Femmina bruna di Mantis religiosa. Foto di Andrea Mangoni.

Nei prati assolati dei paesi mediterranei non è difficile incontrare, in questa stagione, le prime, saltellanti mantidi religiose (Mantis religiosa). Stanno uscerndo adesso dall'ooteca, quel complesso ed accogliente nido che la loro madre ha costruito col proprio corpo e che le ha protette per tutto l'inverno da freddo, gelo e umidità. Le attende un estate breve e intensa, in cui dovranno crescere rapidamente facendo strage, attorno a sè, di piccoli insetti e - talvolta - anche di propri consimili.

Nota fin dai tempi più antichi, la mantide ha da sempre affascinato l'uomo per il suo aspetto inconsueto e per le sue particolari abitudini riproduttive. La sua peculiare posa di attesa della preda, così simile a quello di un essere umano in preghiera, le ha valso nomi diversamente correlati alla religione: l'appellativo "religiosa" è solo l'ultimo di una lunga serie, che vanno da "pregadio" a "indovino", da "veggente" a "strega". Eppure, l'atteggiamento della mantide è tutt'altro che volto alla preghiera: in quella posizione particolare, infatti la mantide attende che le passi a portata di... zampa una preda: un insetto o anche a volte, un piccolo vertebrato, per allungarsi fulminea ed afferrare il malcapitato con le zampe anteriori, modificate per la presa (zampe anteriori raptatorie). La velocità raggiunta dalla mantide nella fase di attacco è impressionante: a volte tutto si svolge in un venticinquesimo di secondo!

Femmina bruna di Mantis religiosa mentre fa toeletta. Foto di Andrea Mangoni.La mantide adulta può raggiungere gli otto centimetri e predare persino piccole lucertole, ma le giovani devono compiere, per accrescersi, tutta una serie di mute, processi tramite i quali gli insetti grazie ad un complesso sistema ormonale generano un nuovo esocheletro abbandonando quello vecchio e diventando più grandi. Alla fine dell'estate, con l'ultima muta, la mantide acquisisce, oltre alle ali, la facoltà di riprodursi. E qui viene il bello: da sempre le femmine di questa specie vengono tacciate di essere delle feroci killer di poveri mariti innamorati... ma è davvero così? La risposta è un pò più complessa di quanto si possa credere.

Infatti, sebbene la mantide non disdegni di trastullarsi, durante l'amplesso, mangiando un maschietto particolarmente appetitoso, è anche vero che di norma in natura l'accoppiamento di due mantidi termina con pari soddisfazione per entrambi i partner, che si lasciano ancora vivi e vegeti. L'alta frequenza degli accoppiamenti "cannibali", verificata da certi autori in condizioni di cattività, è spesso da attribuirsi ad una cattiva alimentazione della femmina. C'è da dire anche che il maschio della mantide offre validi motivi, alla propria compagna, per farsi divorare.

Primo, è un bel concentrato di succose proteine: cosa che fa effettivamente gola ad una femmina che si appresta a deporre diverse centinaia di uova. Secondo, divorando la testa del maschio la femmina ne elimina i gangli nervosi inibitori, lasciando libertà d'azione ai centri nervosi toracici ed addominali che controllano il comportamento riproduttivo... in pratica, un maschio decapitato è un maschio più focoso (attenti, vale solo per le mantidi!!).

Sia quel che sia l'esito dello sposalizio, la femmina si appresta dopo pochi giorni a deporre le uova. Allo scopo essa cerca un posto riparato, sotto una roccia sporgente, un ramo o un groviglio di sterpi; quindi inizia meticolosamente a deporre le uova circondandole con una sostanza spugnosa che secerne lei stessa e che "monta a neve" con i cerci addominali, fino ad ottenere un rivestimento costituito da tante camere d'aria che proteggeranno le uova dagli eventi atmosferici e da molti predatori, rivestimento che prende il nome di ooteca, appunto. E dopo un inverno ed una primavera passati a svilupparsi, la nuova generazione compirà il proprio destino venendo alla luce in giugno e donando ai nostri prati una nuova stirpe di predatori lillipuziani.

Ninfa verde di Mantis religiosa. Foto di Andrea Mangoni.
Gruppo di Tacchini Azzurri. Foto di Bruno Rossetto.

Molte sono, come ho già detto più volte, le razze avicole italiane che sono apparse per un breve periodo sul nostro territorio, per poi svanire nel nulla. Tra queste vi sono anche alcune razze di tacchini, selezionate nel nostro Paese e poi cadute nel dimenticatoio col passare degli anni.

In particolar modo oggi vi vorrei parlare del Tacchino Lilla di Corticella. Il Lilla di Corticella era stato selezionato dal prof. Ghigi, a Rovigo (nella Stazione Sperimentale di Avicoltura), a metà del secolo scorso; in seguito ne affidò la selezione ad una sua allieva, Anita Vecchi, che operava a Corticella (BO): da qui, in suo onore, la razza prese il nome di Lilla di Corticella.

