Ciao a tutti, nelle prossime settimane il blog vedrà una momentanea sospensione della pubblicazione di nuovi post. Il motivo è semplice: a causa di prossimi impegni familiari, il tempo a mia disposizione sarà ridotto all'osso, e quello che avrò sarà dirottato sulla stesura del mio prossimo libro, che vorrei riuscire a dare alle stampe per l'autunno. Se nel frattempo mi capitassero per le mani cose interessanti... allora tornerò ad aggiornare il blog. Ciao a tutti, quindi, e a presto!


Un bellissimo pulcino. Foto di Andrea mangoni.



La riproduzione è sempre il momento più alto dell'allevamento: la nascita di una nuova generazione, nuove e meravigliose vite che verranno ad arricchire il nostro pollaio (e anche a farci dannare un po'!), insomma nuove speranze e nuovi progetti da fare.

Ho già avuto modo di parlare della schiusa artificiale, ma tanti mi hanno scritto per parlare di questo o di quell'aspetto legato all'incubazione naturale delle uova, quelli, insomma, legati alla cara, vecchia chioccia... Così ho deciso di scrivere qualche riga a proposito.

Innanzitutto, una delle domande che mi viene fatta più di frequente è la seguente: come posso indurre una gallina a diventare chioccia?? Ebbene, la risposta è purtroppo abbastanza netta: non si dovrebbe mai cercare di indurre forzatamente una gallina a diventare chioccia. In passato, spesso le contadine avevano necessità estrema di poter avere dei pulcini, ed erano state sviluppate alcune tecniche particolari proprio per riuscire a indurre una gallina alla cova; ciononostante, le galline dei nostri nonni spesso erano galline autoctone, che già presentavano in qualche misura l'istinto alla cova, istinto che trae la sua origine da una ben definita componente del patrimonio genetico dell'animale; così avremo razze con una maggiore propensione alla cova e razze invece che ne sono quasi prive. Ad esempio, le galline di razza Cocincina, o i tanti ibridi nani noti come "americanine" o "mugellesi" hanno di solito una fortissima propensione alla cova, tanto che a volte iniziano ad incubare le uova dopo averne deposte appena 7 o 8; le odierne ovaiole, invece, sono state selezionate per decenni proprio allo scopo di eliminare qualsivoglia traccia di tale istinto, per cui sarà assolutamente inutile provare a convincere una Livornese da capannone a covare: non lo farà! C'è un'altra cosa da aggiungere, molto importante: la cova è un momento difficile ed estremamente impegnativo per qualunque gallina: solo un animale in perfette condizioni fisiche cercherà di covare. Per questo, indurre artificialmente la cova in una gallina non pronta potrebbe significare un grave rischio per la sua salute, senza contare che alcuni di questi metodi erano estremamente cruenti o quanto meno debilitanti per gli animali che vi erano sottoposti!

Ok, ora abbiamo allora capito che dovremo procurarci preferibilmente almeno una gallina appartenente ad una razza che ha conservato l'istinto alla cova. Quindi, quando essa avrà iniziato a deporre, inizieremo anche noi a raccogliere le uova degli esemplari che ci interessano, per potergliele mettere sotto nel momento in cui inizierà a covare. Non eccedete mai oltre le 12-14 uova da destinare a ciascuna chioccia: tenete conto che la povera gallina ha dei limiti fisici!! Le uova vanno conservate in un ambiente fresco, con la punta verso il basso, per un massimo di 15-18 giorni; poi vanno destinate alla mensa (vostra o dei vostri animali).

Altro dubbio che spesso viene posto è il seguente: devo isolare la chioccia dalle altre galline, quando inizia a covare? In effetti, sarebbe meglio (soprattutto in caso di galli molto esuberanti) che la nostra chioccia potesse trovarsi in un ambiente adatto, per portare a termine con successo la propria covata e non essere disturbata eccessivamente. Il posto prescelto dovrebbe essere in penombra, in maniera da dare tranquillità alla futura mamma; inoltre occorre pensare da subito a qualche tipo di recinzione per isolarla dagli altri animali.

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Un'altra domanda frequentissima che mi viene posta è questa: come posso spostare una chioccia e cambiarla di nido? In effetti, spesso capita che i polli depongano in posti scomodi, "pericolosi" o anche solo in nidi non sicuri. In questi casi è necessario spostare la futura mamma, tenendo però conto di alcune importanti indicazioni di base. Il nuovo nido dovrà essere ben riparato e sarà costituito preferibilmente da una cassettina od una cesta dai lati alti circa 10-15 cm (ottime tante cestine per la frutta), e foderato all'interno con un buon substrato morbido ed accogliente. Per la mia esperienza personale, il substrato migliore si è rivelato finora il truciolo depolverato usato come lettiera per gli animali: oltre ad essere molto igienico e a trattenere l'umidità, è anche piuttosto economico ed utilizzabile in seguito come lettiera per i pulcini. Inoltre, potete provare a mescolare del tabacco in polvere al truciolo, in quanto la nicotina in esso contenuta può fungere da insetticida naturale nei confronti dei tanti parassiti esterni della gallina stessa. A questo proposito non posso fare a meno di raccomandarvi di controllare molto bene la vostra chioccia e di verificare che lei o la lettiera non ospitino un numero eccessivo di ectoparassiti (pidocchi pollini, acari, ecc...): viste le condizioni di immobilità della futura mamma, potrebbero moltiplicarsi fino ad indebolirla seriamente se non addirittura ad ucciderla. Attenzione in particolar modo agli acari ematofagi, che vivono nel substrato ed escono solo di notte per succhiare il sangue: non avete idea di quanto possa esser brutto andare in pollaio una mattina e trovarvi dentro una chioccia morta dissanguata sopra le uova!


