In questi giorni ho ricevuto diverse domande sia sul perché io abbia voluto riprendere un gruppo di gallina Boffa dopo tanti anni, sia sul modo in cui si studiano e si ricercano le antiche razze avicole. Ho deciso di prendere due piccioni con una fava e di rispondere a entrambi i quesiti, visto che essi sono profondamente intrecciati. Ho ripreso la Boffa perché sono molto legato a questa razza. L'ho cercata con caparbietà per anni, convinto che qualcosa dell'antica stirpe potesse essere rimasto, e alla fine il tempo mi ha dato ragione. Nel 2009 infatti ho riportato in Veneto, dopo un esilio umbro durato oltre 50 anni, il gruppo di riproduttori che si vede in questa foto. Ma come ero arrivato a questo?
Ovviamente con impegno e anche con un pizzico di fortuna: dopo aver visto delle foto molto interessanti apparse su un forum ho contattato un avicoltore perugino che allevava un gruppo di questi animali da oltre 50 anni, eredità di una zia scomparsa. Ma era possibile avere una ragionevole certezza che si potesse trattare proprio della Boffa? Qui entra in gioco la ricerca storica in campo avicolo e alcune nozioni di genetica dei polli. Vediamo come. Per conoscere le razze tipiche di un territorio, normalmente, possiamo utilizzare almeno due canali: libri e riviste di Avicoltura, che fanno spesso luce su come certe razze erano nate, si erano diffuse e su quali fossero le loro caratteristiche, e le testimonianze storiche dei contadini anziani, che possono raccontare dettagli preziosi non presenti in letteratura.
Procedendo in questo senso, si cerca di ampliare la propria visione sempre di più, e sempre attraverso fonti meno "convenzionali", come ad esempio libri antichi di geografia, economia, letteratura, poesia; foto storiche prese da vecchi album di famiglia, in cui magari si scorge la sagoma di qualche volatile, dietro gli sguardi e le pose austere dei nonni in posa; e poi ancora quadri, nature morte, incisioni, bassorilievi e statue, conservati in pinacoteche, collezioni private, chiese e oratori, che possono riservare incredibili sorprese. Tutti questi dati vengono presi, analizzati, ponderati e vagliati attraverso il crivello delle nozioni che abbiamo sulla genetica del pollo, che ci permettono di intendere se ciò che abbiamo di fronte possa comprovare l'esistenza di una razza antica e per capire soprattutto se i soggetti eventualmente ritrovati possano essere compatibili con i dati raccolti in precedenza.
Nel caso della Boffa, gli animali che mi trovai di fronte nel 2009 non solo rispecchiavano l'identikit che mi avevano lasciato alcuni contadini ottuagenari padovani, ma sembravano usciti dalle foto che avevo ritrovato in alcune riviste degli anni '30 del secolo scorso, come quella in bianco e nero di questo post. Infine, tramite un'altra lettura avevo potuto confermare che la zona da cui provenivano gli zii che avevano dato a quel contadino i primi capi era proprio una di quelle in cui la Boffa era stata diffusa dal Pollaio Provinciale di Padova.
Ma la ricerca ovviamente non finiva qui. Infatti restavano tanti altri punti da chiarire: quali livree esistevano? Che aspetto avevano i primi soggetti di questa razza, e soprattutto, da quanto tempo si aggiravano nelle campagne padovane? Ovviamente anche a queste domande si poteva trovare risposta: in una vecchia foto scattata in un cortile a Roncajette emerse la prova della presenza della Boffa nera; e dagli scritti del compianto Italo Mazzon, ecco uscire un'incisione ottocentesca che raffigurava una testa di Boffa e che faceva maggior luce sull'origine di questa razza, frutto dell'incrocio tra polli ciuffati e barbuti (Polverara, Padovana) con poli mediterranei locali. Ma le sorprese non erano finite: continuando le ricerche, ecco che in un libro di ornitologia pubblicato nel XVIII secolo compare una bella Boffa, ancora con caratteristiche di transizione, chiamata col nome di gallina patavina barbuta. L'immagine, che vedete in foto, rappresenta la più antica testimonianza della razza? Probabilmente no: in un quadro antecedente di un pittore fiammingo operante in Veneto ecco comparire infatti una gallina simile in tutto e per tutto alle moderne Boffe.