Si trattava di animali selezionati a partire da un gruppo di colorazione blu (Slate), che produssero prole per metà blu, un quarto bronzata e un quarto di colore azzurro-lilla pallido, quasi acciaio, con tarsi rosei. Il margine di alcune penne (groppone, sopracoda, fianchi) tendeva al bianco. Il peso era compreso tra i 9 ed i 10 Kg per i maschi, e tra i 6 ed i 7 Kg per le femmine. Ma con l'introduzione degli ibridi da allevamento a piumaggio bianco, la razza venne a perdersi (per maggiori informazioni, visitate questa pagina de "Il Pollaio del Re").

Negli anni '90, però, il sig. Bruno Rossetto, esperto allevatore del padovano appassionato di avicoli, presentò nel corso di una serata presso l'allora Istituto San Benedetto da Norcia, a Padova, alcuni tacchini dal piumaggio azzurro davvero particolari. Si parlò quindi di una possibile sopravvivenza della razza, ma era davvero così?

Tacchini Azzurri. Foto di Bruno Rossetto.In realtà, stando alla testimonianza del sig. Rossetto, il ceppo di tacchini azzurri da lui allevati proveniva dall'incrocio tra due suoi ceppi di tacchini, uno a livrea bianca ed un altro a livrea nera. Non è certo possibile escludere che in essi vi fossero, latenti, i geni dell'antico Lilla di Corticella, ma è altrettanto possibile che si sia trattato di un evento completamente slegato dalla storia di quella razza.

I Tacchini Azzurri di Bruno Rossetto avevano piumaggio grigio chiaro, con alcune penne della regione posteriore del corpo bordate di bianco; erano inoltre presenti tracce di colorazione marrone sulle ali e sulla coda, oltre ad alcune rarissime penne nere nella livrea. I tarsi erano grigio-rosei. La differenza maggiore era però nel peso: 6-7 Kg per i maschi, 3-5 Kg per le femmine. Si può immaginare dunque ragionevolmente che questi animali non fossero, se non indirettamente, legati al Tacchino Lilla di Corticella.

Con l'abbandono dell'attività di allevatore da parte del sig. Rossetto, il ceppo in questione è andato quasi perduto. Attualmente, per quel che mi è dato sapere, gli unici animali esistenti riconducibili ad esso dovrebbero essere i capi in possesso dell'associazione "La Fattoria in Città", a Padova.

*****

Le foto a corredo dell'articolo sono state scattate negli anni '90 dal sig. Bruno Rossetto. Vengono qui pubblicate per sua gentile concessione.

Una tacchina azzurra assieme ad un maschio di Bronzato dei Colli Euganei. Foto di Bruno Rossetto.

Estate in arrivo, e con essa fiori a profusione, idilli di aromi e colori che attirano e ubriacano farfalle colorate come danzatrici balinesi coinvolte in una danza sfrenata... O forse no? Ma davvero tutti fiori sono ugualmente graditi alle farfalle?

La domanda, ovviamente retorica, ha una sola risposta: un secco NO. Sono molte le piante che questi insetti snobbano passando oltre senza indugio, e tra queste, ad esempio vi sono le bellissime rose o i papaveri, fiori da ditteri e imenotteri più che da lepidotteri. Esistono però delle piante che, notoriamente, vengono considerate da questi insetti delle vere e proprie stazioni di servizio, in grado di trasformare il più anonimo dei giardini in un ricercatissimo bar per farfalle. Ecco quindi una selezione di cinque (più una!) piante che faranno diventare il vostro angolo verde (giardino o terrazzo che sia) un raduno coloratissimo di lepidotteri felici.

