Da oggi provo ad imbarcarmi in una nuova, piccola avventura: nasce infatti su YouTube Oryctes.com Channel, un canale video dedicato agli argomenti di cui usualmente mi occupo in questo blog e nel mio sito, Oryctes.com. So di non essere un mago con le riprese, e non ho neppure attrezzature adeguate (per adesso mi limiterò a rubacchiare la macchina fotografica della moglie... sshhhtt!!), ma cercherò di rendere le cose perlomeno... guardabili.

I primi due video sono dedicati alle mie Polverara ed alle Black Jersey Giant, in seguito vedremo cosa riuscirò a fare. Mi piacerebbe parlarvi di avicoltura, giardino naturale, natura... Spero abbiate la pazienza di seguirmi anche qui. A presto!

La delicata bellezza di Viola Tricolor. Foto di Andrea  Mangoni.

Tutti gli anni, con l'arrivo di febbraio, la campagna si trasforma in un arazzo azzurro e porpora: il lamio e la veronica esplodono infatti in un tripudio di fiori delicati che fanno diventare l'erba un enorme quadro astratto. Ma tra i fiori della primavera, quelli che mi piacevano forse di più non crescevano ovunque: bisognava andarli a cercare lungo il ciglio dei fossi, riparati dall'ombra dei salici. In quell'ombra, le viole mostravano tutto il loro splendore, anche se solo avvicinandosi a carponi si poteva apprezzarne il delicato e sottile profumo. Le viole che prosperavano sotto gli alberi erano di colore pallido, delicato, vagamente anemico; erano una vera delizia di primavera, tanto che alla fine qualche anno fa le ho portate a casa e trapiantate in giardino, in una piccola aiuola dove i miei cani ne hanno - haimè! - fatto scempio.

Avevo pensato di portarle anche qui, nel giardino della palazzina in cui abito ora; ma ho scoperto, con enorme piacere, che anche qui le viole selvatiche crescono in gran numero. Sono di un colore intenso, con petali che sembrano velluto scuro e foglie cuoriformi opulente e ricche. Vederle sbocciare in questo rettangolino di terra mi ha dato un'immansa gioia, è stato come ritrovare un amico d'infanzia.

Il colore intenso e vellutato di una viola. Foto di Andrea Mangoni.

Le viole annoverano decine di specie, ma tra quelle selvatiche la viola canina (Viola canina) e la viola mammola (Viola odorata) sono tra le perenni più diffuse in campagna. La seconda, in particolar modo, è probabilmente la viola selvatica più profumata del nostro Paese. Sebbene possano essere riprodotte da seme, si moltiplicano vegetativamente benissimo tramite stoloni, che portano alla propria estremità le nuove pianticelle. Basterebbe semplicemente ripicchettarli sul terreno per esser certi di ingrandire, anno dopo anno, il proprio gruppo di violette selvatiche. Preferiscono i terreni ricchi ed in ombra, ma si adattano anche a zone marginali ghiaiose, dove formano gruppi isolati piuttosto folti. Nei prati ombrosi, invece, possono tappezzare piccole aree con un meraviglioso "effetto patchwork" di colore all'epoca della fioritura primaverile.

La viola del pensiero selvatica (Viola tricolor), annuale, è anch'essa diffusissima un pò ovunque, con mille colori e forme, e la sua leggiadria fa impallidire, ai miei occhi, qualunque fascino possa esser associato ai suoi opulenti e selezionatissimi discendenti che si possono trovare in commercio. Rispetto ad altre viole, fiorisce per tutta la bella stagione. Si possono raccogliere tranquillamente a fine fioritura le capsule contenenti i semi, facendo attenzione che non ci... esplodano fra le dita! Infatti tendono ad aprirsi violentemente alla minima pressione, se mature, e a lanciare i semi in esse contenuti ad una certa distanza. Seminateli su un terriccio ben drenato, senza sotterarli, ma limitandovi a pressarli leggermente sulla superficie del terreno. Vedrete che non dovrete aspetatre molto, per avere delle splendide pianticelle fiorite.

Un'isoletta di viole è cresciuta sul margine di un sentiero di ghiaia. Foto di Andrea Mangoni.
Il fossato al tramonto. Foto di Andrea Mangoni.

Il sole caldo delle prime giornate primaverili è un invito irresistibile, per me, a vagabondare per la campagna a godere del contatto con la natura; inoltre è un'ottima occasione per pianificare i nuovi lavori da operare lungo le mie rive ed i miei fossati, lavori che hanno subito un drastico arresto. Nello scorso inverno, infatti, complici il trasloco, le malattie ed il maltempo, ho colpevolmente abbandonato la mia campagna, limitandomi a gestire il pollaio nelle visite a casa dei miei genitori.

