e fornì importante materiale iconografico. Essendo trascorsi oltre 70 anni dalla sua morte, viene a cadere il diritto d'autore e le sue opere tornano ad essere liberamente pubblicabili senza indicazioni contrarie. Ho quindi pensato di scansionare il volume e di renderlo disponibile gratuitamente per coloro che desiderassero conoscere ciò che era l'avicoltura italiana e le sue speranze all'inizio del '900. Il volume che il sig. Rossetto mi ha prestato era sfaldato dal tempo e dall'uso; è stato molto usato e, logicamente, molto amato. Con questo e-book spero che la passione che ha fatto "vivere" il volume cartaceo possa continuare a trasmettersi.
Il file, in formato PDF, è molto pesante: 220 pagine ed oltre 56 Mega. Per renderlo disponibile a tutti mi sono appoggiato alla piattaforma di Lulù


Come ho detto, il download è totalmente gratuito, e logicamente non è posto limite alla sua libera fruizione, alla sua stampa e allo scambio PER FINI PERSONALI; a nessuno è permesso però di avvalersi del mio lavoro per lucrare sull'opera del sig. Pochini. L'unica condizione che chiedo di rispettare è quindi questa: che il file venga trasmesso e scambiato lasciandolo totalmente inalterato.

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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Masanobu Fukuoka. Foto tratta da http://organic.com.au/.
Un post un pò diverso dal solito, per ricordare un uomo autore di una piccola rivoluzione. E' infatti venuto a mancare a 95 anni nella sua casa di Iyo, nella prefettura di Ehime, in Giappone, Masanobu Fukuoka, microbiologo pioniere dell'agricoltura naturale.
Chi era quest'uomo? Un persona in grado di passare trent'anni a guardare crescere il proprio riso allo scopo di capire come fare per lasciar lavorare la natura nel miglior modo possibile. Detto così potrà sembrare una sciocchezza, eppure...
Eppure, l'idea di fondo è rivoluzionaria. Parte infatti dall'assunto che la natura è perfetta e che sa lavorare molto meglio di noi. L'agricoltura naturale mira infatti a far fare la maggior parte del lavoro proprio a lei, alla natura, e che l'uomo deve metterci del proprio il meno possibile. Niente sarchiarura, niente aratura, niente (soprattutto!!) pesticidi, concimi chimici e diserbanti. il trifoglio bianco produrrà l'azoto necessario alle nostre verdure; il tarassaco potrà servire ottimamente, se tagliato, per concimare i campi. Le sementi vengono mischiate con argilla, compost e a volte concime, e poi con questa mistura si formano palline che proteggeranno le future generazioni di vegetali e le nutriranno nel miglior modo possibile. La pacciamatura è ottenuta naturalmente, utilizzando la paglia.
Insomma, non solo una forma di agricoltura: una vera e propria filosofia di vita. Filosofia che egli ha trasmesso a noi attraverso i suoi scritti, tra cui il più famoso è "La rivoluzione del filo di paglia".
Lo vorrei salutare con parole non mie, ma di Gesù Cristo, parole che lui ha saputo render vere più di tanti altri:
"Perciò vi dico: per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre." (Matteo, 6,25-26).
Buon viaggio.
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"Purtroppo oggi si spacciano, con molta disinvoltura, soggetti che nulla hanno della vera razza – sono dei pessimi Crevecour o dei mal riusciti padovani e più spesso degli olandesi di scarto: tanto nell’uno che nell’altro caso, non si tratta che di animali di poco stimabili anche per la pentola. [...] L’importante si è che siano dati dei veri Polverara e non degli animali senza valore, che con essi nulla hanno di comune."
"[...] all’ingiro per la provincia, era una scorribanda di filibustieri che racimolavano tutto ciò che di «Polverara» potesse avere il più lontano segno."