  1. Palma d'onore alla Buddleja (Buddleja davidii), il cui nome comune (albero delle farfalle) parla da solo. Ne ho già parlato in questo blog, ma vale la pena ricordarlo: pochissimi fiori sanno attirare le farfalle come le lunghe spighe variopinte della buddleja. La potrete trovare color ciclamino, bianca, viola scuro, quasi nera; se avete poco spazio optate per la varietà nanho blue, che rimane piccola ma che regala la stessa abbondantissima fioritura delle cultivar più grandi. Tagliando i fiori mano a mano che seccano, potrete prolungare la fioritura da luglio fin quasi ad ottobre. Ogni tre anni poi, in inverno, non mancate di potarla energicamente, accorciando i rami principali ad un terzo della loro lunghezza: vi ripagherà irrobustendosi e mantenendosi compatta nella forma e nella fioritura.
  2. Le lavande (Lavandula sp.) sono un'altra scelta davvero ottima. Certo attirano di più api e ditteri, ma moltissime farfalle la adorano, dalla podalirio alle cavolaie, dalla sfinge passera alla Vanessa dell'ortica. Le fioriture continuano per tutta l'estate, e anche qui possiamo trovare cultivar per ogni gusto e quasi di ogni dimensione. A fine fioritura andrebbe potata accorciando i rami e lasciando su ognuno solo un paio di gemme. Dicono sia anche ottima per delimitare un'area del giardino in cui cani e gatti non debbano andare: pare che ne detestino il profumo. Io però non posso confermarlo!
  3. I ligustri (Ligustrum sp.) sono arbusti molto usati nelle siepi, a causa della bellezza del fogliame e dei fiori. Ne esistono in commercio molte specie e cultivar, ma quelle spontanee in Europa, ovvero L. vulgare e L. lucidum, sono le migliori per i nostri scopi... in fondo dobbiamo pur cercare di diffondere le nostre essenze spontanee, no? Tra maggio e giugno questi cespugli si ricoprono di pannocchie trifide di fiori bianchi, molto profumati, che attirano nugoli di insetti, tra cui molte farfalle e falene. Tra queste ultime, la sfinge del ligustro vi depone le uova ed i suoi bellissimi bruchi screziati di verde e d'argento si nutrono delle sue foglie. In autunno, i fiori vengono sostituiti dalle bacche nerastre. Attenzione però! Tutte le parti della pianta sono velenose! Oltre che in una siepe, provate a lasciare crescere liberamente qualche esemplare solitario: diventerà un magnifico punto d'attrazione in giardino.
  4. La lantana (Lantana camara) è una specie a carattere arbustivo che in alcune regioni del mondo è addirittura infestante. Da noi il problema non sussiste, perchè la lantana risente degli inverni troppo rigidi e anzi, andrebbe protetta spostandola in una serra fredda o anche solo ricoprendola col classico tessuto non tessuto; l'importante è garantirle una temperatura superiore a 0°C, meglio ancora se riuscissimo a garantirle 6-12°C. I fiori usualmente sono portati in piccole ombrelle bicolori, ciclamino e giallo o arancio e giallo; non mancano cultivar completamenmte gialle. Amano una esposizione soleggiata e innaffiature leggere e costanti. Oltre che a cespuglio, possono essere educate ad alberello. Si può riprodurre facilmente da seme, tenendo da parte le bacche nere prodotte dopo i fruttio, oppure per talea semilegnosa in estate. Per le potature, si possono accorciare i rami in autunno di circa una decina di cm.
  5. Gli aster (Aster novae-angliae o A. novae-belgi), i settembrini tanto cari alle nostre nonne, necessitano di terreni leggermente acidi e sabbiosi per dare il meglio di sè. le loro fioriture, in settembre, regalano pasti luculliani a tutte quelle farfalle, come colie, cavolaie e licenidi, che si attardano fino all'inizio dell'autunno dopo essere nate in estate. Si tratta di erbacee perenni che rimangono virtualmente invisibili per lunghi mesi, salvo poi stupirci con la loro meravigliosa fioritura.

Ed ecco qui quindi le cinque piante che più di tante altre rappresentano, secondo me, il... gotha delle essenze preferite dalle farfalle. Mettetele in giardino e vedrete che questi coloratissimi insetti non passeranno più da voi senza fermarsi!

Come? Ne avevo promessa un'altra? ...E allora sotto! L'ultima pianta che vi voglio consigliare oggi è l'edera (Hedera helix). So che potrebbe sembrare strano, in fondo pochi penserebbero di associare questo pur bel rampicante con farfalle o fiori... eppure, l'edera ha un grande vantaggio rispetto a molte piante: fiorisce in autunno, fornendo così un'importante occasione per molte specie svernanti, come le Vanesse, di fare scorta di cibo ed energie prima del lungo letargo invernale, che spesso si può svolgere proprio tra le foglie dell'edera stessa. Per favorire la fioritura dell'edera occorre darle modo di arrampicarsi verso l'alto liberamente. Io consiglierei anche di lasciarla crescere su una griglia distante una decina di cm dal muro di casa: nell'intercapedine creatasi tra muro e pianta potranno svernare svariati insetti, e qualche merlo o capinera potrebbe decidere di farvi il nido. E se è vero che non sono farfalle, rappresentano però comunque delle magnifiche "paia d'ali" da ospitare in qualunque giardino!!

Polluce immortalato nel momento del canto. Foto di Andrea Mangoni.

La primavera è passata, il caldo torna a farsi sentire, i lavori nell'orto e nel giardino chiamano... e in pollaio? Come stanno andando le cose?

Quest'anno mi sono preso per tempo e mi sono preparato con cura alla stagione riproduttiva, costruendo 2 nuovi recinti, uno per ognuno delle razze che voglio riprodurre in purezza. I recinti non sono troppo grandi, purtroppo, circa 25 metri quadrati l'uno, ma la densità di popolazione è bassa, per ora (7 animali in uno, 4 in un altro), per cui ogni animale ha abbastanza spazio per vivere degnamente, razzolare, litigare, rotolarsi nella polvere e fare quello che gli pare. In inverno, poi, quando non ci saranno più culture da... salvare, i polli potranno tornare a vagare nel grande prato antistante i recinti, come gli altri anni.

Irene e la Gigia. Foto di Andrea Mangoni.

Per ombreggiare i miei polli ho usufruito di alcune viti preesistenti, che adesso stanno formando una meravigliosa tenda verde che crea una graditissima ombra nella calura estiva. All'interno di ciascun recinto ho poi piantato due cespugli, un cerro (Quercus cerris) ed un sambuco (Sambucus nigra). Ora sono piccoli, ma l'idea è quella di fornire rifugio ed ombra supplementari ai miei polli, oltre a qualche integrazione alla dieta sotto forma di bacche di sambuco. Mentre i due sambuchi sono autoctoni, i cerri vengono dalla toscana, e sono frutto di due belle ghiande raccolte nel grossetano.

