Il Carnevale della Biodiversità -1 - Infinite forme bellissime

Epipactis atrorubens. Foto di Andrea Mangoni.
Epipactis atrorubens. Foto di Andrea Mangoni.
C'è qualcosa di grandioso in questa idea della vita, con le sue infinite potenzialità, originariamente infuse dal Creatore in pochissime o in una sola forma; e, mentre questo pianeta ha continuato a roteare seguendo le immutabili leggi di gravità, da un inizio così semplice infinite forme, sempre più belle e meravigliose, si sono evolute e tuttora si evolvono.
Charles Darwin
E' con questa frase di Charles Darwin che si conclude il volume "L'origine delle specie"; è con questa stessa frase che si apre il Carnevale della Biodiversità, con cui dodici blogger italiani cercheranno di farvi appassionare sempre più a questo argomento, facendovi conoscere la bellezza e la grandezza insita in questa "banca" della vita.
“Infinite forme bellissime"... un magnifico argomento per inaugurare il nostro Carnevale. Sì, ma nel nostro caso, di cosa potrei parlarvi? Potrei parlarvi dell'impossibilità applicativa ed esistenziale di quell'aggettivo, “infinito”, o cercare di inquadrare i concetti di “bellezza” o “biodiversità”... Invece, per ora mi limiterò molto più semplicemente a parlarvi di alcuni organismi che sembrano in qualche modo racchiudere pur con debite limitazioni tutte e tre le parole del titolo. Oggi riesumerò infatti un argomento che aspettavo di trattare in primavera, ma visto il grigiore di questo periodo sarà perfetto per ravvivare le nostre piovose giornate invernali. Vi parlerò infatti di alcune magnifiche piante, le orchidee.
Una magnifica orchidea tropicale. Foto di Andrea Mangoni.
Vi sembra scontato parlare di orchidee? Oh, vi assicuro che non lo è. Si può scrivere e descrivere un mondo intero attorno alle orchidee senza che venga meno la curiosità verso questi organismi spettacolari. Essi rappresentano uno degli esempi migliori per parlare di biodiversità, bellezza, e varietà.
Infinite forme bellissime. Sì, le orchidee rappresentano nel mondo reale una buona approssimazione di questi concetti che a volte sembrano appannaggio di un mondo astratto. In più, sono legate al nome di Darwin, che le studiò a più riprese.

Epipactis helleborine. Foto di Andrea Mangoni


Cominciamo col dire che, se ovviamente le specie di orchidee non sono infinite, sono davvero tante. La famiglia Orchidaceae, dell'ordine delle Asparagales, conta infatti oltre 20.000 specie, e ne vengono scoperte ogni anno di nuove. Di queste, moltissime sono specie tropicali o subtropicali, ma non manca tra di loro chi non disdegna i gelidi territori dell'Artide e chi arriva quasi a lambire l'Antartide, virtualmente unico continente privo di orchidee. Le dimensioni? Variabilissime. La più piccola specie nota, scoperta di recente, appartiene al genere Platystele, ed è una minuscola epifita scoperta in Ecuador nel 2009 (tra l'altro, viveva sulle radici di un'altra orchidea!) che conta fiori di appena 2 mm di diametro; tra le orchidee più grandi invece le coloratissime orchidee tigre (Grammatophyllum speciosum Blume, 1825), chiamate anche orchidee canna da zucchero, che possono raggiungere e superare la tonnellata di peso, i cui grandi fiori di oltre 10 cm di diametro sono raggruppati in racemi alti fino a tre metri. I colori dei fiori? Un arcobaleno, come chiunque abbia avuto modo di vedere una sfilza di ibridi di Phalaenopsis davanti a sé in un vivaio. Le orchidee rivestono importantissimi ruoli nelle economie di certi Paesi: a parte infatti il commercio di esemplari destinati al mercato florovivaistico, non bisogna dimenticare che anche la profumatissima vaniglia viene prodotta a partire dai frutti di un'orchidea rampicante, la Vanilla parviflora, originaria del Messico ma esportata nelle regioni tropico-equatoriali di mezzo mondo per fini produttivi.

