Pochi alberi sono stati più diffusi, nelle campagne venete, dello stropàro, il salice da vimini (Salix viminalis). Piantato lungo i fossi o in testa ai filari di viti, lo stropàro rappresentava per i nostri contadini un vero e proprio tesoro. Da esso infatti si ricavavano le stròpe, rami di un anno che si usavano per legare le viti ai sostegni, o gli "stropèi", rametti più piccoli con cui invece si fissavano i tralci ai fili durante la potatura. Si iniziava a febbraio, a raccoglierne i rami sottili e flessuosi e a riunirli in fascine, che spesso venivano lasciate direttamente a terra, vicino ai filari delle vigne. Dalle fascine i contadini tagliavano gli stropèi, i rami sottili, e con gesti rapidi e sicuri legavano rami e tronchi. Erano estremamente solidi, gli stropèi: le legature fatte con essi duravano un anno o due senza problemi, e quando si rompevano bastava lasciarli sul prato, dove si sarebbero decomposti senza creare danno alcuno.
Marzo è arrivato troppo presto. O forse è solo che febbraio è sembrato volare, avvolto (o meglio, travolto) da una dose di lavoro esorbitante e ottundente? Il tempo che mi è rimasto per la campagna è stato pochissimo, e quel poco l'ho dovuto forzatamente dedicare al frutteto che in questa stagione reclama le giuste attenzioni. Le prime fioriture stanno arrivando, e prima che le gemme turgide esplodano in boccioli rosei e candidi gli alberi vano potati, gli innesti fatti, i trapianti effettuati. Dalla potatura di quest'anno dipende, in pratica, il raccolto del prossimo anno: è ora infatti che influenzeremo la fioritura degli alberi della primavera dell'anno venturo. Al momento ho provveduto a potare peri, peschi, gelsi e albicocchi; per questi ultimi ho fatto appena in tempo, perché i loro fiori stanno già sbocciando, carnosi e bellissimi trasformando in nuvole rosee le chiome degli alberi.