La vecchia Circe, col ciuffo di piume a penzoloni. Foto di Andrea Mangoni.Ma tornando a noi e ai principali protagonisti di questo post, cioè i miei Polverara, vediamo un pò com'è la situazione attuale. Di tutti i pulcini nati l'anno scorso, ho tenuto solo 3 esemplari, quelli che (per un motivo o per l'altro) mi sembravano avere le migliori caratteristiche di razza. Il gallo, Polluce (Pippo per gli amici) è nato a settembre dell'anno scorso, ed è figlio di Leonida. Della stessa covata ho tenuto anche la Gigia, ritornata a casa poco tempo fa, mentre più vecchia di qualche mese è Nerina Jr, nata nel maggio 2008 e figlia della gloriosa e compianta Nerina. Sono purtroppo venute a mancare invece due delle anziane riproduttrici, Tea e Titta; in compenso le altre "vecchiette", come Circe e Medessa, sembrano cavarsela abbastanza bene ed hanno deposto discretamente nei mesi scorsi. L'unica che invece stenta a deporre, quest'anno, è Irene... che sia la vecchiaia incalzante?

Pulcino di polverara bianco di tre settimane. Foto di Andrea Mangoni.I pulcini delle prime deposizioni hanno avuto invece dei problemi: due sono stati colpiti da perosi, una malattia metabolica correlata a carenza di manganese, che finisce col deformare gli arti inferiori; uno dei due piccoli è purtroppo morto. Quelli della terza covata invece sono stati tutti uccisi, senza motivo, dalla chioccia: purtroppo capita, quando si lascia fare alla Natura. Tutto sommato però stanno crescendo bene, ed ora come ora ci sono 4 piccoli infami che stanno razzolando contenti nel loro gabbione assieme ai "fratellini" Jersey Giant e ibridi. Ovviamente il gabbione serve per difenderli dagli attacchi dei ratti: l'anno scorso mi hanno fatto sparire più di un piccolo, ed hanno decapitato anche diversi polli adulti, non ultimo il già citato Leonida.

Pulcino di polverara nero di due settimane. Foto di Andrea Mangoni.

In più, nell'incubatrice e sotto una chioccia si stanno sviluppando una dozzina di altre uova, tutte "figlie" di Nerina Jr, Medessa e Circe. Tra una settimana vedremo come andranno le schiuse!

Polluce e Medessa. Foto di Andrea Mangoni.Come procederò quest'anno? Semplice: il primo obiettivo sarà quello di arrivare ad avere due galli riproduttori e una ventina di galline. Gli animali saranno selezionati in modo che abbiano tutti la cresta a cornetti e gli orecchioni il più possibile bianchi. Manterrò invece in eterozigosi il carattere della pelle gialla/pelle bianca, e cercherò di occuparmene l'anno prossimo. Inoltre cercherò di diffondere questo ceppo tra diversi appassionati: già l'anno scorso ho ceduto tre galli ad alcuni amici, assieme alle mie galline Polverara di ceppo Trivellato, per far sì che potessero riprodursi e constituire così un "serbatoio di geni" prezioso; in più sei uova sono finite a Frosinone ed altre andranno (spero presto) a Camposampiero. Insomma, cercherò di diffondere il più possibile il prezioso patrimonio genetico ereditato dal sig. Rossetto.

Medessa. Foto di Andrea Mangoni.Nel frattempo, mi fermerò ogni tanto a rimirare il mio amico Pippo, prode difensore di gallinelle indifese, che con coraggio si frappone fra esse e qualunque pericoloso nemico... come ad esempio i miei stivali. Di solito mi abbasso subito e provo ad accarezzarlo, così mi vede in faccia e si accorge dell'errore... ma qualche volta è più veloce di me. Avete mai assaggiato una speronata di gallo , così, senza preavviso, nei polpacci? Ahio!!

Polluce, in tutto il suo chicchiricheggiante splendore, e le sue ben protette spose. Foto di Andrea Mangoni.

Vanessa cardui si nutre su una salvia in fiore. Foto di Andrea Mangoni.

Dodici maggio scorso, sono al computer, scrivo, sono un pò stanco... alzo gli occhi alla finestra per guardare un pò il giardino e... rimango di sale.

Farfalle.

Come drappi di stoffa spezzata che abbiano preso vita, davanti ai miei occhi decine di farfalle attraversano da sud a nord la mia via. No, non decine: sono almeno una dozzina e più al minuto, e continuano a passare. Mezz'ora, un'ora, due. Cinque. Per cinque ore, il flusso di farfalle non si arresta. Arrivano sospinte da una forza invisibile, alcune sbattono persino contro il muro della casa dei vicini, prima di trovare un'altra verticalissima via verso il cielo.

