Il Veneto dei contadini. 1921-1932. Di Paul Scheuermeier. Angelo Colla Editore. |
"Prima io non fui né folklorista né etnografo né geofrafo; ma io partii linguista e ritornai folklorista. La necessità di studiare la lingua del popolo, mi mise dentro la vita di questo e in mezzo alle sue cose".
C'era una volta un uomo.
Si chiamava Paul Scheuermeier, era un'etnografo svizzero e aveva ricevuto l'importante compito di raccogliere una notevole mole di informazioni su lingua, tradizioni e costumi delle popolazioni contadine per comporre l'Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera meridionale.
Era da poco finito il primo conflitto mondiale, e le nostre campagne avevano un'importanza molto diversa da quella che rivestono oggi. In esse esisteva un mondo di saperi, parole, leggende, strumenti e vissuti che sarebbe stato destinato a sparire di lì a pochi anni. Il giovane svizzero si muoveva di paese in paese, di città in città, raccogliendo dati, registrando parole, usi e costumi, annotando ogni cosa tramite lettere e disegni, e soprattutto fotografando. La macchina fotografica infatti rivaleggiava col taccuino degli appunti, fermando attimi di vita contadina, ritraendo volti, vestiti, attività, animali, abitazioni, tutti congelati in pochi attimi e sottratti forse per sempre al destino di non lasciar traccia di sè.
Paul Scheuermeier (a destra) parla con un contadino. |
In ogni paese che visitava cercava di trovare persone di fiducia, gli informatori, che avevano il compito di fare per lui da tramite con la popolazione locale. Con l'ausilio di speciali questionari, appunti e delle immancabili
fotografie Scheuermeier raccolse dati preziosissimi, che permisero di immortalare l'universo contadino in maniera mai fatta prima e che nemmeno successivamente, forse, ha avuto eguali.
fotografie Scheuermeier raccolse dati preziosissimi, che permisero di immortalare l'universo contadino in maniera mai fatta prima e che nemmeno successivamente, forse, ha avuto eguali.
Nelle foto del linguista svizzero si snoda tutto l'universo contadino del Veneto, da Mirano a Cavarzere, da Teolo a Cortina. Gli uomini che lavorano nei campi, i buoi, le donne intente a badare al bestiame, i casoni che caratterizzano la pianura, tutto si immobilizza per essere tramandato ai posteri.
Le foto trasmettono l'immediatezza del momento, ma in alcuni casi poco ci potrebbero dire se non fossero accompagnate da un differente tipo di ausilio grafico. Ecco quindi che a Scheuermeier e alle sue fotografie si affiancano gli efficaci disegni al tratto di Paul Boesch, che permettono di apprezzare i dettagli degli utensili da cucina, degli attrezzi agricoli, delle gabbie e dei carri in maniera assolutamente pregevole ed unica.
Casa di contadini e casone. Cavarzere (VE), 1921. |
Il volume è stato edito dalla casa editrice Angelo Colla Editore, col patrocinio della Regione Veneto sotto la responsabilità scientifica della Fondazione Giorgio Cini, all'interno della "Collana di Studi e Ricerche sulle Culture Popolari Venete". Gli Autori, Daniela Perco, Glauco Sanga e Maria Teresa Vigolo, hanno pubblicato oltre alle foto (ognuna accompagnata da data, ora e dai commenti personali di Scheuermeier) anche estratti dei suoi diari, delle sue lettere ai propri corrispondenti e i disegni di Paul Boesch, accompagnati dalle accurate descrizioni degli oggetti ritratti.
Ma ciò che resta in mente una volta terminata la lettura del libro, prezioso come un'enciclopedia ed affascinante come un museo, è la Vita che traspare dalle sue pagine. Gli uomini che tornano dal lavoro dei campi non sono mere statue messe a bella posta per una ricerca etnografica, la foto della cucina si trasforma in una celebrazione del quotidiano, le oche beffarde rinchiuse dietro una palizzata di legno sono folletti dispettosi ma adorabili, e soprattutto il volto di ciascuno dei contadini ritratti trasmette un senso di umiltà, onore, rispetto e fierezza che oggi, purtroppo, spesso non riusciamo più a trovare altrove, se non forse nelle foto oramai malridotte lasciate dai nostri nonni. Perché è proprio questo che ritroviamo in queste pagine: le radici nostre e delle nostre famiglie.
Ma ciò che resta in mente una volta terminata la lettura del libro, prezioso come un'enciclopedia ed affascinante come un museo, è la Vita che traspare dalle sue pagine. Gli uomini che tornano dal lavoro dei campi non sono mere statue messe a bella posta per una ricerca etnografica, la foto della cucina si trasforma in una celebrazione del quotidiano, le oche beffarde rinchiuse dietro una palizzata di legno sono folletti dispettosi ma adorabili, e soprattutto il volto di ciascuno dei contadini ritratti trasmette un senso di umiltà, onore, rispetto e fierezza che oggi, purtroppo, spesso non riusciamo più a trovare altrove, se non forse nelle foto oramai malridotte lasciate dai nostri nonni. Perché è proprio questo che ritroviamo in queste pagine: le radici nostre e delle nostre famiglie.
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2 commenti:
Non posso non pensare a mio nonno, una persona che aveva appena la quinta elementare ma sapeva sempre come affrontare e risolvere i problemi. A lui non serviva la bussola o il meteo. Ogni percezione era frutto dell'esperienza e del buonsenso che gli avevano insegnato ad ascoltare i segnali della natura che lo circondava.
Ora molti di noi hanno una laurea, una casa ordinata, un giardino curato ma in caso di necessità non sapremmo come cavarcela.
E spero di aver imparato qualcosa da mio nonno, lui, anche se la crisi economica dovesse peggiorare, non si farebbe tanti problemi anzi, non se ne farebbe proprio, al massimo imbastirebbe una fila in più di patate!
Con l'auspicio di guardare avanti portandosi non dimenticando a casa il "bagaglio" che ci siamo lasciati alle spalle! (Troppa retorica? Maremma...)
ciao Elisa,
anche mio nonno si sarebbe fatto pochi problemi. 'na gombina de insa£ata en pì, e via per la sua strada.
no, non è per niente retorico, di questi tempi... quando al lavoro, a Venezia, si parla della crisi, sai quanti "cittadini" mi rifilano la frase: "ma tu sei fortunato, voi avete l'orto e le galline..."
Ed hanno ragione. chi come noi ha la fortuna di avere qualche metro quadro di terra può permettersi di fare quel piccolo passo verso l'autosufficienza alimentare che, seppur incompleta, ci può dare almeno la sicurezza di avere qualcosa (di buono!) da mettere nel piatto.
quest'anno, per la prima volta in vita mia, ho visto un mio conoscente dimagrire di una ventina di Kg buoni non per scelta, non per malattia, ma per povertà. licenziato dal lavoro, si vive con la pensione della mamma anziana, si tira la cinghia. letteralmente.
E quando vedi qualcuno fare la fame, non si può più parlare di retorica.
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