Insomma, la ricerca storica diventa appassionante, coinvolgente, intrigante come la ricerca del Graal da parte di Indiana Jones. Ma il premio, a volte, è quello di diventare custodi di un frammento di storia. Ed è per questo che ho deciso di riprendere la Boffa: per tornare a contribuire a selezionare e a traghettare nel 21° secolo l'eredità dei nostri avi.
Nel corso del tempo non mi sono dedicato solo alle razze autoctone, ma ho lentamente lavorato anche a qualcosa di mio, delle gallinelle particolari. Nel mio allevamento sono presenti da tantissimo tempo, dal 2008 per la precisione. Sono le nanette, frutto di incroci, spesso ottime per la cova. Hanno un retaggio complesso, non c'è che dire: già quando le presi nelle loro vene scorreva sangue di Olandese nana, Combattente inglese nano, Bantam, Sebright. Nel mio allevamento si aggiunse il sangue della Polverara, e quei primi soggetti nati da me portarono l consapevolezza di voler lavorare a una "razza" mia. Ma quali erano le caratteristiche che volevo? Innanzitutto, volevo animali con la cresta a cornetti. Era una caratteristica che amavo. Inoltre desideravo che avessero il ciuffo, almeno in parte. Infine, visto che erano nati dei magnifici galletti a piumaggio femminilizzato, pensai sarebbe stato interessante provare a fissare tale carattere nelle generazioni a venire.
In effetti, non avevo spazi e tempo per lavorare con troppa cura a questo progetto: selezionai perciò, anno dopo anno, i soggetti che per forma e caratteristiche più si avvicinavano alla mia idea, lasciandoli liberi di riprodursi liberamente nel frutteto. Ma la situazione non poteva durare a lungo, ovviamente. Infatti mi ritrovai a tenere gli animali in recinto e in gabbia, intensificando gli sforzi sulle livree nera e sparviero. Quest'anno ero arrivato ad avere le prime coppie di esemplari con cresta a cornetti perfettamente fissata, oltre a soggetti con tale carattere in eterozigosi; ma la sfortuna ha fatto sì che dopo l'attacco di un predatore sia rimasto solo un galletto con questa tipologia di cresta e piumaggio femminilizzato. L'ho accompagnato a tre femminucce con cresta a cornetti in eterozigosi, una delle quali dotata di ciuffo. Non mi resta che attendere la prossima generazione di queste piccole, per compiere un nuovo passo nella selezione di questi polli che considero davvero miei.
Esiste un breve lasso di tempo, tra ottobre e novembre, in cui la muraglia di cannuccia di palude (Phragmites australis) che circonda uno dei fossati della mia proprietà vira dal verde acceso al giallo. Un giallo intenso, potente, che al tramonto assume una tinta calda e avvolgente, che pervade tutto esattamene come questa pianta riesce a pervadere e penetrare gli specchi d'acqua, creando vere muraglie viventi fittissime (da phragma, che in Greco indicava il muro o lo steccato, deriva il suo nome generico). Ma sono molte le dote nascoste di questa pianta apparentemente così umile, seppure invasiva. Infatti nelle barene della laguna di Venezia questa pianta era enormemente apprezzata. I fusti, lunghi fino a oltre 3 metri, venivano raccolti, privati delle foglie e utilizzati dalle popolazioni locali per la costruzione dei tetti dei casoni, le abitazioni tradizionali del veneziano, padovano e trevisano, di cui usufruivano contadini e pescatori. Raccolte in fasci, legate strettamente le une alle altre, lentamente impermeabilizzate dagli strati di fuliggine esalata dalla legna del focolare interno, le cannucce di palude formavano tetti caratteristici, scomparsi da buona parte del territorio ma di cui troviamo ancora rari esempi come in Saccisica, a Piove di Sacco, e nella laguna che circonda Caorle.
