Appunti di Avicoltura: la biodiversità avicola italiana parte seconda - vale ancora la pena cercare?

Questo gallo di grande taglia, fotografato in un cortile della provincia padovana, ricorda l'antica razza Padovana Pesante. E pesanti questi animali lo sono davvero - i galli raggiungono i 4 Kg! Foto di Andrea Mangoni.
Ho già parlato, in questo blog, di biodiversità avicola. All'epoca terminai il post invitando la gente a cercare, cercare e cercare.
Ma la domanda che può sorgere spontanea è principalmente una... Vale ancora la pena cercare? Con centinaia di razze a disposizione tra cui scegliere (anche solo a livello estetico), con linee commerciali adatte a produrre uova e carne con la massima efficacia, vale ancora la pena cercare di recuperare qualcosa da vecchi pollai e contadini di vecchio stampo?
Un'altra immagine dello stesso gallo. Foto di Andrea Mangoni.La mia personale opinione è che sì, vale ancora la pena farlo. Mi è stato detto che l'Italia è stata rigirata come un calzino e che quello che si poteva trovare è stato trovato. Oddio, su questo io non sarei troppo d'accordo. Nel corso degli ultimi mesi mi sono imbattuto, cercando (nemmeno in maniera troppo convinta), in alcuni avicoltori e contadini che continuavano ad allevare avicoli da svariati decenni e che ospitavano, nei propri pollai, animali che differivano abbastanza da quelli che normalmente si osservano più comunemente nelle aie e nei recinti di questa zona o di quelle attigue, alcuni dei quali li potete osservare in queste fotografie. E' probabilmente l'eredità della vicina provincia padovana, che vantava fino agli anni '50 un piccolo primato per quel concerne l'avicoltura ed anche la presenza di ceppi autoctoni; certo è che cercando e riprovando, anche in tante altre zone d'Italia, si potrebbero recuperare ancora soggetti e ceppi in grado di dare soddisfazioni agli appassionati.
Ci sono già linee commerciali in grado di dare carne e uova a profusione? Sì, certo, ma spesso al prezzo di dimenticare quale rapporto ci lega con questi animali, o peggio ancora dimenticare che SONO esseri viventi che ci accompagnano da secoli e NON ingranaggi di una gigantesca macchina per la produzione di cibo. Possiamo - dovremmo! - essere pronti a rinunciare a qualcosa nell'ambito delle prestazioni, pur di salvaguardare parte del prezioso partimonio genetico di cui gli antichi ceppi sono portatori. Possiamo - dovremmo! - esser pronti a rinunciare a l'orgoglio di un nuovo nome, qualore non fosse necessario, pur continuando ad allevare animali che di quel territorio sono bandiere. Vi sembra poco chiaro? proverò a spiegarmi meglio, allora.
Certo, per il mio pollaio potrei acquistare ibridi commerciali a duplice attitudine. Sono comuni, danno tanta carne e tante uova. Ma, pur nella dignità assoluta che meritano, rimangono ai miei occhi animali decisamente un pò... scialbi. Non hanno radici, sono nomadi moderni decontestualizzati, privi di legami con la storia dei luoghi. I ceppi autoctoni ci parlano invece di gente di cui condividiamo il retaggio e la storia, di animali passati di generazione in generazione, di decennio in decennio. Le differenze genetiche accumulate in secoli di selezioni li hanno resi adatti a ciascuno degli ambienti che occupano o che hanno occupato.
Questo gallo bianco, trovato in un pollaio del veneziano, con la sua compagna, ricordava l'antica razza Megiarola, per le sue caratteristiche fisiche e produttive. Foto di Andrea Mangoni.Basta però questo a fare di ogni ceppo una razza a sè, di arrogargli un nome ed una identità propria? Dipende. Dipende a mio avviso dal fatto che le caratteristiche dell'animale stesso lo pongano dentro o fuori quei "confini" delicati che sono stabiliti dagli standard di razza. Un tempo forse bastava trovare una gallina con una piuma di un colore diversa da quella del proprio vicino, e subito ne usciva una razza. Oggi invece assistiamo a prodigiosi recuperi di razze o ceppi antichi, a ritmi che impressionano e danno di che pensare, visto che per il recupero serio di un ceppo o di una razza possono essere necessari svariati anni di lavoro. Il timore è che sussista la tentazione di prendere qualche audace scorciatoia, che però rischia di far svanire in una bolla di sapone quanto di buono sia possibile ancora ricavare con pazienza e dedizione.
Tempo fa, vista la mia passione per le antiche razze venete, chiesi informazioni riguardo al recupero della cosiddetta cucca o cenere, una razza di polli di tipo mediterraneo dalla colorazione sparviero un tempo diffusi nei territori veneti e citata dal Mazzon in alcune sue opere. E successivamente, in una fiera a Verona, vidi poi un esemplare della cosiddetta "Italiana comune locale veneta o cucca", e devo dire che la mia delusione fu parecchia. L'ho già detto, per molti motivi ritengo non si possa effettuare una semplicistica uguaglianza tra Italiener (o Italiana comune locale, come oramai viene chiamata in Italia) e l'Italiana comune VERA; ma se non si tiene conto delle differenze abissali tra i due tipi (e per favore, non ditemi che non ve ne sono! Vi invito a dimostrarmi che prima degli anni '30 in Italia si potessero trovare polli con quelle caratteristiche nelle nostre campagne!) si incorre a mio avviso due errori piuttosto grossi.
Primo, si pecca di superficialità, rischiando di confondere i ceppi autoctoni con quelli alloctoni; secondo, e ben più grave, si contribuisce attivamente a uccidere la biodiversità avicola ancora salvabile nelle nostre campagne. Perchè? Perchè se si propaganda con forza che i ceppi autoctoni sono le Italiener, se passerà l'idea che questi polli sono i nostri avicoli "nazionali", chi continuerà a mantenere gli antichi ceppi, così dissimili da esse ?
Ecco un ceppo proveniente dall'Emilia Romagna, caratterizzato da forme tozze e pesanti, da una colorazione piuttosto varia e da dimensioni contenute, seppure il peso sia abbastanza elevato. Foto di Andrea Mangoni.Insomma, si tratta di una situazione che rischia di divenire un'autentico paradosso: lavorando convinti di salvaguardare il pollo autoctono si finisce in realtà per abbandonarlo e condannarlo all'estinzione. Il mio invito torna quindi ad essere lo stesso. Cercate. Aguzzate lo sguardo, tenete le orecchie bene aperte, e se vi capita di trovare animali che pensate possano essere riconducibili ad un ceppo autoctono di avicoli, cercate di preservarli e di farli moltiplicare. Se necessitaste di qualche genere di guida, adottate per la vostra selezioen lo standard della Livorno: si adatta benissimo ai nostri polli autoctoni. Magari non verrete ricordati per avere riscoperto l'antica razza della "bruna di Montedefessi" o quella del "pollo dei Monti dei Paschi", ma sarete riusciti a salvaguardare un pezzetto di storia viva, palpitante e REALE della vostra regione e di voi stessi.
Buona cerca e un in bocca al lupo gigante a tutti coloro che desiderassero impegnarvisi; io, dal canto mio, ho già iniziato!
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AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

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Ancora un gallo di grossa taglia riconducibile allo stesso ceppo di quello di inizio post. La forma accovacciata è dovuta al fatto che l'animale si stava muovendo. Foto di Andrea Mangoni.

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