31 dicembre. Dopo mesi riesco a prendermi il tempo per fare due passi in campagna con la macchina fotografica. Niente lavori da fare. Niente corse. Un'ora di pace. Una sola compagna, Diana, sempre al mio fianco. Dopo l'incidente dello scorso anno, in cui una macchina l'ha investita, si è ripresa a meraviglia nonostante l'età. E si, non si chiama più Virgola. Ha vinto mio papà, e lei lo idolatra. 


Prima di varcare il cancello l'occhio cade sulla cassetta nido fissata all'albero di caki. Questa primavera, dopo tanti anni passati in attesa, la cassetta è stata abitata da una coppia di cinciallegre e dalla loro prole. Era un mio desiderio, piccolo ma antico, e vederlo realizzato è stata una gioia imprevista in un anno avaro di soddisfazioni agresti. 


L'erba è bagnata e profumata. Qua e la svettano gli ultimi pappi del tarassaco, fittamente imperlinati di brina disciolta. Il passaggio di Diana, imperterrita, li piega e ne disperde tra gli steli i candidi semi bagnati e appesantiti. 


Trai rami degli alberi, in lontananza, spiccano i nidi abbandonati delle gazze. Non se ne erano mai visti negli ultimi vent'anni. Ora ci sono loro, ma sono spariti quelli dei merli, un tempo comuni tra le vigne.


Già, le vigne. Che dormono serene in attesa di un traumatico febbraio, quando saranno potate e legate. Le vigne di Merlot che speravo di reinnastare con la Curbinea, senza successo. Le vigne di mio nonno, ogni anno decrepite, ogni anno giovani e fresche.


Mi avvicino ai fossati. I vecchi fossati della mia terra. Sono pieni d'acqua, ma per quanto durerà? Quest'anno riusciranno a mantenere il loro prezioso contenuto per tutta la primavera? 
I salici capitozzati si rispecchiano sulle acque ferme. I loro rami spogli sembrano radici che sprofondano e si ancorano in un cielo azzurro. Tra poche settimane metteranno foglie tenere e luminose, delicate e prorompenti. Non vedo l'ora di rivederle scintillare argentee al sole.


Le foglie delle roverelle e i semi degli aceri campestri, rimaste appese ai rami nudi, brillano controsole, mostrando i più fini dettagli della loro struttura. Mi fermo alla concimaia, delimitata da vecchie travi. Ne sposto una per rimetterla dritta, e scopro sotto di essa un lucido e brunito rospo smeraldino (Bufotes viridis) accovacciato in una tonda cavità, immerso in un profondo letargo. Sogna? E cosa? Rimetto al suo posto la trave. Fai buon riposo, e torna a rallegrare la campagna coi tuoi cori, in primavera. 


Torno verso casa. Lungo la carreggiata, controsole, le gocce sugli steli delle erbe riflettono un mondo capovolto. Ondeggiano al vento, e quando Diana urta l'erba quei minuscoli mondi esplodono in una miriade di sprazzi di luce.


Chiudo il cancello della campagna. Sul muretto un microscopico mondo sembra illuminato dalle gocce. Gli sporangi dei muschi sembrano minuscoli, curiosi alieni. 



Buon anno. Buon anno dai mondi capovolti, da quelli addormentati, da quelli minuscoli e da quelli alieni. Buon anno dalla mia campagna antica che ogni anno decide di rinnovarsi. Buon anno anche da me, che spero di esser degno di queste meraviglie e della vostra compagnia. 

Buon anno.