Ma in molte località d'Europa la cannuccia palustre aveva trovato il medesimo impiego, basti pensare alle coperture dei molini a vento olandesi. Certo però queste piante possono offrire ancora impieghi inattesi. Del resto la Phragmites australis è una pianta eccezionalmente utile in acquacoltura, grazie alle grandi doti fitodepuranti: può infatti aiutare nell'eliminazione degli inquinanti di origine organica, il che la rende una fantastica alleata di chi voglia costruire un impianto di acquacoltura o una biopiscina all'aperto. I rizomi striscianti si propagano rapidamente, e la morte della parte aerea arricchisce di materiale organico prezioso il terreno. Anticamente poi era utilizzata per sedare la febbre e curare alcune malattie da raffreddamento. In America del Nord i nativi ne consumavano i germogli bolliti e ottenevano una farina dai semi. Infine, molte sono le specie di uccelli che possono ancorare e nascondere nel fitto del canneto i propri nidi, dal tarabuso al basettino. Ma per il momento, per me rimarrà soprattutto il bel muro giallo che mi ha accolto lungo il fossato, qualche giorno fa, in una giornata di novembre piena di sole.
I ragni ci accompagnano da sempre. Non c'è virtualmente una sola casa che non ne abbia ospitato almeno uno, eppure raramente la loro presenza viene apprezzata appieno. È un peccato, perché sono eccezionali predatori di un'infinità di piccoli invertebrati nocivi. E la varietà di tecniche di caccia evolute in centinaia di milioni di anni da questi aracnidi è veramente incredibile. Alcuni ragni, ad esempio, non tessono ragnatela ma cacciano all'agguato e inseguendo direttamente le prede, che poi catturano balzando loro addosso con salti prodigiosi. Si tratta dei salticidi, che si possono incontrare sui muri delle case nella bella stagione, come questo bell'esemplare di Philaeus chrysops, che con gli enormi occhi stava cacciando mosche sul terrazzo di casa mia. Alcuni ragni invece realizzano tele di grandi dimensioni, regolari, tese tra le piante e le rocce a intercettare ogni insetto che vi voli in mezzo. Il ragno, come in questo caso una femmina di Argiope bruennichi, si precipita sulla preda e la avvolge con fili di seta resistenti, avviluppandola strettamente prima di mettere in azione i cheliceri con cui inietterà il veleno e ne suggerà poi i liquidi vitali.
Non sempre, poi, le tele sono regolari e ben visibili. Molti ragni tessono tele che somigliano superficialmente a un ammasso di fili poco coordinato, ma ovviamente non è che un'impressione: si tratta infatti di trappole letali per numerosi animali, non solo insetti ma anche, a volte, piccoli vertebrati. È il caso di questa Parasteatoda, che in un angolo dell'ingresso della mia palazzina ha catturato una piccola lucertola muraiola (Podarcis muralis), riuscendo a immobilizzarla e a nutrirsene senza particolari problemi. Se pensate che questi animali sono presenti sulla terra da 300 milioni di anni, capirete che senz'altro meritano più considerazione di quella che di solito riserviamo loro, tra un urlo spaventato e una ciabattata.
Quando ero piccolo, c'era un animale che dominava incontrastato il pollaio di zio Fernando: un grosso maschio di anatra muta (Cairina moschata), che spadroneggiava su tutti gli altri avicoli. Ricordo gli avvertimenti dello zio: "Stàghe distante, che chel màsaro xé cativo" (Stagli lontano, che quel maschio di anatra è cattivo). Eppure quella meravigliosa creatura nera e bianca, con la sua testa ebano e rossa e il ciuffo in testa, mi piaceva da morire. È per questo che anni dopo, quando ho avuto il mio pollaio, ho ripreso qualche soggetto di questa specie. E dopo alcuni anni di stop, da due giorni, ho una nuova coppia. L'anatra muta non è una specie europea: viene infatti dal Sud America, ed è stata importata in Europa nel XVII secolo, diffondendosi molto presto grazie alle sue buone doti produttive e alla sua rusticità.