E' così che un paio di giorni fa mi sono preso la briga di andare a fare il punto della situazione riguardo allo stato della vegetazione ripariale del fossato e della siepe che sto (ri)costruendo, allo scopo di ricreare un rifugio per tutta una serie di animali e vegetali sempre più minacciati.

I fossati sono pieni d'acqua. In questa stagione, dovrei poter vedere le ovature di Rana latastei e sentire, forse, i primi gracidii delle raganelle. Ma da parecchi anni, purtroppo, entrambe le specie non si riproducono più nelle acque di questo fossato, sebbene saltuariamente sulle sue rive se ne possano reperire alcuni esemplari adulti. E' pur sempre vero che parte dell'alveo del fossato è invaso da piante secche di iris palustre (Iris pseudacorus), e questo tendenzialmente rende tali parti del fossato assai difficili da colonizzare per tutta una serie di animali, poichè favorisce, in estate, una più rapida evaporazione delle acque con conseguente prosciugamento del letto del fossato stesso.

Giovani piante di farnia. Foto di Andrea Mangoni.

Le piante messe a dimora negli scorsi anni stanno in compenso benone. Il pioppo cipressino (Populus nigra var. italica) è cresciuto tantissimo, ora supera di certo i tre metri e mezzo, così come gli aceri (Acer campestre) piantati in due diversi momenti negli ultimi 5 anni. Biancospino, prugnolo e frangola stanno iniziando a germogliare, così come il salice cenerino (Salix cinerea), che sta fiorendo, offrendo così un precoce pasto ai primi insetti pronubi che sfidano i freddi di questa stagione. Sul terreno alla base della vecchia farnia è tutto un brulicare di piantine nate dalle ghiande d'autunno.

I germogli del pallon di maggio (Viburnum opulus). Foto di Andrea Mangoni.

Poichè, nell'appartamento in cui mi sono trasferito, non posso purtroppo permettermi di ospitare troppe piante in vaso, in particolare di specie voluminose, mi sono risoluto a trapiantare alcune essenze lungo la siepe, con il duplice vantaggio di diminuire da un lato il numero di piante necessarie di mie cure, e di arricchire dall'altro la siepe con due piante estremamente utili e preziose. Le essenze scelte sono alcune pianticelle di olmo (Ulmus minor), pianta un tempo diffusa ma lentamente rarefattasi anche a causa della diffusione di una malattia, la grafidiosi, ed una piantina di pallon di maggio (Viburnum opulus), raccolta l'anno scorso lungo un fossato distante qualche chilometro, ed ora in procinto di germogliare. Così, vanga in spalla e carriola piena, mi sono avviato lungo la carreggiata per finire il lavoro prima che la luce del tramonto mi abbandonasse.

COME IMPIANTARE UNA SIEPE

Molto è stato scritto sull'impianto di una siepe, e di sicuro troverete parecchio materiale in merito. Comunque sia, aggiungo qualche nota anch'io, nella speranza che possa risultare utile. In generale io tendo a programmare una siepe mista, composta da alberi e cespugli, in maniera da diversificare i microhabitat che si vengono a formare e favorire così l'insediamento di una maggior quantità di piante ed animali selvatici, a lavori ultimati.

In particolar modo, di solito lascio tre metri di distanza tra un albero ed un altro; all'interno di questo spazio, a metà strada tra le due essenze maggiori, pianto poi un cespuglio o due nel secondo caso distanzio i cespugli tra loro di 50-60 cm). In verità sarebbero consigliabili 5-7 metri tra un albero d'alto fusto ed un alto, ma in questo caso, poichè quasi certamente buona parte delle piante sarà educata a capitozza, tale distanza più ridotta può andare bene. Nel mio Comune esiste poi un regolamento che indica come distanza minima di impianto dal ciglio del fossato 60 cm; è una buona cosa, perchè permette di poter lavorare nell'alveo dei corsi d'acqua con minori problemi e, nel contempo, aiuta a non sovraccaricare il fossato con materiale organico proveniente dalle piante stesse. Se ne avete la possibilità, create una siepe su due file distanti tra loro almeno un metro, alternando alberi ed arbusti im maniera da formare un percorso sinuoso e non una linea retta.

Usate per quanto possibile piante in vaso o con panetto di terra: hanno l'enorme vantaggio di poter essere messe a dimora in qualunque periodo dell'anno senza subire particolari traumi. In caso aveste invece a che fare con piante a radice nuda, niente paura: avete fino a tutto marzo per piantarle senze particolari problemi.