Da Pollicoltura Padovana - 1934 - di Italo Mazzon.
Questi brani del Cav. Mazzon, scritti nel 1934, mi sono tornati prepotentemente in mente stamattina, quando mi sono recato alla tradizionale fiera del bestiame di San Rocco, a Dolo (VE). Aggirarsi tra le bancarelle e le gabbie dei venditori, oggi, è stato davvero... un pò triste. Molti gli animali in vendita, molti davvero belli, alcuni ben tenuti, altri un pò meno. Ma la Polverara... scarseggiava. Un peccato, per una delle razze più antiche del nostro Paese. La maggior parte degli esemplari presenti erano di taglia troppo piccola, oppure troppo giovani per poter essere adeguatamente valutati. Tantissimi poi gli esemplari con ciuffo "sparpagliato", alla Padovana. Comunque sia, arrivo ad una gabbia che contiene un marasma di polli, tra cui un paio di Padovani Gran Ciuffo giovani, dei Polverara, e poco altro. Vedo un animale che mi interessa, un galletto giovane che potrebbe essere utile per un progetto che ho in mente, e chiedo gentilmente alla padrona dell'animale di che cosa si tratti, intendendo chiedere con questo da quale incrocio fosse saltato fuori.
La risposta mi raggela.
"E' un Polverara".
Secca, diretta, semplice. Devo aver fatto una faccia parecchio strana, perchè lei si affretta a ripetere, più sicura di prima: "E' un Polverara".
Un Polverara? devo essere rimasto indietro con la definizione di gallina di Polverara. La mia è abbastanza semplice: zampe ardesia, pelle ed orecchioni bianchi, mantello bianco o nero, ciuffo ritto, cresta a cornetti... L'animale che ho di fronte ha mantello blu screziato di marrone, cresta semplice, assenza di ciuffo, zampe verdi (segno di pelle gialla), orecchioni rossi. Alla fine chiedo direttamente: "No, voglio sapere con cosa avete incrociato la Polverara per ottenere questo gallo!". Risposta, disarmante ma sincera: "Con una gallina comune".
Nella gabbia ci sono esemplari con ciuffi quasi assenti, altri con cresta inesistente, altri con zampe verdi o coda dal portamento davvero troppo basso. Tutti venduti come Polverara.
Me ne vado con un profondo senso di amarezza.
Non ci sono molti dubbi sul perchè la razza stia faticando così tanto a farsi strada e ad entrare nelle case dei contadini e degli amatori! Fino a che si continueranno a vendere, senza serietà alcuna, incroci di prima generazione come razza pura, che genere di animali potrà trovarsi davanti chi muove i primi passi nel mondo dell'avicoltura? Che tipo di credibilità potrà avere la razza, se chi li vende non rispetta minimamente la persona che andrà ad acquistarli? E' un po' il discorso che si faceva riguardo la famosa "Italiana Comune Locale". Certo, anch'io ho nel mio allevamento ibridi ed esemplari che non sono conformi allo standard; ma se mai li cedessi chiarirei da subito ed in maniera inequivocabile quali sono le loro caratteristiche e le loro ascendenze.
L'allevatore dovrebbe avere una forte etica, tanto nell'allevamento quanto nella vendita dei propri esemplari. Fino a quando non verrà coltivata questa dote, al fianco della competenza tecnica e della passione, le tante, meravigliose razze avicole del nostro Paese non potranno mai davvero diffondersi nella maniera che meritano.
Ciuffi assenti, colori improbabili... tutti Polverara? Per i venditori, sì!
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L'affollatissima Fiera del Bestiame.Come ogni anno, da troppo tempo a questa parte per poterlo ricordare, la tradizionale Fiera del Bestiame di San Rocco a Dolo (VE) è tornata a far affollare le strade della cittadina.

Un banchetto di zoccoli in legno.Anch'io ne sono diventato un affezionato, negli ultimi tre anni, a causa della mia passione per l'avicoltura; così alle otto e mezza mi muovo per farvi una rapida capatina, prima di andare a lavorare.