Angraecum sesquipedale. Fonte: Wikipedia
Le forme assunte dai loro fiori sono le più disparate, eppure sempre affascinanti e – vien logico da dire – bellissime. La corolla del fiore delle orchidee è formata da tre sepali e tre petali, uno dei quali detto labello prende spesso forma diversissima da specie a specie; dotato sovente di uno sperone cavo alla propria base, ha assunto con l'evoluzione il ruolo di “attrattore” di pronubi, in alcuni casi assumendo forme e colori veramente eccezionali. Proprio uno sperone d'orchidea ci riporta al buon vecchio Charles, che ha gentilmente prestato la sua frase per il titolo di questo post. Nel 1862 infatti Darwin, studiando il fiore di una bellissima orchidea malgascia, l'angreco o stella di Betlemme (Angraecum sesquipedale) si rese conto di una cosa piuttosto notevole: aveva infatti uno sperone lungo la bellezza di 25 cm. Visto che come la maggior parte delle altre orchidee era impollinata da insetti... come facevano questi a raggiungere il fondo dello sperone, vista la sua conformazione eccezionalmente lunga? Si trovò così a formulare l'ipotesi che esistesse una falena con una spiritromba sufficientemente lunga da arrivare a compiere l'impollinazione stessa; peccato che quella falena non esistesse, o meglio peccato che non fosse all'epoca nota alla scienza. Questa falla nelle conoscenze entomologiche e botaniche venne finalmente meno quando nel 1903 gli entomologi Rotschild e Jordan scoprirono l'esistenza di una particolare sottospecie di falena sfingide africana che effettivamente svolgeva il ruolo di impollinatore per questa specie: la Xanthopan morgani ssp. praedicta, che dovette così il nome subspecifico ad un chiaro omaggio alla previsione effettuata da Darwin vent'anni prima.
Siamo però abituati a pensare alle orchidee come a specie bellissime ed appariscenti... ma tropicali. Non pensiamo - se non raramente - al fatto che esistono anche da noi piante di questa famiglia, e anche parecchie! A seconda delle bizzarrie e delle revisioni che subisce la tassonomia di queste piante, vengono contati fino a 29 generi e 189 tra specie e sottospecie; l'ultima segnalata sarebbe Ophris murgiana, salita al rango di specie solo nel 2009. E non parliamo poi degli ibridi spontanei!
Orchis morio. Foto di Andrea Mangoni.
Orchis morio. Foto di Andrea Mangoni.
Molte delle orchidee spontanee italiane sono accumunate dal fatto di essere geofite, di avere cioè organi ipogei che permettono loro di sopravvivere anno dopo anno e di moltiplicarsi. Per alcuni generi, tali organi assumono la forma di due rizotuberi, vagamente simili ad un paio di testicoli, e proprio da qui viene il nome di orchidea: orchis significa infatti in greco “testicolo”, ed Orchis è pure uno dei generi italiani più belli e rappresentativi. Le orchidee italiane hanno di norma infiorescenze dalle forme più svariate: allungate come bastoncini fioriti, spiraleggianti oppure coniche come una turritella, dense di fiori oppure lasse. Dipendono in genere dagli insetti per la loro impollinazione, ed in alcuni generi per favorire l'arrivo dei pronubi l'evoluzione ha portato il labello a modificarsi in maniera incredibile. Le appartenenti al genere Ophrys, infatti, sono fiori privi di nettare, che hanno raggiunto un gradi di specializzazione, o meglio di coevoluzione con i propri pronubi davvero notevole. Abbiamo detto che non hanno nettare... cosa offrono allora agli insetti per attirarli, se non il cibo? Beh, offrono l'altra “spinta vitale” principale: il sesso. Il labello di queste piante infatti è di norma scuro, peloso, dotato di zone traslucide (specchio) che richiamano alcune aree glabre del corpo di certi insetti: insomma, somigliano parecchio all'addome delle femmine di certi imenotteri (api solitarie, sfecidi, vespidi). Se non bastasse l'aspetto, per convincere l'esapode maschietto, questo viene preso letteralmente per il... naso: il fiore produce infatti sostanze simili ai feromoni prodotti dalle femmine nel periodo dell'accoppiamento. Così l'imenottero, definitivamente gabbato, si precipita ad accoppiarsi col fiore, ricoprendosi di polline. Resosi conto dell'errore, si allontana sdegnato ma finisce presto per commettere di nuovo lo stesso sbaglio... fecondando così un altro fiore. E per evitare... errori, ogni specie di Ophrys attira uno specifico pronubo.