Tornando a noi, una volta preparato il nido giunge finalmente il momento di spostare la chioccia. Questa operazione va effettuata sempre DI NOTTE: la gallina, infatti, se spostata di giorno potrebbe stressarsi eccessivamente e decidere di abbandonare la covata. Procedete invece così: andate dalla chioccia di notte, prelevate alcune delle sue uova ben calde e mettetele nel nuovo nido, quindi prendete la gallina e fate altrettanto. Il buio ed il calore delle uova sotto di lei la tranquillizzeranno, e le sembrerà di non essersi mossa. Quindi mettetele sotto anche le restanti uova. Al mattino, con la luce del sole, si sarà quasi certamente già abituata alla nuova sistemazione e difficilmente abbandonerà la cova. Con questo sistema ho spostato nell'ultimo anno 5 chiocce, di cui due tacchine, senza problemi di sorta.


Soprattutto nei primi giorni di cova, assicuratevi che la gallina beva e mangi. L'ideale sarebbe mettere cibo ed acqua in contenitori bassi davanti al nido, e distanti circa 30-50 cm da esso, in maniera che essa debba uscire dal nido stesso per nutrirsi: in questo modo una volta alzatasi ne approfitterà per defecare al di fuori, mantenendo pulito il substrato. Se non dovesse nutrirsi da sola, ogni due giorni provate a sollevarla delicatamente e a posarla davanti al cibo fuori dal nido.


Ed ora arriviamo al momento forse più delicato: la nascita dei pulcini. Delicato perchè i piccoli rappresentano una preda ambita per i roditori come i ratti e per altri predatori. Per questo, di solito, io trasferisco la chioccia (uno o due giorni prima della nascita), in una gabbia, assieme a tutto il nido. La gabbia dev'essere abbastanza grande da permettere alla gallina di muoversi, di alzarsi in piedi e di allontanarsi dal nido; diciamo che per le razze medio-piccole può andar bene una gabbia di un metro per sessanta centimetri di base, e 50-60 cm d'altezza. La gabbia dovrà essere ovviamente fatta con rete a maglie fine, di circa 1/2 cm, e con un'ottima chiusura. La chioccia potrà restare nella gabbia coi pulcini per il primo mese, quindi verrà allontanata e tornerà con le altre galline; i pulcini rimarranno in gabbia invece fino ai 2 - 3 mesi, fino a quando cioè potranno essere in grado di difendersi abbastanza bene o di scappare efficacemente. Se pensate che sia un pò troppo esagerato, credetemi: non avete idea di quello che puà fare un ratto. Giusto stamattina ho trovato una giovane Polverara, la migliore della prima covata di quest'anno, uccisa dai ratti; e giusto un anno fa i ratti avevano ucciso anche suo nonno, Leonida. Per cui, massima attenzione ai predatori!!


A volte invece ci si può trovare ad avere bisogno di una buona balia, cioè di una gallina che si prenda cura di alcuni pulcini (nati ad esempio in incubatrice). In tal caso una chioccia è una manna da cielo: si può aspettare che comincino a nascere i suoi pulcini, quindi aggiungerle (sempre di sera) qualche "figlio adottivo", mettendoglielo sotto ed inserendolo dalla parte della... coda della gallina. O ancora, se non si puà aspettare, si potranno aggiungere i pulcini di notte togliendo nel contempo le uova: spesso una chioccia accetterà di diventare mamma anche solo pochi giorni dall'inizio della cova. Resta il perciolo che la chioccia comunque non riconosca i piccoli come suoi, o che semplicemente li rifiuti: in questo caso potrebbe anche ucciderli. Un tempo si usava cucire in maniera particolare le palpebre delle chiocce per evitare che questo accadesse, ora, lontani da questi metodi barbari, l'unico consiglio valido è quello di sorvegliare attentamente ciò che accade e di allevare artificialmente, se necessario, i piccoli., rinunciando così alla balia.


Da ultimo, in questa discussione sulle chiocce... c'è chi ha il problema inverso: una gallina che cova quando non dovrebbe o non vorremmo. Le opzioni possibili sono diverse: disturbarla spesso, metterla con le zampe a mollo in acqua fredda, ecc... In alternativa, prendete al più vicino mercato un pulcinotto, il più piccolo possibile, metteteglielo sotto di notte... e lasciatele fare la mamma per un po'!


Ecco, con questo credo di aver detto tutto. Se avete suggerimenti, informazioni o altro, i commenti sono qui sotto!


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E' USCITO "IL POLLAIO PER TUTTI", IL NUOVO LIBRO DI ANDREA MANGONI!


ALTRE LETTURE INTERESSANTI:

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Una chioccia coi suoi pulcini. Foto di Andrea Mangoni.
Esemplare di Melanargia galathea. Foto di Andrea Mangoni.

Era come se il prato fosse tutto cosparso di piccole scacchiere volanti. Certo, a guardarle con attenzione, ci si rendeva conto che il disegno non era poi così regolare, ma l'impressione che davano le dozzine di esemplari di galatea (Melanargia galathea) svolazzanti su quel prato alpino era proprio quella.