Già a quest'ora, e con un tempo incertissimo, la Fiera brulica di gente. Tanti i curiosi, tanti i contadini, tantissime le famiglie che portano i bambini a fare la conoscenza di un mondo che non conoscono e che forse non toccheranno mai più vicino di così.

Tra le bancarelle, non possono mancare i prodotti tipici: dal miele agli zoccoli in legno, dagli attrezzi antichi ai vini pregiati, dai salumi alle tegole decorate... E' una festa per gli occhi e - perchè no? - anche per il naso!

Fiori, alberelli, succulente e piante carnivore fanno capolino da banchetti approntati al meglio; gli stand delle associazioni dei coltivatori diretti mostrano orgogliosamente i propri prodotti e le proprie attività. Ma sono altri i veri protagonisti della Fiera: gli animali.

Il cavallino col suo calesse.Lungo la strada si trovano solo uccelli da gabbia e voliera, variopinti e colorati come pagliacci, mentre in quello che negli altri giorni è un parcheggio sosta serafico un cavallino legato ad un calesse. Quasi di fronte a lui, un ragazzo mostra a passanti divisi tra la curiosità e qualche brivido lungo la schiena un piccolo pitone reale e qualche altro rettile.

Ci sono anche animali meno...tradizionali!Ma è sotto gli alberi del piccolo parco che si trovano i veri beniamini del folto pubblico, specie di quello più piccolo. Una fila di belle e placide mucche attende i giudizi dei compratori accanto ad asinelli dagli occhi languidi e scuri, mentre magnifici cavalli e piccoli pony nitriscono all'ombra delle foglie scure.

Coniglietti candidi corrono sopra le gabbie in rete metallica, e a coppie i polli mangiucchiano e cantano, mostrando il loro piumaggio più bello. I bambini guardano, si avvicinano e spesso allungano una mano per accarezzare il mantello pezzato di un pony o morbido e sericeo di un coniglio, incontrando finalmente (alcuni per la prima volta) un mondo di cui spesso anche i loro genitori conoscono poco.

I polli nelle loro gabbie allineate.

E' un mondo contadino, fatto di riti antichi e di antiche tradizioni. Un mondo che ha letteralmente fanno e nutrito l'Italia per generazioni, prima di venire lentamente, ma insesorabilmente, ingoiato dalle logiche di mercato e dal "progresso". Ma era un mondo particolarmente... vero, un mondo dove la parola di un uomo aveva un valore più alto di quanto non lo avesse la carta stampata.

Avete mai assistito al rito dell'acquisto del bestiame? Io ne ho avuto la chance, due anni fa. Venditori e compratori si fronteggiano, con la mano nascosta dietro la schiena; il mediatore sta tra loro, cercando di convincere gli uni a portarsi sulle posizioni degli altri. Quando propone un prezzo, cerca di prendere la mano di entrambi e di unirla in una stretta; ma se il prezzo non è di... gradimento per uno dei due, la mano viene prontamente ritratta dietro la schiena, fino a quando la proposta economica non sarà accettata da tutti. Allora, la stretta di mano sugellerà finalmente l'affare: niente firme, niente contratti, solo la propria parola ed una stretta di mano.

Serafiche mucche in attesa.E non mancano le storie e le storielle legate a questa Fiera: come quella di quel contadino, forse poco timorato di Dio, che continuava a bestemmiare un unico Santo: San Rocco. E tutti gli anni provava ad andare alla Fiera, che rappresentava un avvenimento imperdibile per il mondo agricolo della zona. Ma tutti gli anni, puntualmente, San Rocco aveva la sua... "vendetta": il contadino veniva immancabilmente preso, lungo la strada per dolo, da potentissimi attacchi di... dissenteria. E addio alla fiera. Solo quando smise di bestemmiare il santo, pare, riuscì finalmente a visitare la sua Fiera. A guardarle bene, le mucche sembrano ancora sorriderne, tutte in fila.