Ophrys bertolonii. Foto di Andrea Mangoni.
Ophrys bertolonii. Foto di Andrea Mangoni.
Se questo aspetto della riproduzione delle orchidee vi sembra spettacolare, aspettate di sentire il resto. Le nostre specie autoctone hanno infatti sovente una caratteristica peculiare: producono tantissimi semi, ma minuscoli... Così piccoli che mancano di albume e che hanno un embrione appena abbozzato. Insomma, sono semi che dispersi nell'ambiente hanno un'unica possibilità di sopravvivere: formare una micorriza con un minuscolo fungo (solitamente del genere Rhizoctonia) che fa penetrare le proprie ife nel seme e che fornisce ad esso tutte le principali sostanze nutritive, fino a che non appaiono le prime foglioline. Il bello è che questo può accadere dopo molto tempo dall'inizio della simbiosi micorrizica: in alcuni casi, persino dopo dodici anni! Tra l'altro, non è chiaro fino a che punto la simbiosi sia mutualistica: se in molti casi il fungo trova poi da vivere nelle radici dell'orchidea, una volta che la pianta si è sviluppata, in altri invece pare che l'interazione tra fungo e orchidea finisca con la crescita di quest'ultima.
Il giusto approccio davanti ad un campo di orchidee: meraviglia, rispetto e macchina fotografica!
In ogni caso, è' anche a causa di questo ciclo vitale dalle primissime fasi lunghe e complesse che le orchidee spontanee sono di norma ottimi indicatori biologici: possono di norma compiere il loro completo ciclo vitale solo in ambienti ecologicamente stabili e maturi. Le orchidee sono, giustamente, protette dalla Convenzione di Washington o CITES, che ne vieta detenzione, commercio e raccolta a meno che non si tratti di specie riprodotte in condizione controllate. Si tratta di un'opera meritoria che impedisce legalmente che qualcuno possa decidere di portarsi a casa qualcuno di questi gioielli per metterselo in giardino. Questa protezione però si applica in caso di commercio, mentre se viene distrutto un habitat in cui vivono delle orchidee... la cosa passa pressoché inosservata.
Esterno. Le rive di un canale a Codevigo (PD). Siepi di salici, pioppi e robinie, separano il canale da un argine ricoperto da un prato stabile ricchissimo di fiori spontanei.
L'habitat incontaminato. Foto di Andrea Mangoni.
Tra salvie, papaveri e brugole cresce una meravigliosa colonia di Neotinea tridentata. Decine e decine di esemplari, piccoli, medi e grandi, che sbucano rosei tra l'erba alta. Uno spettacolo magnifico. Mi aggiro tra i prati, scatto fotografie, resto un po' a godere il tramonto.
Neotinea tridentata. Foto di Andrea Mangoni.
Neotinea tridentata. Foto di Andrea Mangoni.
Ritorno l'anno dopo. La siepe di salici non c'è più. Tutto eliminato per ottenere pellet da stufe. Il terreno intorno scavato ed asportato per uno spessore di 30 e passa centimetri. Al posto del prato stabile, una selva di rovi e luppolo. Cerco le orchidee che mi avevano affascinato così tanto... nulla di nulla.
Lo stesso habitat delle foto sopra, totalmente distrutto. Foto di Marco Uliana.
Poi - per fortuna! - lo trovo: poco dopo lo scempio, dove ricomincia il prato stabile, ecco un ultimo magnifico esemplare di Neotinea. Non mi rimane che sperare che questo piccolo gigante possa piano piano ricolonizzare, con la sua discendenza, ciò che rimane di quello che era un habitat magnifico.
TROVERETE UN POST RIASSUNTIVO CON TUTTI GLI INTERVENTI DI QUESTO PRIMO APPUNTAMENTO COL CARNEVALE DELLA BIODIVERSITA' NEL SITO DE
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Bibliografia
Darwin C., I vari espedienti mediante i quali le orchidee vengono impollinate dagli insetti, Pisa, ETS, 2009.
Girelli, E., Le orchidee della Val d'Astico e della val Leogra nel vicentino. Vicenza, Neri Pozzi, 1987.
Lazzari, C., Le orchidee spontanee del Veneto. Sommacampagna, Cierre Edizioni, 2008.
Ledford H., The flower of seduction. Nature 445: 816-817, 2007.
Medagli, P., & Cillo, C., Ophrys murgiana Cillo, Medagli & Margherita, specie nuova delle Murge (Puglia, Italia meridionale). GIROS notizie 41: 23-25, 2009.
Neotinea tridentata. Foto di Andrea Mangoni.
L'ultimo splendido esemplare di Neotinea tridentata dell'habitat visto sopra. Foto di Andrea Mangoni.