La galatea è una farfalla diurna appartenente alla famiglia dei Ninfalidi (Nymphalidae), famiglia questa che comprende anche altre notissime bellezze alate quali le variopinte Vanesse, le aggraziate melitee o le mediterranee jasio. La galatea è una specie ampiamente diffusa in quasi tutta l'Europa continentale, e si adatta a climi ed ambienti anche molto differenti fra loro, colonizzando tanto le pianure quanto le zone montuose, fino a oltre i 2500 metri d'altitudine.

Con un'apertura alare di circa 4 cm e mezzo, non è certo una gigantessa; ciononostante la sua peculiare colorazione la fa notare immediatamente. I suoi bruchi si nutrono di graminacee, come ad esempio i rappresentanti del genere Poa. Nati in estate, si accrescono fino all'autunno, quindi svernano per poi ricominciare a nutrirsi in primavera. Dopo essersi impupati ai piedi delle piante nutrici, essi riemergono come adulti tra giugno e luglio, in una frenesia di voli e di luci estivi.

Ed è così che le abbiamo trovate noi, intente a nutrirsi su centauree e orchidee spontanee in un prato assolato del Cadore. Ma, tra tutti gli esemplari, uno spiccava per il volo lento e delicato, e a vederlo da vicino si capiva perchè: una delle sue ali era rovinata. Forse l'incontro con un uccello, o con una mantide... chissà. Comunque sia, aveva un'aria maestosa e malinconica, che chiedeva d'essere immortalata; spero solo di esserci riuscito degnamente.

Esemplare di Melanargia galathea. Foto di Andrea Mangoni.
Una fragolina di bosco, Fragaria vesca. Foto di Andrea Mangoni.
Cadore, terra di boschi e foreste... e di relativi sottoboschi ricchissimi di vita vegetale ed animale, da sempre entrambe fonte di sostentamento per le popolazioni del luogo, che ne traggono ancora un'integrazione per la propria tavola, integrazione oggi "sfiziosa" ed un tempo invece necessaria. E, più o meno, anche noi ci siamo "adattati" a questa usanza!
Durante una delle nostre passeggiate, abbiamo visto che in un tratto di foresta molti alberi di abete e larice, vecchi e malandati, erano stati abbattuti. Il risultato era stato - comprensibilmente - la proliferazione incredibile di rovi (Rubus sp.) e lamponi (Rubus idaeus), piante altamente invasive, e tutti per di più prodighi di frutti. Inoltre, come se non bastasse, il sottobosco era invaso di piantine di fragoline di bosco (Fragaria vesca). Che meraviglia!! Il sapore della frutta selvatica è incredibilmente intenso ed avvolgente; le fragoline poi sono incredibili, sembra impossibile che pochi grammi di polpa possano contenere così tanto gusto!!
Inutile nasconderlo: ci siamo lasciati tentare ed abbiamo raccolto un pò di frutta. Un paio di chili, di frutta. Per lo più lamponi. E la cosa incredibile, vista l'area ristretta (pochi metri quadrati), era la quantità di frutti ancora immaturi presenti sulle piante!! Insomma, a parte uno spuntino fresco ed immediato in loco, ci restava ancora un bel pò di frutti di bosco da utilizzare in qualche modo. Ed abbiamo optato quindi per fare una marmellata di frutti bosco e la grappa al lampone. Ecco cosa serve per entrambe le preparazioni.
Marmellata di frutti di bosco
  1. 1,2 Kg di frutti di bosco;
  2. 600 gr di zucchero;
  3. Il succo di un limone e mezzo;
  4. Due mele verdi acerbe di taglia media.
Lavate ed asciugate delicatamente i frutti di bosco, quindi metteteli in una pentola con lo zucchero, le mele lavate e tagliate a spicchi (servono a fornire la pectina, sostanza che fa addensare le marmellate), il succo di limone e lasciate sobbollire a fuoco medio-basso. Ogni tanto lo stato della cottura. Quando la polpa della mela si è adeguatamente spappolata, toglietene le bucce dalla marmellata. Una volta raggiunto il giusto grado di densità (si mette un pò di marmellata su un piattino e lo si inclina, per accertarsi che non sia troppo liquida), invasate la marmellata a caldo. I contenitori dovranno essere di ottima fattura e con coperchi a chiusura perfetta (ottimi i classici vasetti della Bormioli), e dovranno essere stati preventivamente sterilizzati. Vanno riempiti quasi fino all'orlo con la marmellata calda, quindi bisogna chiuderli saldamente e capovolgerli durante la fase di raffreddamento. Si creerà così una condizione di sottovuoto che manterrà la vostra marmellata ottima a lungo. Una ricetta alternativa leggermente differente la trovate nel blog di Panemiele.
Grappa ai lamponi
  1. 120 gr di lamponi (oppure di more);
  2. 120 gr di zucchero;
  3. 500 ml di grappa bianca;
  4. Acqua quanto basta.
Mettete in una bottiglia di vetro da un litro lo zucchero ed i lamponi; ricoprite con mezzo litro di grappa, quindi aggiungete acqua fino a raggiungere il volume di un litro. La prima settimana mescolate ogni due o tre giorni, per permettere allo zucchero di sciogliersi adeguatamente. Il colore della grapa diventerà di un magnifico rosso rubino chiaro. Dopo 4-5 mesi filtrate accuratamente e togliete i lamponi ed i residui vegetali; la vostra grappa è ora pronta per essere degustata (con moderazione!). C'è anche chi apprezza i lamponi che hanno ricevuto questo trattamento: per me sanno troppo da alcool, ma potrete sempre conservarli a parte.
Vi piacerebbe, infine, gustare anche a casa le meravigliose fragoline di bosco? Dovete sapere che quella che noi chiamiamo fragola è in realtà un falso frutto, e che i frutti veri sono i "semini gialli", gli acheni, che si vedono sulla sua superficie. Raccogliete quindi un paio di fragoline di bosco, togliete la polpa centrale e lasciate essiccare all'ombra la superficie, quindi raccogliete gli acheni e seminateli in un vaso riempito di terriccio umifero leggermente umido. Lasciate all'ombra, magari coprendo con un po' di pellicola trasparente, almeno fino a germinazione avvenuta. Potrete poi trapiantare le pianticelle in giardino a circa 10-15 cm di distanza le une dalle altre: ci penseranno loro a riprodursi tramite l'emissione di stoloni. Buon appetito!!
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NOTE IMPORTANTI
Non raccogliete MAI bacche o frutti della cui commestibilità non siete più che sicuri: ne va della vostra vita! Al limite chiedete il parere di un esperto o acquistate un manuale di botanica. In alcune località la raccolta dei frutti di bosco è regolamentata, fate attenzione ad avere gli adeguati permessi! Attenzione inoltre ad assicurarvi che le piante non siano state trattate con antiparassitari.
La grappa ai frutti bosco è eccellente, ma non bisogna dimenticare che l'alcool a tutti gli effetti agisce come una droga che può dare dipendenza. Un bicchierino ogni tanto a fine pasto è una gioia, se diventa un'abitudine ed un eccesso si trasforma in un dramma.
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La piccola ma bellissima orchidea Nigritella austiaca. Foto di Andrea Mangoni.