Giovane galletto di Black Jersey Giant, colorazione blu laced. Foto di Andrea Mangoni
Giovane galletto (2 mesi e mezzo) di Black Jersey Giant, colorazione blu laced. Foto di Andrea Mangoni
Come ho già raccontato, qualche tempo fa Francesco Murru mi ha inviato alcune preziose uova dalla bella Sardegna. Esse altro non erano che uova di una pregiata razza avicola, la Black Jersey Giant. Questa razza, selezionata verso il 1870 dai fratelli Black, negli USA, rappresenta tutt'oggi la più grande razza selezionata in quel Paese. Per sua costituzione furono utilizzate Brahma, Orpington, Langshan e Java; gli animali così ottenuti avevano pelle gialla, cresta semplice, orecchioni rossi, tarsi verde oliva o neri, grande mole, mancavano di calzatura ai tarsi ed erano caratterizzati da uno sviluppo piuttosto lento. Per prima venne selezionata la varietà nera; quindi, agli inizi del '900 nacquero in diversi allevamenti degli esemplari bianchi. Tale colore, in questa razza, risulta essere recessivo. Per quel che concerne il blu... non è chiaro come si sia esattamente originato questo colore, se per mutazione spontanea o se per immissione di geni dall'esterno; fatto sta che esso parve comparire in più di un allevamento. Il ceppo di blu più famoso è quello della sig.ra Miller. Pare che un giorno nacque nel suo allevamento un esemplare bianco con penne grige sul dorso; lei lo cedette al sig. Prokop, che a sua volta lo accoppiò con un esemplare nero. Nacquero, pare, esemplari di vari colori, tra cui degli splash da cui fu possibile, in seguito, selezionare i blu. Pare però che esemplari blu fossero già da anni allevati dalla sig.ra McGuire, che ne tramandò, nella forma blue laced, il ceppo alla nipote, che ancor oggi li alleva.
Giovane gallinella (2 mesi e mezzo) di Black jersey Giant, colorazione blu laced. Foto di Andrea MangoniCome ho già detto, questa razza raggiunge tardi il pieno sviluppo. Per sei mesi i piccoli (!) continuano a crescere ingrandendo soprattutto la propria struttura ossea; in seguito, essi iniziano anche ad accumulare massa. I galli adulti possono anche raggiungere i 6 kg di peso (si dice che alcuni esemplari siano riusciti persino a mettere in fuga dei coyote!) mentre le femmine arrivano a 4 kg e mezzo. Queste ultime diventano facilmente chiocce, ma purtroppo a causa della mole spesso finiscono col rompere le uova a loro affidate.
I piccoli che nascono... sono meravigliosi! sono così grossi che spesso impiegano fino a 24 e passa ore per riuscire a mettersi in piedi, tanto che a vederli accovacciati a riposare per così tanto tempo l'allevatore inesperto può preoccuparsi (inutilmente!). La loro crescita è splendida, e a due mesi è già possibile riconoscere i sessi: i maschietti presentano cresta e bargigli rossi e maggiormente sviluppati, mentre le femmine (che rimangono anche più piccole) hanno cresta e bargigli molto meno sviluppati e di colore grigio scuro.
Che dire? Dalle uova di Francesco sono nati due maschietti ed una femminuccia di meravigliosi Jersey blu. Spero, l'anno prossimo, di poter raccontare di come il piccolo nucleo di questi colossi abbia avuto modo di allargarsi. Nel frattempo, vi lascio con due filmati, uno dei miei capi ed uno dei riproduttori di Francesco. Se desideraste conoscere meglio questa bellissima razza o se voleste allevarne degli esemplari, rivolgetevi con fiducia a lui tramite il suo sito: http://luckychecco.googlepages.com/.
AGGIORNAMENTO 12/2009: per motivi di spazio, sono costretto a cedere i miei riproduttori di questa razza. Chi fosse interessato può contattarmi a info@oryctes.com.

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Locandina della mostra.