Vanessa cardui si nutre su una salvia in fiore. Foto di Andrea Mangoni.E' la prima volta che assisto ad una simile migrazione. La protagonista indiscussa è lei, la Vanessa del cardo (Vanessa cardui), che nel novero delle migliaia continua a cercare la sua strada verso il settentrione. La Vanessa del cardo, un'elegante farfalla diurna della famiglia dei Ninfalidi, non è certo nuova a simili exploit viaggiatori. Questi straordinari insetti, infatti, possono partire dal continente africano in tarda primavera, per raggiungere l'Europa meridionale e centrale dove finiscono col riprodursi. Le larve si sviluppano a spese del cardo (Carduus sp. e Cirsium sp.) , come del resto rivela il suo nome, ma si "accontentano" anche di ortiche (Urticasp.). La superficie superiore delle ali, con la vivace colorazione arancio - nera, contrasta bellamente con la pagina inferiore quasi madreperlata ed arabescata. Giunta nel suo areale estivo, la Vanessa del cardo da vita a due o tre generazioni, l'ultima delle quali trascorre l'inverno come adulto. Mi moglie mi chiama, esco in terrazza ed ecco che sulla salvia in fiore un piccolo drappello di Vanesse - una decina - si sta rifocillando sulle spighe violette. Decisamente devo smettere di considerare la salvia solo come un'aromatica, ma devo iniziare a vederla come una pianta da inserire comunque nella mia idea di giardino naturale. Nei giorni successivi non ho visto più la migrazione, ma ne sto ancora godendo gli effetti: in tutto il paese è vivo un frullio di ali arancioni attorno ai ligustri e ai cespugli in fiore. E mentre alcune Vanesse, vecchie e stanche, rimangono accasciate morte al suolo, la maggior parte di esse, bellissime e splendenti, danza sulle corolle in attesa di dar vita ad una nuova stirpe di viaggiatori.

Vanessa cardui si nutre su una salvia in fiore. Foto di Andrea Mangoni.

Questa sera, nel Municipio di Camponogara, sarà organizzata una serata dedicata alla biodiversità locale. In particolar modo, vi saranno due interventi principali. Gianni Pizzi, insegnante, presenterà il suo libro sulla biodiversità del nostro territorio, e parlerà delle forme di vita e degli ambienti in pericolo del nostro comune; io invece parlerò di biodiversità avicola del padovano-veneziano, della storia delle razze di polli delle nostre terre e di quanto rimane ancora di esse. Se qualcuno di voi volesse partecipare, l'appuntamento è alle nove-nove e mezza in Municipio, sala consigliare! A presto!

Ed eccoci qui, anche quest'anno, a salutare l'arrivo dei primi pulcini della stagione!! Si tratta di 3 Black Jersey Giant blu, e di 3 Polverara di ceppo Rossetto bianchi. Potete vedere i video dei genitori di questi pulcini nel mio canale YouTube. Per una migliore risoluzione del video, schiacciate il pulsantino HQ!

Cari amici, vi voglio segnalare che ha preso il via la mostra fotografico-naturalistica: "L'Ambiente che abbiamo in Comune". La mostra, che espone anche 28 miei scatti 30x40, integra informazioni ed immagini per far scoprire agli abitanti di Camponogara la biodiversità che si nasconde nel territorio del loro stesso paese. Farfalle, anfibi, fiori spontanei e ragni, immortalati negli scatti miei, di Gianni Pizzi e di Salvatore Termo, raccontano al pubblico la storia naturale del nostro comune, cercando di far conoscere un ambiente delicato che rischia ogni giorno di scomparire.

La mostra fotografica, realizzata con il patrocinio del Comune di Camponogara ed il personale impegno dell'Assessore alle Politiche ambientali e Protezione Civile Denis Compagno, vede anche la collaborazione di Legambiente - Circolo Riviera del Brenta e del mio sito, Oryctes.com.

La mostra ha sede nelle sale del Municipio di Camponogara, ed è visitabile fino al 10 giugno negli orari di apertura dello stesso, questo per favorire il più possibile il contatto della gente comune con la realtà ambientali del proprio territorio.

A presto!

Ecco Gigia, la ritornante Polverara nera!

In pollaio, da qualche giorno, c'è una nuova arrivata. O meglio, nuova e vecchia al tempo stesso. Sì, perchè, per motivi complessi da spiegare, ho riportato a casa Gigia, una dei 4 Polverara nati a settembre dello scorso anno.

Volete vedere com'era? eccola qui, in questo post. Vedete la prima testolina nera a sinistra nella foto in alto? E' la Gigia. Ora è cresciuta, è diventata una bella gallinella che deve ancora iniziare a far uovo... Ed è ritornata a casa. Certo, come Polverara ha tanti difetti: il ciuffo troppo grande, che la persona cui l'avevo ceduta ha provveduto a tagliare (sigh!); la testa un pò lunga; la cresta a cornetti assai poco sviluppata.

Gli orecchioni bianchi della Gigia.

Però, in compenso, ha i più scintillanti orecchioni bianchi che io abbia mai visto in questa razza, eccezion fatta per suo nonno Ganimede, pace all'anima sua. Questo da solo mi basta per decidere di inserirla nel piano di riproduzione annuale.

Nel frattempo, l'incubatrice sta portando avanti la prima covata dell'anno - la settimana prossima dovrebbero nascere i primi nuovi virgulti. Le Polverara nel frattempo continuano a godersi il loro nuovo recinto-pollaio privato, in basso una foto dell'ultima abbuffata. A presto con nuovi aggiornamenti!!