Ed eccoci qui, di ritorno dalle ferie, finalmente! Oddio, "finalmente" si fa per dire, visto che il fresco, la natura, la bellezza ed il riposo non facevano certo venir voglia di tornare, però...

Però è bello anche tornare a casa, riprendere in mano le redini di quanto si era lasciato - da un lato - ed intraprendere strade completamente nuove - dall'altro. Alle molte persone che mi hanno scritto privatamente: abbiate un po' di pazienza e risponderò a tutti!! Ho trovato un accumulo di posta notevolissimo - del resto, quasi venti giorni senza aprire internet si fanno sentire.

Nei prossimi post vi racconterò qualcosa di più sulle meraviglie incontrate tra le Dolomiti cadorine, intanto vi lascio con due immagini-emblema di queste vacanze. Un abbraccio a tutti!

Un gruppo di meravigliose mucche al pascolo! Foto di Andrea Mangoni.
Il mitico Laghetto delle Tose a Calalzo di Cadore. Bello, vero? Foto di Andrea Mangoni.

Carissimi, quello sul Sedum spectabile è stato l'ultimo post prima delle meritatissime ed agognate ferie! Da domenica, infatti, e per due settimane, sarò tra le verdeggianti montagne del Cadore, in un delizioso paesino chiamato Grea, immerso nella pace delle Dolomiti. Mai come quest'anno, dopo tanti cambiamenti, io e mia moglie Roberta abbiamo desiderato delle vacanze di riposo e tranquillità. Ci aspettano passeggiate tra i boschi, gite al lago e pomeriggi piovosi da trascorrere in casa, a godere del rumore e del profumo della pioggia.

Fino al 3 Agosto, quindi, mi sarà impossibile collegarmi ad Internet o rispondere alle vostre mail. Se avete qualche cosa di estremamente urgente da comunicarmi, scrivetemi entro domenica mattina.

Un abbraccio a tutti e buona estate!!

I fiori stellati di Sedum spectabile sono riuniti in corimbi rotondeggianti. Foto di Andrea Mangoni.

Il Sedum spectabile è quel tipo di pianta che ora va molto meno di moda, e che veniva invece molto spesso coltivato nei giardini delle nostre mamme e nonne. Ma questa pianta grassa, della famiglia delle Crassulaceae, ha molto da offrire anche al giardino naturale: essa è infatti una delle migliori piante da inserire in un butterfly garden, il giardino delle farfalle.

Proveniente dall'estremo oriente, questa pianta succulenta si caratterizza per il colore verde chiaro, gli steli carnosi e le spesse foglie ovaliformi. Ma risiede soprattutto nella fioritura, che avviene proprio in questo periodo, il suo attributo più prezioso per un giardino naturale. I piatti corimbi rotondi di fiori rosa o rossi, a forma stellata, forniscono infatti cibo abbondante per farfalle, api e moltissimi altri insetti. Una pianta che non dovrebbe mancare, quindi, in nessun giardino che si proponga di attirare e sfamare questi animali.

La coltivazione di queste perenni è piuttosto semplice: richiedono un'esposizione in pieno sole e si adattano a tutti i terreni, ma gradiscono di più quelli poveri e ben drenati, e per questo sono molto adatte anche ai giardini rocciosi. In estate gradiscono innaffiature regolari, ma si adattano anche a condizioni più aride. La riproduzione si può effettuare per talea di foglia, oppure raccogliendo i semi al termine della fioritura della pianta. Può anche essere agevolmente coltivata in vaso.

Il mio consiglio? Coltivatela in una bordura, formando con essa ampi cuscini, e piazzandole davanti a specie che forniscano un bel contrasto cromatico: sono a mio avviso molto indicate alcuni rappresentanti del genere Achillea, dalle belle foglie finemente laciniate, e Buddleja davidii "nanho blue": in questo modo formerete un tris di essenze che non mancherà di attirare farfalle ed altri insetti nel vostro giardino!

Alcune piante di Sedum spectabile in piena fioritura. Foto di Andrea Mangoni.