Dal 25 aprile al 25 Maggio di quest'anno si è svolta, a Monticelli d'Ongina (PC), presso il castello Pallavicino - Casali, la mostra "Alla scoperta dell'Entomologia - Farfalle ed altri insetti". La mostra era incentrata su di un triplice piano: da un lato, l'esposizione di teche di animali preparati, che mostrassero la varietà e la grande bellezza di questi animali; dall'altro, una serie di grandi poster illustrativi, che trattavano svariati aspetti della biologia degli Insetti e dei loro rapporti con l'uomo, dall'apicoltura all'entomologia forense, dalla medicina alla produzione della seta; infine, ampio spazio è stato dato alla macrofotografia, con l'esposizione di splendide stampe ritraenti insetti nei loro ambienti naturali. Inoltre, grazie a Francesco Tomasinelli è stato possibile aggiungere al già abbondante materiale la mostra "Aracnida", con grandi pannelli fotografici dedicati a ragni ed altri invertebrati.

Attraverso il mio sito, Oryctes.com, ho potuto anch'io partecipare attivamente (per quanto poco) alla mostra, preparando alcuni grandi poster dedicati ai Coleotteri, al loro ciclo vitale e a dimorfismo sessuale ed allometria. Una grande soddisfazione, soprattutto alla luce dei dati relativi all'affluenza della mostra: si stima infatti che essa sia stata visitata da non meno di 7000 persone!! Insomma, si è trattato davvero di una riuscitissima occasione per far conoscere ad un pubblico ampio un mondo per lo più ignorato e bistrattato. Per aver avuto l'ooportunità di partecipare a questa iniziativa, non posso che ringraziare gli amici di Entoforum, in particolar modo Livio e Franco. GRAZIE!!