In effetti, rispetto ad altri anatidi si adatta bene a vivere anche senza un vero e proprio stagno cui poter accedere: per farla stare in salute e mantenerne il piumaggio in ordine basta anche un grosso catino o una mezza notte bassa, con un accesso facilitato. Gli animali ne godranno immensamente e basterà una frequente pulizia per non avere grossi problemi. Sono animali rustici, per cui una tettoia bassa potrebbe bastare come riparo, anche se spesso e volentieri le anatre mute amano dormire direttamente all'aperto. Le femmine sono ottime chiocce e si prendono cura amorevolmente delle uova arricchendo col proprio piumino il nido prescelto poco prima di mettersi a covare. L'incubazione dura 35 - 40 giorni, sensibilmente di più rispetto al tempo richiesto dalle uova delle anatre derivanti dal germano reale. I maschi possono essere fieramente aggressivi, e preferisco o godere di un piccolo harem. In caso non abbiano femmine della propria specie a disposizione, potremmo vederlo tentare di accoppiarsi, spesso con esiti nefasti, anche con galline ed altri avicoli, che rischiano di morire schiacciati o annegati. Ma la loro bellezza, la rusticità e i richiami bassi, quasi inudibili (che hanno loro valso appunto il nome di "muta") le rendono animali stupendi da allevare.
L'inverno porta un manto di brina che imbianca il paesaggio e indurisce il terreno. L'orto solo apparentemente è meno ricco, ma in realtà per chi ha saputo lavorare bene è in pieno rigoglío. L'orto invernale nasce in estate, tra luglio e settembre, con le prime piante di cavoli e cavolfiori piantate e fatte crescere con amore, tra gli attacchi della cavolaia e i bruchi di nottua che le insidiano. Le brassicacee sono le vere, grandi regine di questa stagione. Imponenti, odorose, pronte a offrire alla mensa sapori intensi e nutrienti preziosi: pare aiutino infatti a tenere lontane malattie cardiovascolari, rumori e varie malattie croniche. Ecco perché dunque non dovrebbero mai mancare nel nostro orto invernale. Ma l'orto d'inverno è ricco di altre forme e sapori.
Cipolle invernali e cipollotti continuano a crescere come driadi che allungano le mani al cielo. In questa stagione possiamo risparmiare parte del lavoro di sarchiatura e di eliminazione delle erbacce. Magari potremo sfruttare la paglia rimasta dall'estate per pacciamare le loro "gombine", le loro parcelle di terreno, in attesa di raccoglierli e di gustarli. L'orto d'inverno non è solo verde. Lattughe e radicchi si sfumano di rosso e viola, chi più chi meno, e le foglie più esterne avvizziscono al gelo conservando integro un cuore di foglie compatto e croccante, che aspetta solo di essere raccolto prima che la primavera lo porti ad allungarsi in un fusto destinato ad andare in fioritura. Quest'anno, come ho già avuto modo di dire, non ho potuto piantare in orto invernale. Mi manca, ma ne approfitto per preparare le modifiche che voglio fare ad esso e al pollaio. Per cui, per questi scatti posso solo ringraziare il mio vicino, Antonio, che ha secondo me uno degli orti più belli e ordinati di Camponogara. Grazie infinite!
Novembre - diciamocelo - non è esattamente prodigo di fioriture. Poche sono le specie che si sono attardate così tanto da offrire i loro calici alle ultime giornate di sole, ma essendo arrivate tardi le prime gelate alcune piante ci stupiscono ancora con macchie di colore inattese, a volte da cercare col lumicino tra la vegetazione morente, altre volte invece fieramente svettanti sulle foglie secche. È il caso del ranuncolo comune (Ranunculus acris), che mostra i suoi fiori gialli incurante del fatto che la primavera e l'estate siano passati da un pezzo. I suoi piccoli frutti sono costituiti da acheni lisci ammassati a formare quella che sembra una minuscola pigna, prima verde e poi marrone. I fiori, di un giallo quasi fluorescente, sono piccoli e semplici, con 5 petali. Tutta la pianta è velenosa, e il bestiame tende ad evitarla. Ma in questa stagione i suoi fiori, quando presenti, lo fanno sembrare un piccolo re incoronato d'oro.