Rana latastei, diffusa quasi esclusivamente nel settentrione d'Italia. Foto di Andrea Mangoni.

Immaginate le risaie della Lombardia e del Piemonte, 200.000 (duecentomila) ettari di acquitrini che forniscono vita, cibo e riparo a milioni di creature: invertebrati, pesci, anfibi, rettili, uccelli... Un vero e proprio paradiso naturale per quelle specie che hanno visto la distruzione degli habitat paludosi naturali.

Bene, ora immaginate che questi DUECENTOMILA ettari di risaia possano essere avvelenati con un composto che distrugge ogni crostaceo, insetto, anfibio o pesce presente nell'acqua.

Fatto? Purtroppo, credo che per alcuni non debba essere stato difficile da immaginare. Perché tutto questo è appena successo.

Un piccolo coleottero americano, il punteruolo del riso (Lissorhoptrus oryzophilus), stava seriamente minacciando la produzione di riso di Piemonte e Lombardia. E' stato quindi deciso di combattere questi animali adottando l'uso di un prodotto particolare, il CONTEST, un pesticida nella cui etichetta si legge: "altamente tossico per gli organismi acquatici, può provocare a lungo termine effetti negativi per l'ambiente acquatico". L'Ente Nazionale Risi ne ha richiesto l'estensione provvisoria eccezionale di 120 giorni, fino al 28 luglio. Il principio attivo del contest è la cipermetrina (cypermethrin), un piretroide che come tale agisce sugli artropodi, come crostacei, insetti ed aracnidi. Ma non basta: Greulich & Pflugmacher* hanno studiato l'effetto di questa sostanza sugli embrioni e sui girini degli anfibi, rilevando come essa sia correlata a deformità, cambiamenti comportamentali e mortalità. Inoltre, Khan, Farina & Imtiaz** hanno verificato come tanto negli anfibi quanto nei rettili questa sostanza produca una diminuzione nella sintesi di proteine e nell'attività colinesterasica, rendendo chiaro come queste sostanze agiscano in maniera drammatica anche in organismi diversi da quelli "target" cui sono destinate.

Il WWF ha già inviato alla Comunità Europea una segnalazione, chiedendo l'apertura di una procedura di infrazione a carico dell'Italia per il mancato rispetto delle Direttive comunitarie "Uccelli”, "Habitat”, “Acque" ed "Acque sotterranee".

Purtroppo, però, tutto questo arriverà troppo tardi: il veleno è già utilizzato fin dal mese di marzo. Cosa ne sarà di tutti gli invertebrati d'acqua dolce che abitano queste risaie?? Coleotteri, libellule, cimici d'acqua, ragni, crostacei di ogni forma e dimensione, dalle comunissime pulci d'acqua ai rari e preistorici Tryops; tutte le loro popolazioni subiranno gli effetti di questa catastrofe per la biodiversità. E oltre a loro, anfibi, pesci e rettili... quanti endemismi rischieranno di sparire? Ricordiamo che tutti questi animali sono compresi come specie protette nelle Direttive Europee di salvaguardia delle specie minacciate. E, senza le basi della catena alimentare, come sopravviveranno mammiferi ed uccelli, che di questi animali si nutrivano?? Un solo dato per far riflettere: queste risaie venivano frequentate dal 60% delle cicogne nidificanti in Italia.

Non lasciate che questa notizia passi inosservata; fatela girare, perché ora più che mai è importante che simili eventi, che possono distruggere la biodiversità del nostro Paese in maniera quasi radicale, non debbano più accadere.

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Ringrazio i ragazzi ed i colleghi della mailing list di Erpetologia di Yahoo, che mi hanno fatto conoscere questa notizia.

*Greulich, K., & Pflugmacher, S. (2004). Uptake and Effects on Detoxication Enzymes of Cypermethrin in Embryos and Tadpoles of Amphibians. Archives of Environmental Contamination and Toxicology, Volume 47, Number 4, pp. 489-495(7).

**Khan, M. Z., Farina, F. & Imtiaz, A. (2002). Effect of Cypermethrin on Protein Contents in Lizard Calotes versicolor in Comparison to That in Frog Rana tigrina. Journal of Biological Sciences , 2 .

La bellissima libellula Calopteryx splendens. Foto di Andrea Mangoni.

La sexo£a ed il coàro. Foto di Andrea Mangoni.

Tutto preso dalla ricerca di un badile per trapiantare un clerodendro ribelle, l'altro ieri mi sono imbattuto (nella rimessa degli attrezzi) in un piccolo, vecchio tesoro di nonno Pietro.

E' il coàro, un corno di vacca, o meglio l'involucro corneo che lo ricopriva, con dentro una lunga pietra squadrata che si assottiglia alle estremità. Si tratta della vecchia pietra che lui usava per affilare la falce quando era in campagna, ancora riposta nel suo vecchio ed originale fodero, oramai sommersa di polvere e sporco. Poco lontano, un pezzo di legno cilindrico, che sembra fragile come una spumiglia, si è rivelato essere il manico di una grande séxo£a*, l'ampio falcetto a mezzaluna per la raccolta del grano, con la lama arrugginita e sbeccata.

Sono solo oggetti, è vero, ma parlano della storia della mia famiglia più di millemila libri. E mi dispiace vederli così, a languire in un deposito sotto polvere e immondizia. Così nasce l'idea: perchè non provare a ripulirli e recuperarli? Neanche a dirlo, i due attrezzi prendono la via del mio appartamento, mentre io, speranzoso, penso già di cercare qualche indicazione in merito su iternet.

