Tra i tanti cambiamenti che il territorio del Veneto ha visto negli ultimi decenni, uno ha riguardato la quasi totale scomparsa di una tipologia di abitazione che aveva invece caratterizzato il paesaggio agreste delle campagne del veneziano, del trevisano e del padovano: il casone.
Le origini del casone si perdono nel tempo. La struttura semplicissima dei primi casoni di valle, due falde di tetto spioventi a formare un ricovero più o meno temporaneo, si è nei secoli arricchita sempre più, fino a trasformarsi in un modello abitativo di successo che ha funzionato senza particolari cambiamenti fino a metà del XX secolo.
Il casone ha, fin dalla sua origine, una struttura molto semplice. La sua caratteristica in assoluto più peculiare è il tetto, formato di fasci di cannuccia palustre (Phragmites australis) e paglia di grano disposti su una struttura in legno, a formare delle falde piuttosto inclinate per favorire lo scolo delle acque. Esteticamente questa caratteristica li rendeva probabilmente simili a certi antichi cottage inglesi. Quadrangolari nel padovano, più allungati nel trevisano, essi avevano nelle loro più recenti incarnazioni mura in mattoni che sostenevano il tetto e che contenevano gli ambienti abitativi, disposti a spirale nel padovano e linearmente nel trevigiano. Quasi sempre ad un piano, uno degli elementi fondamentali dei casoni era l'orientamento dato all'abitazione, fondamentale per garantire adeguati calore e luce, e soprattutto in base alle conoscenze sui venti dominanti, fattore questo di estrema importanza per un corretto tiraggio del camino: il rischio reale era infatti quello di incendio, provocato magari da frammenti di brace aspirati fino al tetto costituito di materiale vegetale. Ovviamente, queste strutture necessitavano per la loro stessa natura di costanti restauri e riparazioni, specie nella parte del tetto.
Un tempo, la trave principale del tetto era in pioppo, e nel padovano era abitudine mettere a dimora uno di questi alberi alla nascita di ciascun figlio maschio, per avere, al momento del suo fidanzamento, una piante dalle dimensioni adatte per allargare la dimora familiare. In seguito però i tronchi che formavano la struttura principale del tetto del casone vennero ricavati da abeti rossi ed altre conifere, che grazie ai commerci della Serenissima venivano importati dalle Dolomiti e che si rivelavano estremamente preziosi grazie alle loro maggiori durata e resistenza contro gli attacchi degli xilofagi. Il rimanente legname che costituiva trama e ordito del legno veniva ricavato da olmo, pioppo, salice ed altre essenze autoctone.
Nel corso del XX secolo, poi, l'architettura dei tradizionali casoni finì per cambiare, così come il loro utilizzo. Infatti ben presto iniziarono a fare bella mostra di sé case che univano un'architettura più moderna e complessa pur integrando ed assorbendo elementi tipici del casone; ad esempio, in alcune case di campagna parte del tetto continuava ad essere costituito di cannuccia palustre, mentre il resto era fatto di coppi. Sia quel che sia, i casoni perdettero lentamente ma inesorabilmente il loro ruolo principale nel panorama delle costruzioni rurali, per lasciare il posto a case più solide e moderne, spesso costruite a due piani, con tetto in coppi. Dapprincipio relegati al ruolo di ricovero per attrezzi o animali, in seguito essi vennero completamente abbandonati e distrutti. Ora come ora, nel padovano sono rimasti non più di 6 casoni, 4 dei quali nel comprensorio di Piove di Sacco. E proprio in questa città è possibile ancora vedere e visitare alcuni casoni meravigliosamente conservati e restaurati; ma di questo parleremo in un prossimo post.
Le foto d'epoca dei casoni pubblicate in questo post sono tratte dal libro di L. Rocco, Vie di terra, d'acqua, di ferro e d'aria (vedi bibliografia).
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Bibliografia
4 commenti:
L'ultima immagine mi ha colpito proprio per quei 2 casoni che si vedono lungo la strada. Mi impressiona (e un po' mi rattrista) vedere da quel libro da cui hai tratto la foto come era il nostro territorio.
...vero? Era davvero bello. La foto è presente anche, in grande, vicino alla sala consigliare di Camponogara e si possono vedere bene i metodi di coltivazione, con le viti "matirtate" e gli orti fin sulla strada...
Riuscire a recuperare parte di quel sapere e di quelle usanze è sempre il mio sogno. ciao!
PS lo mettiamo su il pollaio ;-)?
Se... il pollaio... dovrei chiedere che intervengano con un decreto legge per bloccare le attività degli enti vari per qualche tempo, un paio di mesi e poi possiamo ripensare al pollaio. Il 6 dicembre si votano i consorzi (non ti dico che lavoro), a fine marzo le regionali (e siamo già in opera in tutta la riviera)... che posso dire?
Intanto lo immagino.
...coraggio, Elisa!! Nel frattempo io continuo a cercare e conservare le varietà antiche di questi animali da cortile - hai visto le anatre mute dell'ultimo post? Ceppo autoctono, antico, recuperato quasi in centro a Camponogara...
Intento buon lavoro e non massacrarti troppo. ciao!!
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