Totalmente diversi sono i fiori candidi della Silene alba, che in questa stagione nei miei campi sono davvero poco comuni. Questa pianta è conosciuta in dialetto come "réce de liègore", ovverosia "orecchie di lepre", nome col quale è ben conosciuta in quanto veniva attivamente ricercata a fini culinari. La Silene alba infatti è una stretta parente dei carletti o strigoli (Silene vulgaris), e come questi ultimi se ne consumano le foglie giovani, prima della fioritura, scottandole in padella con aglio, olio e sale, oppure utilizzandole in zuppe e minestre. Ma per ora, passato il momento magico del raccolto, non resta che ammirarne gli ultimi candidi fiori. Totalmente diversa per forma e portamento è l'erba morella (Solanum nigrum), una solanacee infestante che da tarda estate a tutto l'autunno sfoggia sulle foglie nerastre piccoli fiori bianchi e gialli che ricordano - non a caso - quelli di pomodori, patate e melanzane, suoi parenti prossimi. Al contrario di questi ultimi però l'erba morella sembra essere tossica, anche se in alcune parti del mondo pare ne siano presenti sottospecie commestibili le cui bacche nere sono regolarmente utilizzate. Ma non è il caso di provarci con la varietà presente nei nostri campi: potrebbe portare a una intossicazione più o meno grave. In compenso, pare che dall'incrocio di questa pianta con i pomodori si sia ottenuta una varietà di ciliegino neri ricchi in antociani. Insomma, in qualche maniera pare che abbiamo trovato modo di farne uso. In ogni caso, per ora, resta una delle ultime piante a ingentilire la campagna coi propri fiori.
Per un avicoltore la scelta dei riproduttori è il momento più delicato dell'anno, perché influenzerà tutto il lavoro dei 12 mesi successivi. Ma ancor più decisiva è la scelta del gallo, perché in una specie poligamica come il pollo ogni maschio andrà a fecondare anche fino a 10 femmine. Diventa importante dunque cercare di fare la scelta migliore fin da subito, o per lo meno la meno peggio.
Ecco, io a quest'ultima opzione sono ormai abbonato da anni: regolarmente tutti i soggetti migliori e più promettenti muoiono prima di entrare in riproduzione. Che sia un predatore o una malattia, un infarto o un incidente, potete scommettere che io mi troverò a lavorare quasi sempre con le mie seconde scelte. E anche quest'anno è andata - in parte - così.
Il gallo migliore tra i nati del 2020 era un soggetto bianco, con una testa superba, cresta bellissima, barba folta, mantello candido. Unica pecca, la pelle bianca e tarsi ardesia. Ma a questo avrei potuto rimediare perché in eterozigosi, nel suo patrimonio genetico, erano nascosti pelle gialla e tarsi verdi.
Beh, è morto. Da un giorno all'altro, all'improvviso, senza sintomi.
Andato.
Ho deciso quindi di valutare tra le possibili seconde scelte chi potesse essere il predestinato, e ho scelto lui, il soggetto della foto. Quello che mi ha fatto propendere per lui è stata la taglia: alto più dei fratelli nati prima di lui, è quello rimasto più indietro con lo sviluppo. Ovverosia, rispetto agli altri maturerà più tardi, ma diventerà - speranzosamente - più grosso e pesante.
Il ciuffo non posso dire mi piaccia: troppo aperto, sparpagliato, ma devo dargli tempo: le penne stanno ancora finendo di crescere. In compenso ha una barba e dei favoriti magnifici, e gli orecchioni sono candidi.
La cresta a cornetti è molto piccola, ma sembra regolare e perfetta: poiché quest'anno uno dei miei goal sarà quello di fare selezione proprio sulle creste, questa caratteristica me lo rende prezioso. Preferisco di solito galli con corna più sviluppate, ma mettendolo con le femmine giusto dovrebbe darmi animali di aspetto quasi luciferino.