Il corno e la pietra per affilare la falce. Foto di Andrea Mangoni.Ma le cose non sono così semplici: a quanto pare, chi ha avuto la mia stessa idea non ha mai pensato di rendere partecipi gli altri... o almeno, io non trovo nulla in tal proposito. Per cui provo a fare un paio di telefonate a persone che credo possano saperne qualcosa, e ricevo tutta una serie di consigli che, insieme, mi permettono di ottenere un risultato decente. E così ho pensato di passare queste informazioni anche a voi, nella speranza possano risultarvi utili. Ecco l'elenco dei materiali utili:

  • Acqua e sapone
  • Guanti di lattice
  • Uno sgrassatore (io ho usato quello della Stanhome)
  • Un po di benzina
  • Una paglietta o una spazzolina metalliche
  • Un panno o uno straccio
  • Olio paglierino
  • Preparato anti tarlo
  • Pasta di legno
  • Smalto trasparente spray (io ho usato quello della Ghibli)

Dopo aver indossato i guanti ed aver accuratamente lavato con acqua e sapone gli oggetti in questione, li ho puliti di nuovo con lo sgrassatore, quindi li ho risciacquati e lasciati asciugare.

Per il corno di mucca, il più era fatto: è bastato lucidarlo con tre-quattro passate di olio paglierino, ed era già pronto per la verniciatura finale. La pietra invece è stata solo lavata e fatta asciugare.

Il falcetto, o séxo£aPer la séxo£a le cose sono state un pò più complesse. Dopo lavaggio e sgrassatura, ho passato la lama con lo straccio intinto nella benzina, quindi ho energicamente strofinato la lama stessa con la paglietta metallica, fino a eliminare il grosso della ruggine; quindi ho ripetuto altre tre volte il procedimento, fino ad ottenere il risultato desiderato, e da ultimo ho ripassato nuovamente il metallo con la benzina. Poichè lo scopo non era quello di ottenere uno strumento da lavoro ma un... complemento d'arredo, il filo della lama non è stato rifatto col modo tradizionale, cioè battendolo con un martello, ma è semplicemente stato reso più regolare con l'utilizzo dell'apposita pietra. Il manico invece, prima di ricevere (come il corno) tre mani di olio paglierino, avrebbe dovuto essere trattato con l'antitarlo, siringando l'insetticida all'interno dei fori e lasciando asciugare... Io lo ammetto, non l'ho fatto. Volendo, con la pasta di legno sarebbe stato possibile anche chiudere i buchi degli insetti, ma a me piaceva di più così. Quindi, dopo aver dato l'olio paglierino e aver lasciato tutto ad asciugare una notte, è stato sufficiente dare a tutto una mano leggera di smalto acrilico trasparente; tanto questo passaggio quanto quelli con la benzina sono stati eseguiti all'aperto, per evitare di inalare esalazioni pericolose. et voilà! I due vecchi attrezzi dimenticati hanno preso una nuova vita. Ora potranno essere appesi e ricordare, a chi li guarda, di quanta Storia sia stata fatta tramite essi. E chissà che un giorno non possano nuovamente tornare all'opera...

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*Nota bene: per il nome dialettale del falcetto, è stato deciso di adottare come trasposizione scritta il termine séxo£a, in cui la "X" dovrebbe essere letta come una "S" tendente nel suono ad una "Z", e la "£" (corrispondente alla "L" nel dialetto veneziano) come una "E" strascicata.