Le mie Polverara all'ora di pranzo!
Gruppo di Galline Modenesi. Foto di Giuliano Serafini.
Nelle terre attorno a Modena esisteva - ed esiste tutt'ora, un ceppo locale della razza Italiana comune o autoctona. Il ceppo, che4 alcuni dicevano derivante dalla Padovana comune e dalla Livorno, fu anche immortalata dal pittore Gaetano Chierici nel XIX secolo; rimase tuttavia sempre una popolazione avicola che non fece molto parlare di sè. Il colore fulvo sembrava esserne una caratteristica peculiare. Si può a mio avviso, in questo come in altri casi, parlare più di ceppo che non di razza: si trattava quindi dell'espressione della variabilità genetica di quel pollo dai caratteri mediterranei diffuso in tutta Italia.
Galli di ceppo Modenese. Foto di Giuliano Serafini.
Comunque sia, anche questo glorioso ceppo sembrava destinato a scomparire, come tanti, in quanto non in grado di reggere il confronto con gli incroci di tipo commerciale che andavano anno dopo anno ad affollare il mercato avicolo. La Gallina Modenese o Fulva di Modena aveva i caratteri tipici del pollo mediterraneo: tarsi e zampe gialli, orecchioni bianchi, così come le uova, e colorazione principale dorata frumento. I maschi si aggiravano sui tre chilogrammi di peso, le femmine sui due.
Ma, per fortuna della Fulva di Modena, la famiglia Serafini di Nonantola era riuscita a conservare in purezza un gruppo di questi animali. E' stato Giulio Serafini, aiutato dal dott. Alessio Zanon, ad iniziare finalmente a valorizzare questi polli e ad intrecciare il dialogo con le istituzioni, dialogo che alla fine ha portato alla nascita dell'A.T.G.M., l'Associazione per la Tutela della Gallina Modenese. Oggi come oggi, sebbene gli animali non siano stati oggetto di selezione riguardante la colorazione, le livree più comuni sono la dorata frumento, la dorata frumento blu e la bianca. Con la collaborazione dell'Università di Parma è stato avviato un percorso di studio di questa popolazione avicola, ed il conseguente affidamento di gruppi di pulcini ad allevatori custodi che hanno deciso di impegnarsi per preservare questo pezzetto di biodiversità modenese, che sa ancora affascinare noi come faceva con Chierici un secolo e mezzo fa.
Per maggiori informazioni sulla Fulva di Modena, potete contattare direttamente Giuliano Serafini tramite questa pagina web.
*****
AVICOLTURA E BIODIVERSITA': LETTURE PER SAPERNE DI PIU'

 .  . 
 .  . 
*****

La Fulva di Modena immortalata da Chierici. Foto di Alessio Zanon.

Trasformare il proprio giardino in un luogo ospitale per piante ed animali selvatici non è un'utopia, ma la semplice conseguenza di una serie di piccole azioni, molte delle quali non eccessivamente impegnative, che la maggior parte di noi può mettere in pratica senza particolari difficoltà. Ecco quindi un breve elenco di alcuni punti chiave da cui poter partire nel trasformare il proprio giardino in un angolo di natura sotto casaa. Pronti? Via!

  1. La Natura è il modello. Cercate attorno alla vostra città o al vostro paese uno scampolo di natura ancora incontaminata. Può essere la riva di un canale, la siepe lungo la ferrovia abbandonata o qualunque angolo in cui le piante autoctone della vostra zona abbiano ancora presa sicura sul territorio. Anche le vecchie case rurali spesso possono riservare sorprese. Tutti questi luoghi potranno diventare non solo un modello da seguire ma anche una "banca genetica" da cui attingere in parte materiale, sotto forma di semi e talee.

  2. Leggere, leggere e ancora leggere! Internet ed i libri sono fonti preziose di informazioni. Formatevi una buona cultura sulla flora autoctona della vostra zona; spesso le istituzioni rilasciano gratuitamente opuscoli e pubblicazioni su argomenti di stampo naturalistico, che possono essere dei validi aiuti.

  3. Il vostro giardino è già un bosco, solo che ancora non lo sa! Se avete dei dubbi su dove piantare delle nuove essenze, immaginate che il vostro giardino sia già un bosco pieno di alberi ed arbusti; in questo modo quello che vi resta da fare è via via "togliere" con la mente lo spazio da dedicare al prato. Vi sarà più facile progettare un equilibrio nel giardino, così.

  4. Se non potete permettervi alberi, piantate una siepe. Molti persone proprietarie di piccoli giardini non possono permettersi di piantare alberi di alto fusto, anche a causa della necessità di rispettare le distanze dai confinei previste per legge. Non rinunciate però alla presenza di queste specie nel vostro giardino: molti alberi e arbusti, infatti, se educati tramite adeguate potature si prestano bene a formare fitte siepi caduche. Si possono educare a siepe faggio, quercia, acero, nocciolo, prugnolo, biancospino, e tantissime altre specie.

  5. Anche se potete permettervi un albero, piantate lo stesso una siepe! Infatti la valenza ecologica di una siepe è enorme, soprattutto nel caso di una siepe mista, in cui più essenze contribuiscono a formarne la struttura. Nelle campagne molti animali utilizzano le vecchie siepi agricole come dei veri e propri boschi in miniatura, ricavandone cibo e riparo; nei giardini urbani la loro utilità risulta ancora maggiore.