La pelle è gialla, i tarsi verdi ma purtroppo troppo chiari. Pazienza, anche qui mi affiderò alle femmine che gli saranno compagne.
Io cerco sempre però, nei galli, un carattere selvatico e vitale, la capacità di vivere fuori e di sopportare i rigori della brutta stagione.
E lui, al momento, sembra cavarsela bene. Quando lo guardo correre, mi ricorda un Velociraptor, il collo proteso in avanti, la coda ancora incompleta rilevata, al vento, l'occhio feroce fisso davanti a sé.
Ecco, l'occhio.
Sto cercando di fissare gli occhi arancio come da standard nei miei animali.
Ma soprattutto, l'occhio di un gallo di Polverara dev'essere feroce e fiero. E per ora, questo giovane gallo sembra esserlo, entrambe le cose.
E questo lo rende per me di certo un degno candidato, alla fine, al ruolo di sultano del suo harem, come lo avrebbe chiamato a fine ottocento il buon vecchio Italo Mazzon.
L'allevamento al pascolo dei polli, come abbiamo più volte detto, è un toccasana per questi animali che ne guadagnano in salute, vigoria, resistenza alle malattie, minor stress. C'è comunque un particolare riguardante l'alimentazione che non va però sottovalutato: come fornire cibo ai polli al pascolo senza che questo si rovini con l'esposizione a pioggia, guazza, gelo e altre avversità atmosferiche?
In generale si può costruire una piccola tettoia in legno dove sistemare abbeveratoi e mangiatoie protetti dalle intemperie, in modo che gli animali possano però accedervi liberamente. Ma se non pensate di avere sufficienti abilità manuali per autocostruirvene una, ecco che da Novital arriva una interessante alternativa.
Come collaboratore dell'azienda ho potuto infatti testare in anteprima il nuovo modello di cavalletto con copertura antipioggia adatto a proteggere mangiatoie e abbeveratoi destinati ai polli al pascolo. Il cavalletto a tre gambe è equipaggiato con una copertura il plastica piramidale dotata di un'ampia apertura a zip su un lato, che permette la ricarica della mangiatoia senza problemi. La catena centrale permette di appendere la mangiatoia o l'abbeveratoio alla giusta altezza, che equivale di solito all'altezza media della testa dei polli che alleviamo. In questo modo gli animali sprecheranno molto meno cibo e per terra rimarrà poco per roditori e affini. Attenzione anche a posizionare la mangiatoia in modo che ma copertura sia sufficientemente vicina, in modo che non piova di stravento e che non si bagni quindi il cibo.
Il risultato al momento è ottimo: gli animali si sono abituati al nuovo sistema di somministrazione del cibo in un paio di giorni, e al momento nonostante qualche pioggia e la guazza notturna il cibo si mantiene in ottime condizioni e la mangiatoia non si bagna. Io l'ho posizionata sotto un albero da frutta, e la copertura impedisce anche a foglie morte e detriti di finire dentro la mangiatoia. Vi lascio con un video in cui mostro montaggio e utilizzo di questa bella soluzione, pratica da utilizzare. Per maggiori informazioni sul prodotto potete inviare un messaggio privato agli account Facebook e Instagram di Novital. A presto!
Quest'autunno, nell'orto, sta svettando un piccolo gigante. Ha foglie grandi e spine lungo tutti gli steli: si tratta di un esemplare di Solanum torvum, una solanacea che raggiunge dimensioni davvero ragguardevoli. E come ci è arrivata questa specie nell'orto? È presto detto: S. torvum è comunemente usato come portainnesto delle melanzane, cui conferisce vigore e una certa protezione contro le malattie delle radici. Nel caso specifico, una delle nostre piante di melanzana si è spezzata quasi alla base a causa del peso eccessivo dei frutti e da ciò che ne restava il portainnesto ha prodotto nuovi germogli vigorosi che hanno appunto fatto nascere la pianta che ora possiamo ammirare.