Ancora la sèxo£a col coàro. Foto di Andrea Mangoni

Sono stato promosso al ruolo di...chioccia! Foto di Roberta Maieli.
Orbene, prima delle meritatissime ferie (SI'! SI'! FERIE!!), credo sia giusto fornire un aggiornamento sulle tante cose che stanno succedendo nella mia campagna e nel mio pollaio.
Come si può vedere dalla foto qui sopra, i pulcini delle prime due schiuse dell'anno hanno scelto una nuova chioccia: me. A quasi due mesi, per esigenze di spazio ho dovuto lasciare i piccoli con i tacchini e le galline adulte... per fortuna, senza troppi problemi. Ma questi piccini, allevati in gabbia senza la chioccia, si sono evidentemente abituati a me, ed ora rappresento per loro una sorta di "figura materna", o più probabilmente sono ai loro occhi un'eccellente modo per sfuggire alle attenzioni degli abitatori più grossi del pollaio. Infatti, al mio arrivo mi si affollano attorno ai piedi, cercando di vedere se ho portato loro qualcosa di buono. Quando poi mi accovaccio, loro mi vengono tutti sotto e attorno, facendosi accarezzare senza problemi e godendosela del fatto che i polli più grandi, molto selvatici, mi stanno a ragionevole distanza.
La chioccia, in attesa di vedere i suoi figli adottivi. Foto di Andrea Mangoni.I pulcini della terza covata, otto in tutto, sono stati spostati in una grande gabbia di un metro quadro, dove passeranno il prossimo mese; la loro mamma adottiva, la chioccia di Black Jersey Giant, è stata riportata nel recintino del consorte, dopo un mese. Nella loro gabbia è invece finita una nuova chioccia ibrida, che si occuperà dei 7 pulcini nati oggi e di quelli che nasceranno tra domani e domenica!
Tutto qui per il pollaio? No, perchè la femmina dei tacchini bronzati dei Lessini ha ripreso a deporre, e siamo a quota sette uova! Quasi certamente una volta arrivata a 12-13 inizierà a covare. Stavolta vedremo, dopo 3 covate fallimentari, se il nuovo nido che mi sono inventato servirà a qualcosa!
Margherite di campo e caglio zolfino, piantati in campagna. Foto di Andrea Mangoni.Passando alla campagna, ho finalmente trapiantato qui le prime margherite di campo ed il caglio zolfino: dopo anni, finalmente queste piante torneranno a fiorire nei miei campi!! mi sono premurato di pacciamare tutto intorno a loro con erba secca, in maniera da garantire un migliore attecchimento. Inoltre, tutte le settimane annaffio il piccolo gruppo con 5 litri d'acqua: va bene che quest'estate è anomala ed umida, ma non voglio correre rischi.
Le margotte in fieri sul salice cenerino. Foto di Andrea Mangoni.Vista poi la difficoltà nel riprodurre per talea il salice cenerino, ho pensato bene di tentare un'altra via: la margotta. Così, dopo aver inciso la corteccia di due rami, ho avvolto gli stessi con manicotti di plastica ricavati da due sacchetti trasparenti, che ho fissato saldamente ai rami con un legaccio stretto di fil di ferro a livello della ferita circolare fatta in precedenza. Poi ho riempito il manicotto di terra e l'ho legato con un legaccio di gomma morbida, superiormente. In questo modo, spero di causare un'accumulo di nutrienti di ritorno nella zona superiore al legaccio e di stimolare l'emissione di nuove radici. In autunno proverò a vedere, e se la radicazione sarà avvenuta (come spero) con successo potrò disporre, una volta tagliati i rami sotto il legaccio inferiore, di due belle piantine da trapiantare, una lungo la riva e l'altra probabilmente nel mio nuovo giardino.
Già, perchè ora c'è anche il nuovo giardino! Sto cercando, coinquilini permettendo, di dare una nuova impronta a questi rettangolini di terra. La mia idea è quella di dar vita a qualcosa di un pò particolare, una commistione spuria di piante commestibili, fiori selvatici ed essenze da giardino. Così, ad esempio, ho già popolato un angolino infelice con emerocallidi fulve, margherite di campo e menta; sto ripicchettando le viole, per creare con esse un fitto tappeto, ed ho portato qui anche i vecchi narcisi di nonna Elvira, quelli mezzi selvatici che aveva nella sua vecchia corte, piantati in piccoli gruppi, qua e là, così come del resto ho fatto per l'aglio delle vigne, ottenuto dai bulbilli di una fioritura della mia campagna. Su tutto dominano i clerodendri e la nepeta, mentre nel prato stento ho seminato il trifoglio.
Così, in attesa di rilassarmi all'ombra delle Dolomiti Cadorine, continuo a lavorare. Alcune delle cose che sto preparando le vedrete tra un pò, per altre ci vorrà più tempo... nel frattempo, buone ferie a tutti!!!
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Per saperne di più:
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I nuovi, bellissimi pulcini! Foto di Andrea Mangoni
La tacchina azzurra. Foto di Andrea Mangoni.

Conversazione 1 (tradotta approssimativamente dal dialetto padovano):

-Buonasera, sig. Rossetto, come sta? Sono Andrea Mangoni.
-Oh, buonasera! Bene grazie. E tu? Ti avrei chiamato io: ho trovato il numero di quell'allevatore che ti dicevo, quello cui ho dato gli incroci dei miei tacchini azzurri coi bourbon e coi neri. Ti interessa ancora? Ti do il numero?
-Si, certo! Grazie mille!! Dove abita?
-Dalle parti di Casalserugo, da quelle parti là. Lui si chiama XXXXX, il numero è ... (seguono altri venti minuti di conversazione sulle mie covate di quest'anno, sulla crescita dei miei piccoli Polverara e tante altre cose).

Conversazione 2 (nuovamente tradotta approssimativamente dal dialetto padovano):

-Buonasera, parlo col sig. XXXXX? Mi chiamo Andrea Mangoni, ho ricevuto il suo numero dal sig. Rossetto, ha presente? L'allevatore di Padova...
-Ah, sì, Bruno. Come no. Sì, mi aveva avvisato che mi avrebbe chiamato qualcuno per i piti. E così le interessavano i tacchini di Rossetto?
-Si, volevo chiederle qualcosa riguardo agli animali che le aveva dato il sig. Rosetto 5 anni fa. Li ha riprodotti? Che colorazioni le hanno dato?
-Guarda, io ho avuto una decina di tacchini riproduttori, nati da quegli incroci. Ne ho avuti neri, bianchi, bianchi con qualche macchia marrone sulle ali, grigio chiari e rossi. Ma adesso ho smesso di allevare, ho tenuto solo un maschio e due femmine bronzate presi al mercato, una femmina grigia e una femmina rossa. Ma in settembre smetto definitivamente, non tengo più nemmeno i polli.
-(Pensiero mio... ma che è, un'ecatombe dei vecchi allevatori? Smettono tutti??)Intanto, grazie per la disponibilità... ma volevo chiederle.. questa tacchina grigia, di che tinta sarebbe? più sul marrone o più sull'azzurro?
-Più sull'azzurro, quasi tinta acciaio... Perchè, ti interessa?
-Bhè, sì forse potrebbe interessarmi molto... Faccio ricerche sulle vecchie varietà di colorazione... Al limite potrebe considerare l'idea di vendermela?
-Ma, penso di sì... intanto vieni a trovarmi, così vedi di persona la bestia. Ha un po' di anni, oramai, non è giovane... il padre credo fosse un bianco, ma li tenevo assieme ad altri. Comunque ti dò l'indirizzo, prendi nota... (segue una breve chiacchierata e l'indirizzo del signore in questione).