  6. Fornite cibo e riparo, ed il vostro giardino non sarà più vuoto. Specie nella cattiva stagione, aiutate uccelli e piccoli mammiferi a trovare cibo, installando una o più mangiatoie, e nel contempo arricchite il giardino con qualche nido artificiale; molte specie finiranno col "fidelizzarsi" al vostro giardino e vi permarranno tutto l'anno. Con la bella stagione riponete le mangiatoie, perchè risulterebbero più dannose che utili agli animali selvatici.

  7. Utilizzate piante che forniscano cibo agli uccelli. Come ho detto sopra, nella bella stagione le mangiatoie vanno riposte, per lasciar spazio a quelle piante che producono semi o bacche che attirano e sfamano gli uccelli. Oltre a piante selvatiche come evonimo, sambuco e biancospino, non dimenticate di inserire piante che danno frutti commestibili anche per noi, come ciliegio, melo, pero, nocciolo, caki, ecc...

  8. Non dimenticare gli insetti. Questi animali, a dispetto della loro fama generale, sono alla base delle catene alimentari e quindi tra gli elementi più importanti ed utili per un giardino naturale, ove ricoprono numerosissimi ruoli, che vanno da quello di impollinatore a quello di... cibo per altri animali. Per dirne una, la maggior parte degli uccelli utilizza gli insetti come cibo per la prole. Richiamate le specie amanti dei fiori con piante come il ligustro, la lavanda o la buddleja; fate crescere in un angolo soleggiato l'ortica, pianta nutrice dei bruchi di tante farfalle; dedicate un angolo del prato ai fiori selvatici, come centaurea e tarassaco.

  9. Mettete in giardino il tronchetto della felicità. No, non parlo della famosa pianta d'appartamento, ma di un semplice stratagemma per aumentare la biodiversità del vostro giardino. Procuratevi qualche ceppo d'albero (15-30 cm di diametro, 20-40 cm di lunghezza) appartenente ad essenze tipiche della vostra zona (fuorchè piante come robinia e platano), e ammucchiateli in un angolo ombreggiato del giardino: decomponendosi ospiteranno un numero notevole di piccoli invertebrati, che a loro volta attireranno piccoli vertebrati.

  10. Costruite uno stagno. L'acqua è vita, e tanto più lo è in un giardino naturale. Sarebbe meglio non usare uno stagno prefabbricato, ma costruirlo con un telo plastico adeguato. La costruzione di uno stagno fornirà agli uccelli un abbeveratoio e materiale da costruzione per i loro nidi, sotto forma di fango; inoltre, se eviterete di metterci dentro pesci rossi, si potrà popolarsi di tanti animali legati alle acque dolci, come insetti, crostacei e anfibi. Tra i tanti ospiti possibili, le libellule cattureranno la vostra attenzione con i loro voli acrobatici.

Ecco, per oggi è tutto. Questi erano ovviamente solo brevi suggerimenti; di alcuni di essi mi occuperò in maniera più approfondità più avanti. Voi ne avete altri che vorreste vedere aggiunti a questa lista?

Qualche giorno fa, il dott. Alessio Zanon, di Agraria.org, mi ha segnalato alcuni video di una razza avicola davvero molto particolare: la Drenica o Kosova Long Crower. Così, spinto da questa sua... imbeccata, vi voglio parlare proprio di questi polli. Si tratta di una razza molto particolare, per due motivi.

  • Primo, la sua somiglianza con l'italianissima Polverara;
  • Secondo, il canto "smisurato" dei suoi galli: fino a 58 secondi!!

L'aspetto fisico è quello di un pollo di media taglia, dal mantello nero, con un ciuffo ad elmo sul capo (proprio come la Polverara). Privi di barba e favoriti, questi polli mostrano dei bei bargigli penduli rosso acceso (come del resto gli orecchioni). I tarsi sono verdi, il becco giallo, gli occhi rossi o molto scuri. I maschi raggiungerebbero pesi compresi tra i 2 ed i 3 Kg, mentre le femmine si attesterebbero su valori inferiori ai 2 Kg (fonte: Feathersite).

Come ho potuto apprendere dal sito di Longtailfowl.com e dalla testimonianza del sig. Salih Morina, la Drenica è una razza proveniente dall'omonima regione del Kosovo, in particolar modo da villaggi come Polac, Terstenik e Drenas. Queste zone rurali, però, hanno visto buona parte della propria popolazione emigrare verso le città in cerca di lavoro; e chi è rimasto in campagna ha spesso via via abbandonato l'allevamento della Drenica, a causa della sua scarsa fecondità (tra le 50 e le 100 uova all'anno), scegliendo polli maggiormente produttivi. L'effetto congiunto di queste cause ha provocato la quasi completa scomparsa di questi polli, che si sarebbero totalmente estinti se non fosse stato per un manipolo di allevatori che hanno recuperato alcuni capi continuando a riprodurli con passione. Tra questi, il sig. Ali, di Mitrovica, è ora probabilmente il maggior conoscitore della razza.