S. torvum può sopravvivere fino a 4-6 anni, riuscendo a tollerare temperature invernali attorno ai - 6°C. Quest'inverno quindi lo proteggerò dalle gelate abbondanti e in primavera proverò a reinnestarlo, piuttosto in alto, con nesti di varietà diverse di melanzana: lo scopo sarà quello di ottenere un vero e proprio alberello di S. torvum che produca ortaggi ad altezza d'uomo. È chiamato anche fico del diavolo o bacca turca, e in estremo Oriente pare che le sue bacche, amare, vengano utilizzate in cucina, così come i suoi germogli quando sono ancora privi di spine. Io ammetto che non nutro eccessivo desiderio di assaggiarlo, ma lo userò volentieri come portainnesto appunto, non solo per le melanzane ma anche per peperoni e pomodori se potrò.
Fare il compost in casa: ecco come procedere. |
Come fare il compost in casa? Oggi torniamo a parlare delle abilità del buon fattore e vediamo insieme come ottenere un concime naturale, di ottima qualità,
sfruttando il materiale di scarto proveniente dal giardino, dall'orto
e – perché no? - anche dalla nostra cucina.
Iniziamo a fare chiarezza intanto su alcuni termini, e cerchiamo di capire cosa è il compost. Il compost è il risultato di un processo di umificazione che coinvolge microrganismi e invertebrati di varie specie, in particolari condizioni di ossigenazione dei materiali, di umidità e di rapporti tra elementi chimici. Ne risulta un humus omogeneo, ricco di sostanze nutritive, di color bruno scuro; tale prodotto influenza le proprietà chimico-fisiche del suolo, ed è un ottimo ammendante praticamente per ogni tipo di terreno.
100 Kg di materiale compostato correttamente daranno alla fine 10 Kg di materiale organico, mentre un'uguale quantità di letame fornirà alla fine solo 4 kg di materiale organico. Tale differenza è dovuta al maggiore equilibrio nella composizione del primo e alla sua minore percentuale d'acqua iniziale complessiva.
Le materie organiche da noi fornite verranno decomposte più o meno lentamente da micro e macro organismi, di decine di specie diverse, ognuno dei quali interverrà ad un ben preciso stadio della maturazione del compost. Affinché queste creature prosperino, il materiale dovrà avere una certa umidità, essere in grado di ricevere una certa quantità d'aria e infine avere un corretto rapporto tra materiale ricco in carbonio e materiale ricco in azoto. Il rapporto tra questi due elementi chimici (C/N) andrà ad influenzare le caratteristiche finali del compost.
Per fare il compost in casa inizialmente si va a preparare la miscela mescolando materiali organici ricchi in carbonio con materiali ricchi in azoto. Come si può riconoscere i primi dai secondi? Esiste una regola empirica molto semplice. I materiali organici secchi in cui prevalgono i colori giallo e marrone sono ricchi in carbonio (corteccia, ramaglie, foglie secche), mentre i materiali umidi di colore verde (sfalcio del prato, foglie fresche, avanzi di cucina) sono generalmente ricchi in azoto. Nel cumulo del compost, un buon rapporto C/N ha valori compresi tra 25 e 35.
I lombrichi, tra i principali alleati nella realizzazione del compost |
La seconda fase è detta di maturazione. In essa la temperatura cala fino a quasi 45°C, e iniziano a prendere il sopravvento diversi microrganismi, funghi (che con le loro ife iniziano a decomporre lignina e cellulosa) e infine altri invertebrati capaci di nutrirsi della frazione lignea più resistente. È in questa fase, che può richiedere dai 4 ai 12 mesi, che avviene la vera umificazione della sostanza organica.
Nel compostaggio un ruolo fondamentale è giocato dai funghi. |
Affinché tali fasi possano compiersi
occorre che il materiale organico abbia una corretta umidità, pari a
circa il 55%, e il giusto apporto di ossigeno: se quest'ultimo fosse
basso infatti andremmo incontro alla formazione di processi
putrefattivi in grado di sprigionare cattivi odori.