Raggiungo il paese, trovo la casa, un po' spersa in campagna, mi trovo davanti ad un signore relativamente disponibile, ma che non mi dà il permesso di divulgarne le generalità. Non vuole che si pensi che lui venda o regali bestie d'abitudine, mi dice.

La femmina rossastra che accudiva i pulcini. Foto di Andrea Mangoni.I tacchini sono medio-piccoli, un maschio bianco, un paio di femmine bronzate, una femmina grigio-rossastra che cura dei pulcini di gallina, ed infine lei... una femmina di tacchina azzurra. Bella, vitale, con qualche traccia di rosso ("regalo" dell'incrocio coi Bourbon?), ma comunque sia... una vera tacchina azzurra di ceppo Rossetto!

Ora è nel mio pollaio. Avrò finalmente modo di osservare uno di questi animali dal vivo! La lascerò coi miei tacchini del Lessini, e aspetterò di vedere se farà una covata autunnale... e cosa, eventualmente, ne uscirà. Mi auguro davvero, tantissimo, di poter riuscire ad ottenere tramite successivi incroci di ritorno qualche altro capo azzurro, magari piccolo, della taglia dei Lessini... Ma qui sto già guardando troppo avanti! Intanto, godiamoci questa piccola meraviglia!

La tacchina azzurra. Foto di Andrea Mangoni.

Come diceva Pieraccioni ne "Il Ciclone", nei paesi piccoli si sa come vanno le cose: si fa presto a diventare, volenti o nolenti, dei... personaggi. Per cui non c'era nulla di strano se nella mia via non pochi sapessero della mia passione per gli animali, e finissero per chiamarmi per risolvere i dubbi più strani, da chi fosse lo strano tipo di sgorbio plurigambuto che minacciava la vasca da bagno a come depipistrellare una terrazza.

Così non mi stupii più di tanto quando, oramai molti anni fa, la figlia di una vicina suonò al cancello di casa mia con in mano un grosso bozzolo di seta bruna, durissimo, staccato a fatica dal rientro di un gradino esterno. Riconobbi immediatamente nell'occupante di quel letto sericeo una crisalide di pavonia minore italiana (Saturnia pavoniella), anche se all'epoca non seppi distinguerne il sesso. La misi in un vaso di vetro col fondo ricoperto di sabbia, lo tenni all'aperto, soot il portico di casa, e poi, un bel giorno di primavera, ecco lì ad attendermi una grossa falena grigia, con un vistoso occhio dipinto su ogni ala.

La pavonia minore italiana è stata solo recentemente riconosciuta come specie separata dalla pavonia minore diffusa in Europa. Huemer & Nässig, nel 2003, basandosi su un lavoro del 200o di Jost, hanno sancito ufficialmente il "distacco" di Saturnia pavoniella e Saturnia pavonia basandosi su differenze di colorazione, della forma dei genitali e sull'infertilità degli incroci F1 di prima generazione tra individui delle due specie.

Queste farfalle mostrano uno spiccato dimorfismo sessuale: le femmine, dall'apertura alare di circa 6-7cm, hanno ali la cui tonalità di base è il grigio; i maschi, sensibilmente più piccoli, hanno ali anteriori sui toni del marrone, ed ali posteriori vivacemente colorate di ocra-arancio. Inoltre, essi possiedono un addome più sottile e grandi antenne piumate. Quando, nei mesi primaverili, gli esemplari adulti abbandonano i propri bozzoli ed escono finalemente all'aria, i maschi iniziano a ricercare attivamente le femmine, guidati dai feromoni che esse rilasciano in abbondanza; per gli allevatori questa è una vera manna, perchè spesso, disponendo di una sola femmina lasciata in una gabbietta all'aperto, si possono ottenere decine di maschi in poche ore. Al termine dell'accoppiamento, che dura parecchie ore, la femmina depone gruppi di uova scure sui rametti delle piante nutrici: rovo, biancospino, pruno, salice e quercia rientrano tutti nello speciale menù di questa specie polifaga. Le uova schiudono entro due settimane, ed i piccoli bruchi scuri, adorni di peli sottili, vivono in gruppo durante i primi stadi di vita; crescendo essi cambiano librea, virandola al verde chiaro con tubercoli gialli che portano lunghi peli sottili. Se disturbati, assumono una tipica posizione arrotolata. In cattività il loro allevamento è abbastanza semplice, ma impegnativo: giunti al termine dello sviluppo, infatti, richiedono grandi quantità di cibo fresco. All'inizio dell'estate il loro sviluppo è completo e cercano un luogo sicuro dove impuparsi (tra i rami, nel muschio o attaccati alle pietre); lì, al sicuro nel proprio bozzolo, attenderanno la primavera successiva per dar vita ad una nuova generazione di pavonie.

Purtroppo, da anni non vedo più questa specie nella mia campagna; ma forse potrò avere quest'anno da un caro amico, il dott. Marco Uliana, che abita in un paese a pochi chilometri da Camponogara, alcuni bozzoli del ceppo locale di pavonia minore; in questo modo spero, il prossimo anno, di poter reintrodurre in alcune aree questi bellissimi insetti. Ho già individuato un paio di luoghi adatti: uno è un'area abbandonata invasa dai rovi, l'altro è - ovviamente - una zona delle mie rive. Non mi resta che attendere, per riportare ancora questi bellissimi animali a volare liberi lungo le siepi della nostra campagna.