In collaborazione con:
Circolo Entomologico Bresciano
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Collaborano inoltre:
Aracnofilia.org
Associazione Produttori Apistici Bresciani (A.P.A.B.)
Entoforum.it
Oryctes.com
Museo di Lovere
Dott. Marco taglietti – Servizio di Immunologia Clinica, Spedali Civili di Brescia
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Con il Patrocinio di:
Regione Emilia Romagna
Provincia di Piacenza
I Musei del Piacentino
Comune di Monticelli d’Ongina
Società Entomologica Italiana (S.E.I.)
Associazione Romana di Entomologia (A.R.d.E.)
Maschio telodonte maggiore di Lucanus cervus. Foto di Andrea Mangoni.
D'estate, nei querceti, nelle faggete o nei castagneti, è ancora possibile incontrare, al tramonto, un grosso coleottero scuro che vola pesantemente in posizione quasi verticale, dotato di grandi ed impressionanti "corna": il cervo volante (Lucanus cervus). I maschi di questo coleottero appartente alla famiglia dei Lucanidi, tra i più grandi insetti della fauna italiana, possono raggiungere e superare gli 85 mm di lunghezza; le femmine, al contrario, si attestano sui 4 cm.
Si tratta di insetti legati strettamente agli ambienti alberati, in quanto le loro larve vivono nutrendosi di legname in stato di decomposizione. E necessitano di ambienti stabili, perchè lo sviluppo larvale dura - udite udite! - dai tre agli otto anni! Capirete quindi bene come mai l'abbattimento degli alberi morti nei boschi e la scomparsa di questi ultimi da buona parte del territorio un tempo da loro occupato si sia rivelata una vera disgrazia per questo pacifico gigante. Pacifico, sì, perchè nonostante le apparenze, le grandi mandibole dei maschi sono usate solo nei combattimenti tra cospecifici, risultando quindi presso che innocue per l'uomo. In passato, nell'antica Roma, collane fatte con le grandi mandibole di cervo volante venivano messe al collo dei bambini perchè si credeva che potessero proteggerli dalle malattie respiratorie. Nella germania del '700, invece, era ancora diffusa la credenza che il cervo volante fosse un servo del demonio, e che nottetempo portasse con le mandibole delle braci ardenti sul tetto di paglia delle case, all'unico scopo di incendiarle. Le femmine, invece, con le loro mandibole piccole ma robuste, possono mordere molto dolorosamente. Le essenze arboree preferite per l'accrescimento della prole sono soprattutto quercia, faggio e castagno, ma vengono accettati anche salice, pioppo e tiglio. Le larve, bianche ed incurvate a "C", si nutrono del legno in decomposizione, soprattutto nella parte bassa degli alberi, mentre gli adulti lambiscono la linfa che cola dalle ferite degli alberi, oltre alla frutta matura. Femmina di Lucanus cervus. Foto di Andrea Mangoni.
Oltre al notevole dimorfismo sessuale che li caratterizza, questi insetti mostrano un'altra peculiarità notevole: l'allometria. In pratica, cioè, all'interno della popolazione maschile della specie, si trovano tanto esemplari lunghi tre centimetri e mezzo quanto esemplari lunghi otto centimetri. Non solo: gli esemplari più piccoli non sono delle semplici "riduzioni fotografiche" degli esemplari più grandi, non ne conservano cioè le esatte proporzioni, ma mostrano proporzioni e forme differenti, specie per quel che riguarda la forma del capo e della mandibole, che si presentano più sviluppate e ramificate mano a mano che la taglia del loro portatore aumenta. A cosa è legato questo fenomeno? Non è ben chiaro. pare che gli esemplari che passano il maggior numero di anni allo stadio larvale divengano in seguito i coleotteri di taglia maggiore (i cosiddetti maschi telodonti), mentre quelli che permangono meno tempo allo stadio larvale rimangono più piccoli (maschi meso- e priodonti). Allo stesso tempo pare che le larve che si siano nutrite a spese di faggio e quercia diano animali adulti di taglia maggiore.
A causa del loro legame a doppia mandata con boschi e siepi maturi, come dicevamo, questi insetti sono diventati sempre più rari negli ultimi anni, e sebbene in alcune zone siano ancora localmente abbondanti essi sono scomparsi in molti luoghi. Proprio per questo motivo tali coleotteri sono stati inseriti nell'allegato II (specie d’interesse comunitario la cui conservazione richiede la designazione di zone speciali di conservazione) della Direttiva Habitat, oltre a godere di particolare riguardo nella legislazione di alcune regioni italiane, come la Toscana.
Larva melolontoide di cervo volante. Foto di Andrea Mangoni.Un tempo questi insetti erano diffusi anche qui, a Camponogara, nel veneziano; legati per lo sviluppo alle annose ceppaie delle rive, con la semplificazione o l'eliminazione di queste ultime sono venuti a mancare a questi coleotteri importanti habitat riproduttivi. Esiste ancora, credo, la possibilità di restituire parte del proprio areale veneziano a questa specie, e di reintrodurla nuovamente in natura. Questo richiederà certamente lavoro e pazienza, vista anche la lungehzza del ciclo vitale di tali insetti, nonchè l'aiuto di quanti vorranno darlo. In particolar modo, sarebbe molto importante per il progetto che ho in mente la segnalazione di aree del padovano (saccisica) e del veneziano in cui questi magnifici coleottero siano ancora presenti. Ogni forma di collaborazione in tal senso sarà graditissima. Potrete inviare eventuali segnalazioni all'indirizzo di posta elettronica presente nella colonna a destra. Grazie!