FARE IL COMPOST IN CASA: QUALI MATERIALI IMPIEGARE?
Vediamo ora una serie di materiali che possiamo impiegare nel compost e quali, invece, sarebbero da evitare.
Materiali ricchi in carbonio: paglia, fieno, foglie secche, ramaglie sottili, cartone non trattato, segatura, cippato secco, tessuti organici non trattati (lana, cotone, eccetera), canne secche di bambù.
Materiali ricchi in azoto: sfalcio del prato, scarti dell'orto, avanzi di cucina, foglie fresche, letame e deiezioni di animali domestici.
In generale, andrebbero evitati alcuni scarti di cucina, ad esempio quelli di natura animale: tendono infatti a produrre cattivi odori e richiamano inoltre roditori di varia specie, che divengono presto un problema. Meglio fare a meno di inserirli quando dobbiamo fare il compost in casa, specie se la compostiera è situata in giardino o vicino alle abitazioni.
Nel fare il compost in casa alterniamo strati di materiali ricchi in azoto con materiali ricchi in carbonio. |
LA COMPOSTIERA
Per fare il compost in casa, se gli spazi in giardino ci sono limitati, avremo bisogno di una compostiera. Questa potrà essere acquistata oppure costruita in autonomia, seguendo poche indicazioni.
Per prima cosa, assicuratevi che i regolamenti comunali non dettino dei vincoli specifici per la realizzazione di compostiere o concimaie; in particolar modo controllate se sia obbligatorio o meno la presenza di un fondo cementato, determinate distanze dalle abitazioni, eccetera.
Compostiere semplici ma efficaci possono essere costruite in casa. |
Un modello molto semplice di compostiera è costituito da un cassone in legno senza fondo, con le assi che costituiscono le pareti laterali distanziate tra loro di un paio di cm. La mancanza di fondo aiuterà lombrichi e altri invertebrati a colonizzarla mentre le fessure sui lati permetteranno la necessaria ossigenazione a tutti i livelli.
Nella compostiera le pareti dovrebbero permettere sempre una corretta areazione. |
Per fare il compost in casa si può anche realizzare una compostiera molto semplice costruendo una sorta di gabbia in rete metallica zincata robusta, con maglie di circa 1 x 1 cm. Esternamente la gabbia dovrà essere rivestita con un telo ombreggiante, come quello usato nei cantieri. Questo tipo di compostiera ha il vantaggio, se ben realizzata, di tenere lontani i roditori pur mantenendo possibile l'ingresso agli invertebrati utili.
Qualunque tipologia di compostiera sarebbe bene che fosse dotata di un coperchio adeguato, in modo da impedire il dilavamento da parte delle piogge e l'eccessiva disidratazione. Anche il coperchio potrebbe essere realizzato in rete zincata a maglie strette coperto con telo ombreggiante. Risulta importante la presenza di un'apertura nella zona bassa del contenitore, dalla quale andremo ad estrarre il compost finito al termine del processo. Il primo materiale che avremo inserito infatti si sarà trasformato - dopo 8 o 10 mesi - in un ottimo concime, e togliendolo faremo scendere gli strati soprastanti che saranno poi i prossimi ad essere degradati.
La compostiera dovrà essere posizionata in un angolo almeno parzialmente ombreggiato, in modo da evitare che si disidrati troppo in fretta. Piuttosto potrebbe essere necessario, in caso il materiale al suo interno si secchi eccessivamente, bagnare regolarmente il cumulo. La posizione ideale è sotto un albero che perda le foglie d'inverno: resterà così più fresca in estate e risulterà scaldata dal sole in inverno.
Il soffice e ricco humus scuro si ottiene dopo alcuni mesi di maturazione. |
COMPOSTAGGIO SUL BALCONE
Gli onischi sono crostacei che si nutrono di vegetali in decomposizione. |
QUALI ORGANISMI POTREMO TROVARE?
Le larve dei cetonini possono digerire anche il materiale ligneo. |
VIDEO
MATERIALI DI APPROFONDIMENTO
LINK UTILI
GreenMe - Costruire una compostiera da balcone