Lo scavo dovrebbe essere abbastanza profondo da poter permettere di allorggiarvi con comodo la piantina prescelta. Sul fondo disponete uno strato di ghiaia o altro materiale drenante, quindi un piccolo strato di stallatico o compost, quindi il panetto di terra con la piantina. Basterà poi riempire gli spazi vuoti rimasti con la terra di scavo, ed il gioco è fatto. Abbiate soprattutto cura di vedere che il colletto della pianta, cioè la delicata zona di transizione tra tronco e radici, non sia coperta di terra: la piantina potrebbe morire per asfissia. In caso invece di piante a radice nuda, le cose vanno diversamente. Le radici vanno leggermente potate con una forbice ben affilata, quindi immerse in una poltiglia di terriccio e letame in acqua, ed infine disposte con cura nella buca, che andrà riempia con la terra di scavo finemente sbriciolata. In entrambi i casi, al termine delle operazioni potrebbe essere una ottima idea l'impianto di un palo che funga da tutore temporaneo per la pianta, che vi verrà assicurata con legacci di gomma morbida; inoltre una delicata innaffiatura favorirà l'assestamento del terreno. Le innaffiature si riveleranno poi indispensabili, nei primi tempi, per favorire l'attecchimento di piante a radice nuda.

Alla prossima!

Suggerimenti bibliografici

Cogo, L., Giubilato, A., Marchioro, D., Pellizzon, A. (1989). Le Rive - frammenti di foresta da salvare. Ed. Multigraf.

Ferrari, V., e Ghezzi, D. (1999). Le siepi in campagna. Edagricole.

Titta

Come ho già spiegato in questo precedente post, c'era ancora un esemplare puro di Polverara di ceppo Rossetto che gironzolava nelle campagne del padovano. E' stato per me giocoforza cercarlo, e grazie alla generosità ed all'aiuto del sig. Daniele Roberto ho potuto portare a casa proprio questa gallina svanita nel nulla, gallina che ho peraltro ribattezzato (prontamente e senza motivo) Titta.

Titta incarna bene una serie di problematiche che il ceppo delle Polverara di Bruno Rossetto mostra suo malgrado. Le principali? Il fatto che, per alcuni caratteri, il ceppo è stato mantenuto in stato di eterozigosi, con conseguente, periodico riaffiorare di elementi poco desiderabili secondo gli standard moderni della razza.

Il primo di questi caratteri è l'assenza di barba. Nei polli, il gene che provoca la presenza di barba e favoriti (vistosi ciuffi di piume presenti sotto becco e ai lati della testa) viene chiamato Mb ed è autosomico incompletamente dominante. Ciò significa che accoppiando un esemplare dotato di barba e favoriti con uno che ne sia sprovvisto si ottengono animali eterozigoti che presentano questi caratteri in misura alquanto differente: alcuni avranno barba e favoriti quasi normali, altri invece assai poco sviluppati. In questo senso, Titta potrebbe essere proprio un eterozigote: in effetti presenta barba pressoché nulla, ma i favoriti sono più vistosi che in una gallina comune.

In secondo luogo, Titta ha becco e tarsi quasi interamente gialli. Ora, tarsi gialli indicano, senza troppe possibilità di errore, epidermide gialla e derma incolore o viceversa. Per le Polverara sono richiesti tarsi verde oliva o ardesia, che si ottengono da animali a epidermide incolore e derma nero. Insomma, un bel miscuglio! Anche in questo caso, come per il precedente, occorrerà seguire la trasmissione dei caratteri con l'accoppiamento ed il successivo testare la prole unendola con animali omozigoti recessivi per questi tratti.

Resta sempre il fatto che, per adesso, di accoppiamenti non se ne parla: Polluce, l'unico gallo rimastomi, è ancora troppo piccolo. Comunque sia, l'arrivo di Titta permetterà di programmare gli accoppiamenti per cercare di sbrogliare l'intricata matassa dei caratteri in eterozigosi in questo particolare ceppo della gallina di Polverara.

Titta in tutto il suo splendore

...ancora una volta, ritorno su queste pagine giustificando un lungo silenzio. No, che nessuno si preoccupi: nulla di grave. E' solo che negli ultimi tre mesi ho affrontato il primo vero trasloco della mia vita, che mi ha portato ad abitare in un appartamentino nel centro del mio paese, lasciando in periferia la mia campagna ed i miei animali. Chiaramente questo spostamento ha reclamato per sè tutto il mio tempo, e ne sono felice, perchè ho potuto assaporare questo cambiamento completamente.

Detto qusto, del pollaio e della campagna vi racconterò strada facendo. La primavera galoppa, e ci sarà di che discorrere. Per ora vi lascio con un grosso saluto a tutti!