Ma vediamo al canto, così straordinario, di questi animali: inizia come un normale "chicchirichì", ma si trasforma dopo pochi secondi in un suono paragonabile forse ad una via di mezzo tra un gracchiare ed un cigolare sordo, che dura fino quasi a 60 secondi nei migliori esemplari (nonostante la media si attesti sui 30 secondi).

Ma da dove ptrebbe provenire questa razza? Potrebbe avere davvero qualche relazione con la gallina di Polverara? Ebbene sì, le due razze potrebbero essere effettivamente imparentate tra loro. Infatti il Kosovo confina a sud ovest con l'Albania... Ebbene, nel libro del 1941 di Ferdinando Milone, "L'Albania economica", si può leggere il seguente passo: "Frequente vi è una gallina che somiglia stranamente a quella di Polverara, nel Padovano, e che il Manetti dice potrebbe essere stata qui importata dai Veneziani". Inoltre in questa regione vantava polli dal canto lungo (longcrowers), come ad esempio il Berat dell'Albania, con tarsi verdi ed orecchioni rossi; è evidentemente possibile che la Drenica derivi dall'incrocio della Polverara con animali autoctoni longcrowers, da cui potrebbe aver mutuato oltre al canto anche gli orecchioni rossi. Insomma, queste due razze (Drenica e Polverara), oltre ad aver subito un destino simile, potrebbero avere avuto anche radici comuni.

Ed ecco, per l'incredulità di molte orecchie, il canto di uno di questi galli. Nel video gli animali sono allevati in gabbia: fa decisamente male al cuore vederlo, però questo ha rappresentato ( e rappresenta ancora) l'unico modo con cui alcuni allevatori hanno potuto continuare a selezionare questa razza anche abitando in città, ed evitandone così l'estinzione.

Tutto finito? Non ho nient'altro da dire? Ah, sì, dimenticavo:

BUONA PASQUA!!

Auguri vivissimi a tutti voi, per una felice Pasqua di Resurrezione e Vita!

Fioritura di Hottonia palustris. Foto di Andrea Mangoni.

A volte è un caso, quello che ti fa allungare lo sguardo al di là del vetro dell'autobus di linea che utilizzi tutti i giorni, e che ti permette di vedere per la prima volta uno scorcio, una pianta o un fiore che in 15 anni non avevi mai visto. Ed è stato proprio così che un paio di anni fa, tornando dall'università, mi sono accorto per la prima volta (grazie alla sua esuberante fioritura) di una fantastica popolazione di violetta d'acqua (Hottonia palustris), anche nota come erba scopina.

In verità, l'Hottonia poco ha a che fare con le viole: infatti appartiene alla famiglia delle Primulaceae, di cui è l'unico rappresentante completamente acquatico in Italia. E' una pianta a distribuzione eurosiberiana, ma si tratta purtroppo di una specie davvero in forte rarefazione.

Le foglie finemente laciniate di Hottonia palustris servono da riparo a innumerevoli creature acquatiche. Foto di Andrea Mangoni.Infatti queste piantine delicate, dalle foglie finemente laciniate, che servono da riparo ad innumerevoli creature acquatiche (tanto che un altro nome che talvolta le viene affibbiato è millefoglio d'acqua), vivono in fossi e canali puliti e ombrosi, dalle acque calme e spesso povere, e risentono in maniera incredibile dell'inquinamento cui i nostri corsi d'acqua interni sono sottoposti. Oramai estinta in molte regioni (ad esempio il Trentino Alto Adige) e rarissima lungo la costa tirrenica, la violetta d'acqua corre il concreto rischio (assieme a tante altre piante acquatiche) di diventare un ricordo in buona parte del proprio areale.

Potrete dunque immaginare la gioia di ritrovarne una popolazione in piena fioritura! Mi presi una mattina intera per potermi gustare lo spettacolo e fare qualche foto, sebbene la distanza dalla riva e la asprezza di quest'ultima mi fossero d'ostacolo. A fine aprile la pianta, che per tutto l'anno cresce sommersa, produce scapi fiorali emersi alti fino a 40 cm che portano fiori ermafroditi riuniti in verticilli sovrapposti, di colore bianco sfumato al rosa o al violetto, e dal centro giallo. Mal sopporta le alte temperature, ed è proprio per questo che si può trovare in acque profonde e ombrose. Gli steli possono esser lunghi anche 80 cm, e producono con monotona regolarità radici che li ancorano al fango del fondale.

Purtroppo, è notizia di un paio di giorni fa, la colonia che vedete fotografata qui non esiste più. In soli due anni l'intera popolazione è stata distrutta dal degrado del fossato in cui viveva, e alla mia recentissima visita non esisteva nel canale nemmeno una pianticella.

Potrebbe essere un ben misero finale, però... Però l'anno scorso, avendo capito che la colonia stava rapidamente risentendo dell'inquinamento, avevo preso adeguate precauzioni: avevo prelevato infatti, assieme a un rappresentante del locale circolo di Legambiente, dal gruppo più folto di piante 4 steli, che, trapiantati in un altro fossato, profondo e isolato, hanno dato ben presto vita ad altre 4 colonie! Per cui, almeno per questa volta, queste pianticelle non correranno pericolo... ma per quanto??

Una colonia di Hottonia palustris sfiora la superficie dello stagno. Foto di Andrea Mangoni.