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Kochia scoparia. Foto di Andrea Mangoni
Un piccolo cespuglio di Kochia scoparia. Foto di Andrea Mangoni
Qualche tempo fa, andando a trovare un vicino di casa, ottantenne e contadino da sempre, mi sono trovato di fronte ad una pianta che francamente non avevo mai visto. Avete presente il piccolo, caro cugino It della famiglia Addams? Ecco, davanti a me avevo una sua strampalata versione vegetale. Priva di occhiali da sole, ovvio. Si trattava di una pianta davvero molto bella, dal fogliame fine ed elegante, che somigliava ad uno strano elfo cresciuto tra i sassi e le gombine dell'orto. dava l'impressione che solo ad accarezzarla potesse iniziare a fare le fusa. Una rapida foto, e la richiesta di qualche informazione in più al contadino. Mi venne spiegato che da sempre nella sua famiglia si utilizzava quella pianta per produrre scope rustiche. Per anni non ne aveva più avuta, poi, ad un tratto, da una gombina un bel giorno ne era saltato fuori un esemplare.
La pianta in questione, ho scoperto, è la Kochia scoparia, della famiglia delle Amaranthaceae. Si tratta di una pianta annuale di origine eurasiatica, da tempo utilizzata proprio per la produzione di scope (come dimostra lo stesso nome scientifico attribuitole). Di uno splendido verde chiaro in estate, con l'arrivo dell'autunno diventa di un bellissimo rosso scuro, a partire dai rami e finendo con le foglie. Da il meglio di sè stessa coltivata al sole ed in piena terra, ma si adatta anche a vasi piuttosto piccoli, pur sacrificando però la grandezza raggiunta. Le piante coltivate a terra possono diventare alte infatti fino a circa un metro, perdendo, con l'età, la caratteristica forma che ha valso loro i nomi di "cipressino" e "cipresso d'estate". In inverno la pianta muore, e una volta essiccata viene adoperata per produrre scope, ottime per l'utilizzo all'aperto, in campagna.
Questa pianta mi era totalmente sconosciuta, nonostante i piei antenati fossero provetti contadini, per un motivo abbastanza semplice: la famiglia di questo mio vicino di casa era l'unica ad utilizzarla, in paese, per produrre simili manufatti, e la custodiva gelosamente. Qui a Camponogara, invece (così come nei paesi vicini), veniva utilizzata allo stesso scopo un'altra pianta, quest'ultima selvatica e facile da reperire lungo i fossati di divisione: la sanguinella, (Cornus sanguinea), localmente nota col nome di sàndane.
Le sàndane sono belle piante dalle voglie ovoidali di color verde piuttosto scuro e dai rami giovano di un intenso rosso cupo, cosicchè in inverno, spogli, sembrano un intricato groviglio di vene scarlatte protese verso il cielo. Possono raggiungere un'altezza di 4 metri se lasciate incolte, ma in genere i contadini sono soliti ai giorni nostri tagliarle tutti gli anni raso terra, per evitare che grazie alla loro crescita prodigiosa finiscano con l'invadere le rive dei fossati. La ricrescita di questi vegetali ha del pèrodigioso, e già dopo pochi mesi le piante tagliate sono spesso alte un metro e più. In primavera la sanguinella produce piccoli fiori bianchi, raggruppati in ombrelle dalla forma graziosa, che attirano irresistibilmente numerosi ditteri ed alcuni coleotteri floricoli, mentre sono quasi completamente snobbate dalla maggior parte delle farfalle. E' una pianta che, per la varietà di colori e la straripante vitalità, ben si presta a formare siepi miste di essenze autoctone. Si adatta anche a vivere in vaso, anche se richiede parecchia acqua, e preferisce comunque un terreno ricco ed umido. In autunno le foglie si tingono di rosso e viola, e le piccole bacche nere, apprezzate anche dagli uccelli, venivano un tempo usate per ottenervi olio per lampade. Fu il mio bisnonno a piantarla per la prima volta lungo i miei fossati. Per ricavarvi le scope, alcune piante venivano lasciate libere di crescere in altezza; quindi, una volta raggiunta la giusta dimensione, venivano tagliate ed il tronco principale sfrondato di tutti i ramoscelli e rametti laterali, fino a lasciare solo un ciuffo di rami sottili in cima. Questi venivano quindi legati e, con l'aggiunta di altri rami sottili ricavati da altre sàndane, finivano col formare la "testa" della scopa.