3 commenti:

strega reticente valverde ha detto...

che meraviglia...GRAZIE per il post e le foto...
un caro saluto a te e famiglia e tanti auguri di Buone Feste per il Santo Natale
ciao
val

falecius ha detto...

Davvero interessante. Una domanda: come mai i funghi inseriscono le ife nel seme dell'orchidea, se non ne ricavano nessun tipo di vantaggio? Mi chiedo anche come si sia evoluta una simile forma di mutualismo (esito a parlare di simbiosi, anche se la cosa mi sembra complicatina). Ad occhio (parlo da ignorante della materia) mi sembra possibile una situazione in cui in passato l'interdipendenza tra fungo ed orchidea era più stretta ed adesso si stia allentando, è possibile o dico una stupidaggine?

Andrea Mangoni ha detto...

ciao Falecius,
non so dirti quale meccanismo (mi vien da pensare ad un segnale chimico) sia coinvolto nell'individuazione dei semi da parte delle ife e nel loro penetrarvi all'interno. Il rapporto tra orchidee e funghi simbionti in realtà è molto complesso: a fronte di specie che necessitano assolutamente del fungo per germinare in natura e che continuano poi ad ospitarlo nei propri tessuti da adulte, morendo se il fungo cessa di trovare nel terreno le condizioni ideali per vivere, ve ne sono altre che sembrano invece servirsene spudoratamente per poi tornare a vivere "ognun per sè e Dio per tutti". Ancor più complesso è secondo me vedere una sorta di "allentamento" del rapporto, anche perchè apparentemente generi differenti possono presentare specie con comportamenti simili. Quello che posso dirti è che il rapporto simbiotico tra funghi e orchidee è causa di grossi grattacapi nella riproduzione in cattività delle stesse, perchè nell'impossibilità di offrire il giusto fungo ai semi occorre dare substrati controllati e ricchissimi di nutrienti, assolutamente sterili perchè altrimenti i semi vengono sopraffatti dalle ife delle muffe. E qui viene il secondo dubbio: possibile che in natura i semi debbano giocare alla roulette russa, letteralmente, finendo in pratica in un terreno e "pregando" d'esser finiti vicini al fungo giusto e non in un covolo di muffe di malaffare? Sì, pare proprio che sia possibile. Del resto un motivo per cui hanno evoluto un sistema di moltiplicazione basato sulla produzione di migliaia di semi per pianta deve pur esserci, no? Ricorda parecchio la produzione di migliaia di uova da parte di certi pesci marini. Comunque sia, se riesco a trovare qualche articolo interessante a proposito non mancherò di parlarne.
@ Val: grazie! Mille auguri anche a te!