Fioritura tardiva di sanguinella (Cornus sanguinea). Foto di Andrea Mangoni
Fioritura tardiva di sanguinella (Cornus sanguinea). Foto di Andrea Mangoni

Le sàndane, nella mia riva, ci sono già, ma non ho mai provato a farne scope. Della kochia, invece, il mio vicino mi ha promesso i semi, in autunno. Chissà che l'anno prossimo non possa provare di persona quale delle due "correnti di pensiero contadine" sulla miglior pianta da scope fosse maggiormente nel giusto!
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LETTURE CONSIGLIATE

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Ceppo Rossetto - Polverara pure
Leonida Irene Circe
Medessa Tea La decana del sig. Rossetto
Ceppo Rossetto - Incroci
Nerina Briareo Rose

Ereditare... una parola che mi fa sempre un pò specie. Ereditare non è, per me, solo un mero accettare; significa anche trovarsi a diventare i continuatori morali dell'opera che ci è stata donata. Nel mio caso, si tratta di un'eredità davvero preziosa e... insolita: ho infatti "ereditato" un ceppo avicolo: quello delle Polverara di Bruno Rossetto, il più antico - alle attuali conoscenze - di questa razza ed il più strettamente correlato all'antica S-ciàta. Il sig. Rossetto ha avuto i suoi primi esemplari - una coppia nera - nel lontano 1954, dalla sig.ra Ruzza di San Gregorio, specializzata nella vendita di polli . Il ceppo non è mai stato molto folto, e ogni anni solo una manciata di adulti puri e qualche ibrido venivano allevati da questo signore pieno di passione per l'avicoltura. Nella selezione di questi animali, selezione durata per oltre cinquant'anni, sono stati introdotti sangue di Sumatra, di Siciliana e di Cornish. Da questo ceppo partirono pure gli esemplari che fondarono il nucleo iniziale del gruppo di riproduttori dell'Istituto San Benedetto da Norcia di Padova, e da questo ceppo fu attinto pare anche per la riselezione della razza Polverara ad opera del rag. Antonio Fernando Trivellato, riselezione che permise a questi polli di tornare a contare su quantità di esemplari numericamente significative. Dal ceppo Trivellato gli esemplari del ceppo Rossetto si distinguono però per una serie di caratteristiche genotipiche e fenotipiche ben precise, differenze che sto cercando per quanto possibile di studiare. Un paio di settimane fa, ho ricevuto dal sig. Rossetto altri tre esemplari di questo ceppo, che si vanno ad unire agli altri da lui cedutimi negli scorsi mesi. Sono in tutto 8, 5 puri e 3 incroci. Sono gli esemplari che potete vedere nelle foto qui sopra, assieme alla gallina "decana" del sig. Bruno (ventun'anni di vita! Partecipò ad un concorso nel 1988), unica pura ad essere rimasta nel suo allevamento. Stando alle mie attuali conoscenze, oltre a questi 9 esemplari esisterebbero solo altre due galline ascrivibili a questo ceppo, un'incrocio simile alla mia Nerina ed una gallina bianca pura. Se qualcuno fosse a conoscenza di altri esemplari del medesimo ceppo, lo pregherei di contattarmi alla mia email; la trovate più volte nella colonna a destra. Bene, come un amico mi ha gentilmente suggerito, ora dovrò proprio "ingravàrme £e manèghe" (tirarmi su le maniche) e lavorar sodo. Mi aspetta infatti un lungo periodo di selezione (almeno quattro anni) per riuscire ad uniformare il ceppo, in quanto gli animali sono e rimangono piuttosto "lontani" dagli attuali standard della razza (alcuni con pelle gialla, altri producono uova color marrone chiaro, ecc...); ma nonostante il loro valore economico scarso, rimane l'importante patrimonio genetico che essi veicolano e che potrà far luce sull'antica S-ciàta. Senza contare il grande valore affettivo che essi hanno per me. I primi nati nel mio allevamento stanno già dimostrando che dovrò effettuare una selezione rigorosissima... ma a questo sono già preparato. Spero solo di poter rendere onore al lavoro intrapreso per tanti anni e con tanta passione dal sig. Rossetto.

Foto di gruppo per alcune Polverara del ceppo Rossetto. Dall'alto in basso, Circe, Medessa, Irene e due piccoli di quest'anno. Foto di Andrea Mangoni